Macron, bon travail: pericoli e insidie di un secondo mandato

Il 24 aprile i francesi hanno votato affinché Emmanuel Macron rimanga per i prossimi cinque anni all’Eliseo come presidente della Repubblica Francese. La vittoria contro l’ultra destra di Marine Le Pen è stata schiacciante: il 58,5% di preferenze per il presidente uscente non lascia spazio a contestazioni e chiude la lunga partita tra il Rassemblement National, con a capo Le Pen, e il Renaissance (già “En Marche“), guidato da Macron. Ma la vittoria evidente nasconde una situazione politica complessa da gestire per il capo dell’Eliseo, che dovrà sapientemente barcamenarsi tra un crescente estremismo politico e le spinte del suo stesso elettorato.

Come sono andate le elezioni?

58,5% contro 41,5%. Il risultato sembrerebbe commentarsi da solo. A ben guardare però, se correttamente contestualizzato, l’out-come di questo ballottaggio nasconde indizi importanti sulla Francia che Macron si troverà ad amministrare per i prossimi cinque anni.

Partiamo dalle preferenze totalizzate da Marine Le Pen. Cinque anni fa la leader di ultra destra aveva raggiunto solo il 33,90% dei voti al ballottaggio contro lo stesso sfidante che le ha rubato la presidenza anche lo scorso aprile. Le Pen sarà anche stata sconfitta entrambe le volte, ma il peso di quegli otto punti percentuali in più rispetto alle elezioni precedenti è un macigno che getta un’ombra importante sull’inizio di questo secondo mandato a firma Macron. Lo schieramento di estrema destra in Francia non ha mai ottenuto un tale appoggio dall’elettorato.

Il risultato mette in dubbio la valutazione positiva dell’amministrazione Macron se si considerano le promesse fatte dallo stesso presidente eletto nel 2017: creerò le condizioni per cui non ci siano più motivi di votare agli estremi, aveva affermato. Evidentemente l’obiettivo non è stato raggiunto.

Consideriamo ora invece l’ampia fetta di preferenze spettata a Macron. Quando ha raggiunto la Tour Eiffel la notte del 24 aprile per salutare il suo elettorato, il Presidente rieletto ha pronunciato un discorso che commenta alla perfezione il suo risultato a queste presidenziali. In un’arringa di appena dieci minuti, forse la più breve della sua carriera politica, si è detto consapevole che una parte dei suoi voti non sono espressione di un’adesione convinta al suo partito, ma di semplice sbarramento all’ascesa di Marine Le Pen. Ad alimentare questa corposa parte di preferenze sono soprattutto i voti dell’elettorato di Melenchon, candidato di sinistra escluso dal secondo turno.

Le insidie del terzo turno

In una Francia in cui l’ultra destra è forte come non lo è mai stata e il partito che si è imposto alle presidenziali non gode della piena adesione da parte del suo elettorato, il terzo turno potrebbe rivelare tutte le falle di questa complessa situazione politica. Si tratta di quella che in Francia viene considerata la terza e ultima manche delle elezioni presidenziali, ossia la votazione per il rinnovo dell’Assemblea nazionale che si terrà in giugno. Questo sistema è uno degli escamotage del semipresidenzialismo francese: pur eletto con ampio margine, il presidente potrebbe non godere della maggioranza in parlamento.

Nel 2017 Macron aveva conquistato una buona maggioranza anche all’Assemblea nazionale e questo gli ha permesso di governare abbastanza agevolmente per cinque anni. Ma la situazione è notevolmente cambiata dalle ultime elezioni, con equilibri e attori, vecchi e nuovi, che potrebbero costringere il neo-rieletto presidente della Repubblica di Francia ad una coabitazione con un primo ministro di diverso colore politico.

Lo sfidante più pericoloso è forse proprio Melenchon, il quale sta preparando il terreno per riunire il blocco di sinistra, contrapposto a quello di centro di Macron e a quello di destra di Marine Le Pen, sotto il suo nome e pesare davvero alle legislative di giugno, ventilando addirittura la possibilità di salire a Matignon come Primo Ministro.

La situazione interna

Negli ultimi anni la Francia è stata toccata da forti e ampie mobilitazioni popolari che hanno inevitabilmente messo a dura prova la tenuta dell’esecutivo. Quando si parla di movimenti popolari a Parigi balzano subito alla mente i giubbotti catarifrangenti dei Gilet Gialli, ma in realtà la frammentazione e i dissidi sociali sotto la bandiera blu-bianco-rossa vanno oltre le rivendicazioni di questo gruppo organizzato.

La distinzione sociale tra la periferia e i cosiddetti “integrati” rispecchia piuttosto bene la distribuzione delle preferenze politiche. Se cinque anni fa Macron sembrava essere una ventata di aria fresca nella classe politica francese, capace di catalizzare su di sé le preferenze di gran parte dei francesi attirati dalla novità delle sue proposte e del personaggio, oggi non è riuscito a scrollarsi di dosso la fama acquisita di «presidente dei ricchi».

Buona parte dell’elettorato del rieletto capo dell’Eliseo risiede infatti nella fascia di reddito più elevato, mentre nelle periferie e tra i meno ricchi svettano i voti per Le Pen e Melenchon. Questa settorialità nelle preferenze politiche potrebbe essere il segnale di una difficoltà ad intercettare i bisogni e i favori delle fasce più povere della popolazione, a cui Marcon dovrà necessariamente prestare molta attenzione se non vuole che sul suo secondo mandato si allunghi di nuovo l’ombra di sommosse popolari eredi dei Gilet Gialli.

La situazione estera

Le sfide del nuovo mandato di Macron non si fermano però alle questioni interne. La situazione politica globale occuperà il presidente francese su più fronti, alcuni dei quali spinosi ed intricati. C’è ovviamente la guerra russo-ucraina a destabilizzare i rapporti internazionali e a complicare il rifornimento energetico. Pochi mesi fa inoltre sono scoppiate in Corsica feroci proteste dopo l’assassinio di Yvan Colonna, storico volto dell’indipendentismo corso degli anni ’90, ucciso da uno jihadista mentre scontava l’ergastolo presso il carcere di Arles.

I manifestanti dell’isola, perlopiù giovani, hanno accusato la Francia di non aver protetto adeguatamente il suo detenuto e sono tornati a chiedere a gran voce l’indipendenza. Macron si era allora dimostrato piuttosto accondiscendente con le rivendicazioni dei giovani corsi, aprendosi anche alla possibilità di concedere un’effettiva indipendenza. Con lo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina la questione corsa è precipitata tra le priorità dell’esecutivo francese, ma verrà presto il momento in cui Macron dovrà rendere conto delle promesse fatte.

A questo già complesso quadro politico estero si aggiunge anche la fine dei rapporti militari con il Mali, strategico partner africano della Francia. Il governo maliano ha denunciato frequenti e inopportune prevaricazioni di potere della controparte francese e ha deciso di porre definitivamente fine alla partnership militare, avviata nel 2012 nell’ambito della lotta contro il terrorismo. L’interruzione dei rapporti con la Francia potrebbe fare da propulsore per l’avvicinamento del Mali alla Russia, da anni interessata ad estendere le sue relazioni internazionali in Africa.

I prossimi mesi dimostreranno la strategia del presidente Macron nella gestione di queste insidiose questioni rimaste aperte, tanto in politica interna quanto nei rapporti con gli altri Stati.

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