“He Got Game”, il prezzo per essere al centro del gioco

What is game? Who got game?
Where’s the game in life, behind the game behind the game
I got game, she’s got game
They got game, we got game, he got game

It might feel good, it might sound a little somethin’
But fuck the game if it don’t mean nothin’

He Got Game, Public Enemy

Se parliamo di sport nel mondo moderno, inevitabilmente parliamo di soldi. Molti soldi. Questi alimentano l’industria dello spettacolo sportivo che intrattiene un numero incalcolabile di spettatori ogni giorno, ventiquattro ore su ventiquattro. Al centro di questo piccolo ma spropositato universo capitalistico troviamo come protagonisti indiscussi gli atleti. Calciatori, giocatori di football, piloti, cestisti. Uomini e donne fuori dal comune, che dedicano gli anni migliori della propria vita a coltivare un sogno, pregando ogni giorno che i sacrifici possano incrociare la strada con la fortuna. Tuttavia la fortuna al giorno d’oggi deve pagare il conto alle multimilionarie società che investono nelle giovani promesse e ne manipolano le sorti speculando sul loro talento. Ma in un panorama sportivo così gelidamente servo del vile denaro che fine ha fatto il gioco?

Il mondo tra le mani di Jesus

Jesus Shuttlesworth è la più luminosa promessa del basket americano. Ogni università del paese se ne contende le incredibili gesta sportive ed è pronta ad usare qualsiasi mezzo pur di convincerlo a firmare per il proprio ateneo, primo fra tutti il fascino letale del dollaro. Jesus fugge costantemente dalla scelta, cercando di allontanarla il più possibile nel tempo e tentando di resistere alle tentazioni che gli vengono offerte quotidianamente. Tuttavia la morale e i valori non riempiono le tasche, né garantiscono un futuro a lui e alla sorella minore. Gli è chiaro fin da subito che nessuno, neppure la sua fidanzata,  ha davvero a cuore i suoi interessi o il suo percorso di crescita. Tutti vogliono solo mettere le mani sui punti e gli assist che potrà offrire sul campo. Regali costosi, ragazze mozzafiato e molto disponibili e tante promesse sono il biglietto da visita di ogni agente che gli porge la mano.

A complicare questo delicato e decisivo momento della sua vita giunge una figura drammatica del suo passato, Jake Shuttlesworth, suo padre. Il signor Shuttlesworth era rinchiuso in una cella nel carcere di Attica a scontare la sua condanna per aver accidentalmente ucciso, durante una lite, la propria moglie, nonché madre di Jesus. Gli viene così proposto un accordo dal direttore della prigione. Il governatore dello Stato di New York desidera che Jesus si iscriva all’Università di Big State, se Jake riuscirà a convincere il figlio a scegliere quest’ultima come sua futura destinazione, il direttore garantirà a lui una importante riduzione della pena che ancora gli manca da scontare. Tuttavia il rapporto con Jesus è ormai logoro e ricomparire nella sua vita all’improvviso con il solo intento di perseguire il proprio tornaconto non pare essere il miglior presupposto per una riunione familiare.

 

Il vero volto del professionismo

Spike Lee, da sempre avanguardista nel sostenere la causa del popolo afroamericano, dipinge un crudo affresco del panorama sportivo statunitense che coinvolge i giovani ragazzi neri. In maniera molto diretta il regista ha dichiarato:

A questi giovani afroamericani offrono una macchina, soldi, qualche gioiello e l’esca di qualche figa bianca. Se sei il più grande giocatore di tutti i licei della nazione puoi star sicuro che arriveranno a sventolarti qualche paio di mutandine sotto il naso.

L’ipocrisia dilagante che circonda coach, agenti ed NCAA è oggetto della critica di He Got Game. L’interesse per il futuro di un adolescente è solo un argomento marginale nel discorso di queste figure nel mondo dello sport. Ciò che conta è arrivare a vincere, spremendo ogni goccia di talento dal “Nuovo Michael Jordan” di turno e consumandone l’immagine pubblica al fine di vendere quanto più merchandising possibile. Tutti tendono la mano al giovane che emerge dalla strada, ma nessuno lo fa senza la certezza di ottenere qualcosa in cambio. Nessuno, neppure amici o parenti. Il profitto viene sempre prima del gioco.

Per rendere ancora più vera la resa su schermo di questa concettualità, Spike Lee ha affidato, nel 1998, la parte di Jesus Shuttlesworth alla allora stella dell’NBA, in futuro vera e propria leggenda, Ray Allen. I dubbi riguardo le sue capacità attoriali erano molte, eppure Ray ha saputo calarsi ottimamente nella parte, senza risultare inopportuno e sfruttando l’essenzialità dei dialoghi affidatagli per adattare il personaggio al proprio carattere. Al suo fianco, nei panni di Jake, troviamo Denzel Washington che regala una delle sue classiche grandi interpretazioni, delineando un personaggio vittima degli eventi, che cerca di ostentare una sicurezza che in realtà non possiede mai davvero. La partita di basket finale tra padre e figlio è la chiusura perfetta del cerchio e mostra allo spettatore tutta l’imprevedibile chimica che si era venuta a generare sul set tra uno dei più grandi tiratori da tre punti della storia della pallacanestro e Denzel Washington.

 

Il fattore Spike Lee

La colonna sonora rappresenta l’arma in più di He Got Game. Un connubio particolare, a tratti straniante ma ad alto impatto, tra le composizioni classiche di Aaron Copland e le atmosfere urban del gruppo hip-hop Public Enemy. La musica classica esalta la drammaticità delle scene più rivolte al lato emotivo delle vite dei due Shuttlesworth, mentre i brani rap riconducono lo spettatore tra i palazzi di Coney Island per fargli respirare l’ambiente del playground .

Con He Got Game Spike Lee racconta una storia sportiva controcorrente. Di basket giocato all’interno della pellicola del regista made in New York ce n’è molto poco e si percepisce costantemente che il focus è volutamente rivolto alla cornice che circonda il quadro sfavillante del professionismo. L’intento è quello di mostrare i retroscena nascosti nell’ombra delle romantiche parabole sportive che i media ci raccontano. Dietro ogni grande scalata al successo ci sono una serie di compromessi dalla quale non si può fuggire. Per poter stare al centro del gioco c’è un prezzo da pagare che molto spesso corrompe i sogni da bambino.

What’s Love Got To Do with what you got
Don’t let a win get to your head or a loss to your heart

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