Canzoni che raccontano la storia, tra Pinelli e piazza Fontana

Da poco è ricorso il cinquantesimo anniversario della morte del commissario Calabresi. Pensando a quest’ultimo non si può non ritornare su alcuni tragici fatti strettamente collegati alla sua morte, ovvero la strage di piazza Fontana e la morte dell’anarchico Pinelli. Vicende tragiche, fatti umbratili e misteri irrisolti, raccontati in molte canzoni, che si snodano lungo le pagine più scure della storia della repubblica italiana.

La strage di piazza Fontana e la caduta di Pinelli

È finito il sessantotto

È finito con un botto

Tutti a casa siam tornati

Gli ideali ripiegati

In tasca

(È finito il sessantotto, Paolo Pietrangeli)

Lapide commemorativa delle vittime della strage di piazza Fontana

Il 12 dicembre del 1969 esplose una bomba in piazza Fontana nella Banca nazionale dell’agricoltura, a Milano: la detonazione provocò sedici morti e ben novantotto feriti. L’ordigno, sette chili di tritolo, esplose quasi in contemporanea ad altre cinque bombe, all’Altare della Patria e nel sottopassaggio della Banca Nazionale del Lavoro, a Roma.

Subito dopo l’attentato vennero fermate circa ottanta persone, fra cui degli anarchici appartenenti al “Circolo anarchico 22 marzo” di Roma e al “Circolo anarchico Ponte della Ghisolfa” di Milano. Fra gli appartenenti a quest’ultimo gruppo figura anche l’anarchico Pinelli. Egli venne trattenuto dalla polizia milanese; il giorno seguente a Roma l’anarchico Valpreda veniva accusato dell’esecuzione degli attentati in base alla dubbia testimonianza del tassista Cornelio Rolandi che avrebbe portato Valpreda a 130 metri dal luogo del delitto.

Successivamente si scoprì che entrambi gli anarchici erano innocenti. Molte personalità difesero l’innocenza e l’estraneità dei due, e dei gruppi anarchici in generale: fra gli altri vi fu Indro Montanelli che, vent’anni dopo la strage, in un’intervista a TV7 affermò:

Gli anarchici non sono alieni dalla violenza, ma la usano in un altro modo: non sparano mai nel mucchio, non sparano mai nascondendo la mano. L’anarchico spara al bersaglio, in genere al bersaglio simbolico del potere, e di fronte. Assume sempre la responsabilità del suo gesto. Quindi, quell’infame attentato, evidentemente, non era di marca anarchica.

Solo nel 2005 si arrivò, grazie a delle nuove prove, a una sentenza definitiva che indicava come colpevoli “un gruppo eversivo costituito a Padova nell’alveo di Ordine nuovo” (organizzazione terroristica dell’estrema destra extraparlamentare) capitanati “da Franco Freda e Giovanni Ventura”. Nonostante ciò nessuno venne condannato in quanto gli stragisti, essendo già stati assolti con giudizio definitivo nel 1987, secondo il principio giuridico ne bis idem, non erano ulteriormente perseguitabili dalla legge.

La morte dell’anarchico Pinelli

Quella sera a Milano era caldo
Ma che caldo, che caldo faceva
“Brigadiere, apri un po’ la finestra!”
Una spinta… e Pinelli va giù

Giuseppe Pinelli (Milano, 21 ottobre 1928 – Milano, 15 dicembre 1969)

I versi sopra riportati appartengono alla canzone Ballata per l’anarchico Pinelli scritta dagli anarchici mantovani Barozzi, Lazzarini, Zavanella e dal cantautore Pino Masi, legato a Lotta Continua. La canzone, che ha conosciuto varie versioni (alcune più anarchiche altre più “rosse”, talune epurate dai riferimenti al commissario Calabresi a seguito della morte del medesimo).

Il fatto raccontato dalla canzone avvenne nella notte fra il 15 e il 16 dicembre del ’69, quando da una finestra del quarto piano del palazzo della questura di via Fatebenefratelli cadde l’anarchico Giuseppe Pinelli. Questi si trovava in questura, e lì era stato trattenuto oltre le quarantotto ore previste dalla legge, in quanto sospettato per la strage di piazza Fontana. L’interrogatorio a cui venne sottoposto fu condotto da Antonino Allegra e dal commissario Luigi Calabresi (che secondo le testimonianze non era nell’ufficio al momento della caduta), in presenza di quattro agenti della polizia Vito Panessa, Giuseppe Caracuta, Carlo Mainardi, Pietro Mucilli e del tenente dei carabinieri Savino Lograno.

La prima versione, riportata dal questore Marcello Guida in conferenza stampa, fu la seguente: “Improvvisamente il Pinelli ha compiuto un balzo felino verso la finestra che per il caldo era stata lasciata socchiusa e si è lanciato nel vuoto“; e nel lanciarsi avrebbe gridato: “è la fine dell’anarchia!”. Questa versione sarebbe stata corroborata dal fatto che l’alibi di Pinelli si era rivelato falso, il che ne avrebbe dimostrato la colpevolezza; invero successivamente l’alibi venne accertato come valido e quindi questa versione dell’accaduto venne ritrattata. Successivamente la questura avanzò l’ipotesi del malore, secondo la quale Pinelli sarebbe caduto dalla finestra per un mancamento.

Ho visto bombe di stato scoppiare nelle piazze

E anarchici distratti cadere giù dalle finestre

(Quarant’anni, Modena City Ramblers)

Sulla versione ufficiale molti nutrono sospetti avallati da questi elementi: l’ambulanza sarebbe stata chiamata minuti prima della caduta (o del salto), difficilmente Pinelli si sarebbe potuto buttare data che la piccola stanza era gremita di poliziotti (secondo alcune testimonianze un poliziotto nel tentativo di impedire il salto di Pinelli gli avrebbe sfilato una scarpa, ma il corpo di Pinelli venne ritrovato con ambedue le scarpe), la caduta avvenne in verticale (è assente lo slancio del salto), pare che Pinelli non abbia urlato durante la caduta a differenza di quanto avevano inizialmente affermato dalle forze dell’ordine, non ci sono segni sul corpo di protezione istintiva rispetto alla caduta (forse dunque non era già più cosciente al momento del “salto”).

A Milano muoiono in circostanze misteriose

alcuni testimoni della strage di Stato

intanto alla televisione Mariano Rumor

con calma esorta all’ordine il popolo italiano.

In questi ultimi versi della canzone E tu mi vieni a dire, Giorgio Gaber fa riferimento all’allora presidente del consiglio, il democristiano Mariano Rumor. Su di lui, come su tutto il governo e sulle forze dell’ordine, aleggiano sospetti e accuse riguardo gli avvenimenti di quegli anni. Ne consegue che siano state avanzate molte ipotesi alternative del tragico accaduto, fra le quali una che additava come colpevole il commissario Luigi Calabresi. Fra i principali fautori di questa tesi vi fu il quotidiano «Lotta Continua» il quale condusse una violenta campagna mediatica contro il commissario Calabresi. “A questo punto qualcuno potrebbe esigere la denuncia di Calabresi e Guida per «falso ideologico in atto pubblico»; noi che, più modestamente, di questi nemici del popolo vogliamo la morte, ci accontentiamo di acquisire anche questo elemento”. A onor di cronaca va detto che alcune personalità di rilievo del suddetto quotidiano, come Sofri e Mughini, si sono in seguito scusate e dissociate da tali violente esternazioni.

La musica come strumento di misura

Probabilmente uno dei metodi più efficaci per comprendere l’impatto sociale di un avvenimento storico è ascoltare le canzoni. Si potrebbe forse inventare un qualche algoritmo che, in base alla ricorrenza di un fatto o di una tematica nelle canzoni (popolari e non), ne stimi l’importanza sociale. Si vedano come esempio tutti i canti di liberazione (e anche a tutte le canzoni fasciste), la straordinaria varietà e inventiva (sovente prestata all’invettiva) dei cori da stadio, la ricorrenza nelle canzoni popolari (in primis in quelle dialettali) di alcuni temi come la campagna, il lavoro, l’emigrazione, e così via.

Qualcuno era comunista perché piazza Fontana, Brescia,

la stazione di Bologna, l’Italicus, Ustica eccetera, eccetera, eccetera

(Qualcuno era comunista, G. Gaber)

Fra le tante canzoni riguardanti questo periodo storico (di morti, di attentati, di terrorismo rosso e nero, di stragi di stato) troviamo anche Il Bombarolo di Fabrizio De André. Questo brano racconta di un bombarolo che vuole fare un attentato di fronte al parlamento ma che finisce per far saltare in aria un chiosco dei giornali. È interessante sottolineare come il bombarolo della canzone di Faber sia caratterizzato da uno spiccato individualismo e come questo segni una forte cesura rispetto agli ideali collettivi, alle azioni di massa, alle lotte di classe e alle ideologie che avevano contraddistinto il ’68.

Per strada tante facce
non hanno un bel colore,
qui chi non terrorizza
si ammala di terrore,
c’è chi aspetta la pioggia
per non piangere da solo,
io sono d’un altro avviso,
son bombarolo.

È evidente (e comprovato dall’enorme produzione musicale) come quegli anni, e in particolar modo alcuni eventi simbolici e tragici come quelli riportati, abbiano segnato profondamente la società italiana. Sono forse meno evidenti le ferite non ancora rimarginate, ma un po’ nascoste, che furono aperte in quegli anni. Parte della disillusione e del disincanto, della mancanza di riferimenti culturali e di fiducia nello stato, non può che essersi originata negli anni di piombo, anche se spesso decidiamo di ignorarli senza neanche studiarli a scuola.

Viva l’Italia del dodici dicembre

L’Italia con le bandiere,

l’Italia nuda come sempre

L’Italia con gli occhi aperti nella notte triste

Viva l’Italia, l’Italia che resiste.

(Viva l’Italia, Francesco De Gregori)

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