La percezione del tempo: un costrutto socio-culturale

Che cos’è il tempo?” Il dibattito sulla più giusta definizione di tempo è iniziato da secoli, ma le risposte sono fra le più disparate possibili. E se invece della domanda ontologica, rispondessimo alla domanda circa la modalità?

Tempo, disciplinamento del lavoro e capitalismo industriale“, così suona il titolo del volume redatto dallo storico britannico Edward. P. Thomson nel 1967.

Thomson e il tempo

Thomson trattava della questione della percezione del tempo, come varia e come è variata. La scansione del tempo non è davvero oggettiva, ma varia secondo il modello economico del tempo: noi, oggi, non abbiamo la medesima percezione del tempo dei nostri avi nel settecento.

La tesi thomsoniana, che riprende il pensiero del medievalista francese Le Goff, è che il trascorrere del tempo è sempre uguale a se stesso, ciò che cambia è la percezione sociale che di esso, nel tempo, si ha. Aggiungiamo che non cambia solamente di generazione in generazione, ma anche da gruppo a gruppo di persone: questo significa che un contadino ottocentesco non percepiva il tempo nello stesso modo di un operaio suo contemporaneo, così come un contadino dell’ottocento non percepiva lo scorrere temporale nella medesima maniera in cui lo percepisce un nostro contemporaneo contadino. Che cosa è cambiato?

Thomson lesse e interpretò il trascorrere e la scansione del tempo come legato a due fenomeni:

  1. Il disciplinamento dell’operaio nella fabbrica.
  2. L’avvento del nuovo (nuovo nel novecento, quando l’autore vive e scrive) sistema di produzione, quello capitalistico.

Come cambia la percezione del tempo?

Il tempo è sempre uguale a se stesso, ma viene percepito e misurato in maniera diversa a seconda degli anni e dei contesti. Thomson aveva letto Evans-Pritchard, antropologo britannico del novecento, che studia la popolazione dei Nuer (abitanti nel Sud Sudan), il cui orologio diurno era il bestiame – elemento importante per i nuer, sia economicamente sia dal punto di vista sociale. Qual era dunque la percezione del tempo da parte dei nostri avi? Come si è modificato con l’avvento della produzione di fabbrica che richiede tempistiche certe, determinate e regolate?

Nel XVII secolo, il tempo veniva calcolato in credosla cottura di uovo durava quanto il tempo di una Ave Maria recitata ad alta voce. Sarà solo dalla metà del ‘600 che i primi orologi faranno la loro comparsa nelle case. Il problema della misurazione del tempo è nata prima dell’affermarsi della società capitalista, ma ha introdotto una scansione della giornata che contemplava i cicli naturali come il nascere o il calare del sole. Anche la stessa organizzazione della giornata era diversa, poiché si lavorava tutti i giorni e tutto il giorno.

L’idea che il tempo è denaro è propria di una società che fa del disciplinamento dell’attività produttiva un proprio elemento qualificante. Ma già ai tempi delle fabbriche la percezione del tempo era comunque diversa da quella odierna. Infatti, i lavoratori non contemplavano la necessità di recarsi in fabbrica tutti i giorni. Era  una pratica diffusa un po’ ovunque quella di festeggiare San Crispino, cioè non andare a lavorare il lunedì. Questo accadeva perché si veniva pagati nel fine settimana, ovverosia il momento in cui ci si dedicava alle attività ludiche. Il lunedì seguente l’ubriacatura del fine settimana si faceva sentire e non si era nelle condizioni di andare a lavorare. In questo modo, si presentava la difficile conciliazione dei primi lavoratori nelle fabbriche con gli orari del sistema di fabbrica che si stava radicando. Da questo piccolo esempio, si nota come l’idea del tempo e del denaro fosse diversa da quella che si ha oggigiorno.

Il tempo è denaro

Gli esempi di percezione del tempo sopra riportati ci hanno offerto un’idea diversa di scansione del tempo: un concetto che per noi è molto consolidato, cioè il risparmio del tempo, in realtà è una categoria culturale, non scontata, frutto di un processo. Ancora, la percezione del tempo è culturale. Ciò che è interessante è come il controllo del tempo sia diventato, nel corso della rivoluzione industriale, un elemento fondamentale: “il tempo è denaro” evidenzia la scansione, ossia la disciplina del tempo.

Il disciplinamento del tempo ha attraversato e imposto anche il disciplinamento dei comportamenti quotidiani. Controllare il tempo significa assoggettare l’individuo a certi orari: se si lavora in fabbrica dalle otto del mattino fino alle sei del pomeriggio, allora tutte le altre attività umane sono “regolate/disciplinate” in base a questi orari. Thomson trovava nella diffusione dell’istruzione elementare la prerogativa dell’abituare i bambini fin da piccoli a rispettare certe tempistiche. In questo modo è nato il problema del sincronismo degli orologi: ma qual è il tempo a cui far riferimento? Controllare il tempo vuol dire anche controllare i ritmi di lavoro, scandirli in maniera rigida.

Si è andata affermando l’idea del tempo come denaro: il tempo è uguale per tutti, viene osservato da tutti poiché il nostro tempo è misura e l’eroe del giorno viene premiato in ore. Colui che ozia è uno sperperatore di denaro. Tutto quello che facciamo deve essere misurato con il tempo. Si guardi alla terminologia: “trascorrere o spendere il tempo”, due modelli culturali diversi in cui a posteriori a prevalere è stato il secondo. La riflessione sul cambiamento della percezione del tempo è legata, dunque, non solo alla disponibilità di una misura, ma anche alla cultura del tempo, che è andata cambiando e necessita di strumenti di misurazione precisi (la lancetta dei minuti, infatti, è stata un’invenzione recente).

 

Fonti

Thomson, Edward P., “Tempo, disciplinamento del lavoro e capitalismo industriale” (1967)

Crediti

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