Montale e la storia che non è magistra di niente

Con la raccolta Satura, pubblicata da Mondadori nel 1971, il pessimismo di Eugenio Montale nei confronti del mondo raggiunge l’apice, costituendo nel suo percorso poetico una svolta in una direzione sempre più negativa. In particolare, in La Storia, componimento poco conosciuto ma controverso, lo sguardo di Montale si fa del tutto disincantato e a tratti sprezzante: la storia non è degna di fiducia, ma è anzi oggetto di critica, portata avanti dal poeta genovese con il tono polemico e ironico che caratterizza la sua produzione poetica successiva agli anni Sessanta.

Historia magistra vitae: da Cicerone a Guicciardini

Historia magistra vitae, la storia è maestra di vita: sono parole di Cicerone contenute all’interno del De Oratore, spesso poste a epigrafe di discorsi in lode della storia che esaltano la sua funzione didascalica e paradigmatica. La frase intera, per l’esattezza, è: “la storia è testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra della vita, messaggera dell’antichità”.

Questa concezione “classica” della storia sarà quella predominante per secoli. A partire da Francesco Guicciardini, scrittore e politico italiano del XVI secolo, la storia perderà l’aura di sacralità che l’aveva caratterizzata fin dal mondo antico. Guicciardini parte da una critica a Niccolò Machiavelli, che credeva che la natura umana fosse immutabile, e che quindi nel presente ricorressero situazioni analoghe a quelle del passato: di fatto, faceva sua la massima di Cicerone. Secondo Guicciardini invece è impossibile analizzare la realtà utilizzando pochi e semplici concetti che siano universali: la realtà è poliedrica e sfaccettata, e necessita che ogni suo elemento, particolare e irripetibile, venga osservato nella sua unicità e contingenza, senza fare riferimento ad epoche passate.

La poesia

Eugenio Montale

La storia non si snoda

come una catena

di anelli ininterrotta.

In ogni caso

molti anelli non tengono.

La storia non contiene

il prima e il dopo,

nulla che in lei borbotti

a lento fuoco.

La storia non è prodotta

da chi la pensa e neppure

da chi l’ignora. La storia

non si fa strada, si ostina,

detesta il poco a poco, non procede

né recede, si sposta di binario

e la sua direzione

non è nell’orario.

La storia non giustifica

e non deplora,

la storia non è intrinseca

perché è fuori.

La storia non somministra carezze o colpi di frusta.

La storia non è magistra

di niente che ci riguardi. Accorgersene non serve

a farla più vera e più giusta.

La storia non è poi

la devastante ruspa che si dice.

Lascia sottopassaggi, cripte, buche

e nascondigli. C’è chi sopravvive.

La storia è anche benevola: distrugge

quanto più può: se esagerasse, certo

sarebbe meglio, ma la storia è a corto

di notizie, non compie tutte le sue vendette.

La storia gratta il fondo

come una rete a strascico

con qualche strappo e più di un pesce sfugge.

Qualche volta s’incontra l’ectoplasma

d’uno scampato e non sembra particolarmente felice.

Ignora di essere fuori, nessuno glie n’ha parlato.

Gli altri, nel sacco, si credono

più liberi di lui.

La storia non

“La storia non”: anafora e litote, iterazione e negazione. Questa formula è riportata più volte all’interno del testo, per descrivere cosa sia la storia attraverso l’espressione di ciò che invece non è. Ogni periodo iniziante con “la storia non” mira a distruggere un’idea riguardante la storia, o a metterne in luce le contraddizioni. La storia non è continua, non è universale, non è “magistra di nulla che ci riguardi”. Queste ricorrenze finiscono per diventare sentenziose ed epigrammatiche, al punto da decostruire un pezzo alla volta l’immagine di una storia coerente da un punto di vista razionale e segnata da un superiore disegno di giustizia.

La storia non è magistra di niente

È evidente come la concezione della storia per Montale sia venata da un profondo pessimismo. In questa poesia Montale mira a distruggere un’ideologia erroneamente positiva ereditata dalla cultura classica, che vede nella storia il baluardo dei valori della giustizia e della bellezza. Anzi, Montale giunge a sganciare il corso della storia da fatti meramente umani: all’uomo la storia è del tutto estranea e, dunque, non ha senso che venga utilizzata dagli uomini come strumento per legittimare le loro azioni. Inoltre, non ha per l’uomo nessun valore conoscitivo e paradigmatico: la storia non insegna niente, non è testimone di fatti che sono da esempio per il futuro.

L’anonimato

Un altro tema che percorre La Storia è quello dell’anonimato, di cui Montale sembra farsi portavoce: a differenza della società attuale, una società in cui apparire, essere famosi è l’aspirazione maggiore, in cui essere una persona qualunque può essere considerato qualcosa da evitare, per Montale essere anonimi è un merito. Vedere il proprio nome scritto nel grande libro della storia non è un pregio, non dà alcun valore aggiunto alla vita dell’individuo, dal momento che la storia non ha alcun significato per l’uomo, e rimane un fatto completamente estraneo ed esterno a esso.

È necessario osservare, però, che l’antistoricismo di Montale non si traduce in un generale disprezzo per il tema della storia: in realtà, La Storia è proprio un testo che ha l’obiettivo di accentuare le ombre, le contraddizioni della storia, ma che termina in un’evidente constatazione dell’impossibilità di svelarle del tutto.

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