“Mentre nessuno si accorge di niente”: intervista a Werner Viola

Werner Viola, 35 anni, si affaccia nel mondo della scrittura pubblicando il suo primo romanzo, “Mentre nessuno si accorge di niente”. Nel suo libro, Werner ci racconta la storia di Luca, un ragazzo come tanti, che tra gli alti e i bassi della vita, convive con un’insidiosa e impattante depressione. Sullo sfondo di una Milano frenetica e imperturbabile, dalle atmosfere a tratti cupe e disperate, Viola racconta senza indugi né filtri, una storia “che fa male”, rivelando però un enorme coraggio e una grande risolutezza nel trattare una tematica così complessa e delicata.


La redazione de Lo Sbuffo, ha deciso di intervistarlo per conoscerlo meglio, approfondire il suo rapporto con la scrittura e porre qualche domanda sul suo libro.

Werner Viola
Werner Viola

Raccontaci qualcosa di te: da dove nasce la tua passione per il mondo della scrittura e qual è il ruolo che svolge nella tua vita?

La passione per la scrittura ad oggi ha un ruolo decisivo nella mia vita, nasce però molto tardi. Sono cresciuto in quartiere periferico di Napoli molto complicato, dove tutto scorreva attorno a un pallone e la voglia di scappare via. Vedevo i miei coetanei prendere brutte strade e attorniarsi di cattive compagnie; un giorno ho capito che la mia salvezza sarebbe stata la cultura, lo studio e la conoscenza… così ho iniziato a leggere tanto e di tutto. Poi nel post adolescenza ho iniziato a scrivere. Ho sempre scritto ciniche verità che la vita mi ha portato a conoscere. Fin quando non ho trovato, oggi, il coraggio di pubblicare.


Qual è il libro/autore che più in assoluto ti ha segnato e indirizzato nella vita?

 E’ davvero difficile per me rispondere a questa domanda. Sono davvero tanti i libri e gli autori che hanno scolpito una direzione e, lasciato il segno nella mia vita. Se proprio dovessi sceglierne uno, direi Alberto Moravia. Il suo esistenzialismo combacia perfettamente con la mia persona, quando lo leggo è come se leggessi me stesso. 

Cosa ti ha spinto a pubblicare il tuo primo libro?

Ho scritto diverse cose nel corso degli anni, senza mai aver preso in considerazione l’idea di pubblicare. Poi un giorno, seduto in un bar chiacchieravo con degli amici, questi mi dissero che mi invidiavano, per la mia spensieratezza e il mio lasciarmi scivolare le cose addosso… fu in quel preciso istante che capii che non si erano mai accorti della mia profonda sofferenza interiore. Così ho deciso di scrivere e pubblicare un libro che tratta il tema della depressione, sperando di essere una sorta di “Voice of the voiceless” 

”Mentre nessuno si accorge di niente”. Il titolo del tuo libro rende bene l’idea di un meccanismo fervido ma sotterraneo, di un rumore incessante che tuttavia non risuona all’esterno. C’è, secondo te, un modo per sferzare questa incomunicabilità che ci attanaglia? Cosa ci frena?

Questa è una domanda molto spinosa, che avrebbe bisogno di una risposta lunga e complessa. Nel modo più sintetico possibile, mi sento di dire che c’è un’incomunicabilità di fondo, dettata dalla vergogna. Vergogna di apparire “malati”, problematici, bisognosi di aiuto… tutto questo ci frena. Ci sono vari modi per contrastare il tutto; il più incisivo credo sia semplicemente smettere di lanciare segnali, alzare la testa e dire ad alta voce che le cose non vanno bene. Se si entra in questo meccanismo, sempre più persone avranno il coraggio di chiedere aiuto ed esternare senza paura il proprio malessere.

Luca, il protagonista del libro, è un personaggio per niente banale, colto e pieno d’interessi. Questi elementi sembrano quasi farlo apparire agli occhi degli altri meno bisognoso di aiuto. Secondo te c’è un bias che ci porta a pensare che le persone intelligenti affette da depressione possano “cavarsela da sole”?

Assolutamente no. Le persone molto intelligenti hanno molte più consapevolezze, quindi soffrono di più. Ad esempio: una mente superficiale crederà di essere circondata da amici, mentre una mente che si interroga, riuscirà a definire una solitudine se pur circondato da tante persone. Non è l’intelligenza a dettare una reazione, bensì la speranza. C’è chi la trova e chi no…

Il personaggio di Martina è forse quello descritto con più intensità e svolge un ruolo quasi centrale all’interno del romanzo. Il protagonista ne ammira ogni tratto, seppure i due abbiano caratteri diametralmente opposti. Simboleggia qualcosa di astratto oppure è ispirato a qualcuno? 

Martina simboleggia la riuscita, la speranza, quella che ce la fa. Luca invece si arrende, non si rialza. Ho voluto, come giusto che sia, mostrare al lettore le due prospettive; come a chiedergli “E tu da che parte stai? Sei un Luca o una Martina?” 

Parlare di depressione in un’epoca come questa può risultare estremamente complesso.
Spesso quest’ultima viene confusa con la semplice tristezza e, di conseguenza, banalizzata.
Credi che l’instancabile narrativa improntata sull’apparire perfetti, smaglianti e super produttivi (complici, in buona parte, i social network) ci renda, in una certa misura, incapaci di entrare in contatto con le emozioni negative e saperle gestire?

La mia risposta è si. La società odierna ci spinge sempre più nell’apparire e sempre meno nell’essere. I social network sono una proiezione di come vorremmo apparire agli occhi altrui; freneticamente pubblichiamo solo le cose che pensiamo possano essere belle per gli altri, come se avessimo smarrito la nostra identità. Tutto questo crea una forte dicotomia tra “noi” e il nostro malessere, che, sempre più spesso viene nascosto e represso.

Tu stesso, nelle note in fondo al romanzo, hai definito quella di Luca “una storia disperata, che fa male”.
È stato difficile per te scriverla? Qual è la parte in cui hai trovato maggiore difficoltà?

E’ stato abbastanza difficile per me scrivere questo romanzo. Non è autobiografico, ma non nascondo che c’è tanto di me, quindi spesso ha rievocato angosce e dolori. La parte in cui ho trovato maggiore difficoltà è indubbiamente la scena in cui Luca va a trovare nella camera d’ospedale Martina. C’è un carico d’intensità non indifferente in quella parte;  mi sono arrovellato giorni per pensare un possibile dialogo e, alla fine, gli ho fatto dire a stento mezza frase e chiuso il capitolo.

Lo stile di Werner Viola

Quella che l’autore ci presenta, è una narrazione cruda e poco indulgente, raccontata con uno stile incisivo e privo di orpelli. Si delinea la situazione in modo netto, quasi fosse un “male necessario” per far conoscere davvero l’argomento trattato. Eppure, la lettura risulta scorrevole grazie all’utilizzo di un registro accessibile, a tratti ironico e ai dialoghi dei personaggi, ai quali si finisce per affezionarsi.

Tristezza o depressione

Il disincanto mostrato da Viola nel parlare di una tematica impegnativa e spesso sconveniente come quella della depressione, ci permette di tracciare una linea netta tra quest’ultima e quella che è, invece una delle emozioni primarie dell’essere umano: la tristezza.
Come Viola ci ricorda, tra le note finali del suo libro, tra l’essere tristi e l’essere depressi c’è una differenza abissale di cui ognuno di noi dovrebbe essere consapevole.
La tristezza è passeggera, si presenta più o meno frequentemente nella vita di un individuo e, nonostante le connotazioni negative, essa fa parte della nostra sfera emotiva. La depressione è una vera e propria malattia, spesso ricorrente e cronica. Debilita, rende esausti, impatta in maniera violenta sulla salute fisica e mentale dell’individuo e, nei casi peggiori, può portare al suicidio.

Stigma e incomunicabilità

La scelta di una narrazione in prima persona, quindi di una focalizzazione interna, ci consente di esplorare l’interiorità di Luca facendo luce sui non detti e sui silenzi.
Avendo accesso ai pensieri e ai ricordi del protagonista, possiamo catapultarci al di là del muro di incomunicabilità che fin troppo spesso si crea tra colui che è vittima di un disturbo mentale e il mondo esterno.
Il motivo per cui c’è tuttora remora nell’aprirsi e nel chiedere aiuto, come avverrebbe invece nel caso di altre malattie quali il diabete, l’asma, l’ipertensione, è certamente lo stigma sociale legato alla tematica.
Una narrativa figlia dell’ignoranza e del pregiudizio, spinge a interpretare la depressione come un segnale di debolezza, indice di una personalità poco risoluta.
E ancora, si tende a pensare che la “forza di volontà” abbia un ruolo decisivo nella questione: di conseguenza,  chiunque sia in balia di un disturbo mentale, tende a nasconderlo e a isolarsi, amplificando la propria sofferenza.
Lo stigma riguarda inoltre la concezione di come una persona depressa “dovrebbe apparire”, mentre la realtà dei fatti ci dimostra che essa possa insidiarsi anche nella persona più apparentemente felice e soddisfatta.
In questo ambito, un importante lavoro di sensibilizzazione e di condivisione, da anni viene portato avanti dalla  Blurt Foundation, social enterprise fondata da Jayne Hardy, che fornisce supporto e incoraggia gli utenti a raccontare le loro storie, a ritrovarsi nelle storie altrui e a sentirsi meno soli, affinché le persone come Luca possano avere una rete di supporto che abbatta quel muro di incomunicabilità.

Non siate indifferenti.
L’indifferenza è ciò che sta uccidendo questo mondo: tante persone stanno male ogni giorno, alcune più di altre, molte in silenzio.
Il problema è che spesso nessuno si accorge di niente

FONTI

https://www.paginemediche.it
Viola W. 2022, “Mentre nessuno si accorge di niente”

CREDITI

Copertina
immagine 1: immagine fornita dall’autore

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