Quella dieta mediterranea che cambia con noi

Veganismo, disturbi alimentari ed ecologia: anche la dieta mediterranea sta cambiando.

Dieta mediterranea oggi

Codesta è una dieta che non misura calorie, chili e centimetri. Non è una dieta che bada al girovita, bensì anela alla salvaguardia di qualcosa di fondamentale per tutti noi: la qualità della nostra vita, altro che girovita.

Questa la definizione che dà «Italia a tavola» della dieta mediterranea. Più che un regime alimentare è una tradizione, un modo di fare comunità, vivendo la tavola con la voglia di stare insieme agli altri. Da dieci anni patrimonio dell’Unesco, la dieta mediterranea amalgama l’eredità del mondo classico con le tradizioni locali delle coste del Mediterraneo.

Tempi nuovi, abitudini nuove. Anche la dieta mediterranea non è esente dai cambiamenti culturali e alimentari che hanno interessato la nostra società nell’ultimo periodo. 

Uno studio pubblicato su «Nutrients» nel 2021, mostra come dal 2000 al 2017, per il campione preso in esame, si sia assistito a una notevole diminuzione di grassi animali (ben il 58% in meno) e di carne di manzo (un calo del 32%), ma siano diminuiti anche i consumi di frutta (-20%), patate (-15%), verdura (-13%), latte (-14%) e oli non tropicali (-11%). Crescono invece gli oli tropicali (+156%), il pesce (+26%) e frutta secca (+21%). Delle modifiche non da poco che fanno riflettere sulle trasformazioni culturali sottostanti. Negli ultimi anni, infatti, si è prestata sempre più attenzione all’alimentazione, un aspetto della quotidianità che è diventato fortemente problematico in alcuni casi, artistico in altri. 

I cambiamenti dovrebbero indurci a chiedere quanto manchi per raggiungere un equilibrio auspicabile e gli obiettivi di una dieta sana e sostenibile dal punto di vista ambientale. «Fondazione Dieta Mediterranea» rivela che il consumo di legumi e frutta secca dovrebbe raddoppiare, mentre il consumo di carne, uova, latticini, grassi animali, oli tropicali e zuccheri dovrebbe essere ridotto per percentuali che vanno dal 60% al 90%. Ciò si tradurrebbe in vantaggi non solo dal punto di vista della salute ma anche dell’ambiente: infatti, le emissioni di gas serra legate all’industria alimentare verrebbero ridotte non di poco. 

Veganismo e ambiente

Dalla dieta che era, il veganismo è diventato un vero e proprio stile di vita che si è diffuso velocemente. «Eurispes» rende noto che dal 2020 i vegani sono aumentati del 9%, una tendenza che segue la maggior attenzione rivolta – soprattutto dai giovani – alle tematiche ambientali. 

Se fino a qualche anno fa il veganismo era considerata una dieta a base di piatti “tristi”, oggi la considerazione al riguardo è decisamente cambiata. Infatti, gli scaffali dei supermercati si sono riempiti di prodotti Vegan OK, dai tanti tipi di latte vegetale ai burger di legumi, passando per gelati di soia e biscotti senza uova. Sempre secondo «Eurispes», le motivazioni principali che portano ad abbracciare il veganismo sono due: da una parte il desiderio di un miglioramento della propria salute (il 23,2 %) e dall’altro l’amore per gli animali (il 22,2%): motivazioni che, per la prima volta, sono testa a testa. In crescita anche i vegetariani (sono il 6,7%) ossia coloro che scelgono di non consumare carne e pesce ma consumano ancora prodotti di origine animale come latte e uova. 

Lo studio rivela anche che, però, sono ancora pochi i cittadini disposti a cambiare le proprie abitudini alimentari per fronteggiare il problema del cambiamento climatico. Infatti, sebbene otto persone su dieci ritengono preoccupanti le notizie riguardo il cambiamento climatico, poche connettono questo cambiamento alle scelte relative alla propria dieta. Questo sottolinea la necessità di impegnarsi per diffondere maggiori informazioni sulla correlazione tra allevamenti intensivi e cambiamento climatico, per aumentare la consapevolezza delle persone in merito alle scelte relative alla loro dieta.

Da qualche anno, su importazione anglosassone, è nato veganuary, il mese della sensibilizzazione al veganismo. Gennaio, infatti, è il mese vegano. La sfida è stata lanciata qualche anno fa da un’organizzazione no profit inglese che ci invita a sperimentare lo stile alimentare vegano, eliminando ogni componente di origine animale dalla nostra dieta. L’invito a provare il vegano almeno per un mese è stato raccolto lo scorso anno da 582.000 persone. La classifica dei Paesi partecipanti ci dice che l’Italia è al settimo posto, il Regno Unito, naturalmente, al primo.

Chi segue la dieta mediterranea?

Esiste un identikit delle persone che seguono questo modello alimentare? Ha provato a delinearlo uno studio condotto dal CREA Alimenti e Nutrizione e pubblicato sulla rivista «Frontiers in Nutrition». La ricerca, curata da Laura Rossi e Vittoria Aureli, si è posta l’obiettivo di misurare conoscenza nutrizionale (NK) e adesione alla dieta mediterranea nella popolazione adulta italiana e di valutare come questi fattori fossero correlati tra di loro. Studi precedenti, infatti, avevano mostrato che una conoscenza nutrizionale ottimale si correlava a un’adesione al modello della dieta mediterranea, a una prevalenza di obesità, nonché a una riduzione dell’indice di massa corporea, del girovita e della massa grassa. Lo studio ha coinvolto 2.869 persone che hanno formato un campione rappresentativo della popolazione italiana (età >18 anni) nel periodo compreso tra il 26 giugno e il 10 luglio 2020. Lo studio ha confermato come in Italia l’aderenza alla dieta mediterranea sia significativamente associata alle caratteristiche socio-demografiche della popolazione: le donne, gli anziani, le persone con livelli d’istruzione elevati e coloro che vivono in aree urbanizzate mostrano, infatti, un tasso di adesione più elevato. È emerso, inoltre, come ci sia una differenza nord-sud; Le regioni del nord-est e della Campania hanno mostrato un’adesione più bassa (rispettivamente 45,4% e 44,2%), mentre Emilia-Romagna e Lazio, nonché le isole (Sicilia e Sardegna), ne hanno mostrata una più alta (rispettivamente 17,2, 16,2 e 17,7%).

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