Piazza Tahrir, dal 2011 al 2022

Il governo di Al-Sisi fu accolto positivamente dalle forze politiche Occidentali, preoccupate dalla possibilità che l’Egitto potesse diventare una trottola instabile nel quadrante mediorientale, eppure ben presto il suo dominio si è trasformato in un regime del terrore, tanto che molti di coloro che negli anni hanno provato a manifestare dissenso si trovano nelle carceri, per lo più senza mai essere passati attraverso un regolare processo.

Hosni Mubarak

Dieci anni fa, la rivoluzione di piazza Tahrir rovesciava il regime di Hosni Mubarak e segnava l’alba di una nuova era per l’Egitto. Dieci anni dopo i militari controllano di nuovo il Paese, un terzo degli egiziani vive in povertà e dalla piazza è stato cancellato ogni ricordo delle manifestazioni.

Così inizia l’articolo redatto dall’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale e pubblicato in occasione dell’anniversario della manifestazione in piazza Tahrir, avvenuta il 25 gennaio del 2011. Il 25 gennaio 2011, Piazza Tahrir si solleva contro Mubarak, presidente dell’Egitto dall’ottobre del 1981 fino al febbraio del 2011. Perché? E chi era Mubarak?

Hosni Mubarak salì al potere dopo Anwar al-Sadat, presidente egiziano che venne ucciso per mano di estremisti islamici nel 1979. La politica di Mubarak si impegnò fortemente nella lotta all’estremismo, anche ricorrendo a misure antidemocratiche. Una di queste è stata per esempio l’istituzione dello stato di emergenza, strumento spesso utilizzato al fine di soffocare il dissenso interno, più che per la lotta agli estremisti islamici.

All’interno della lotta all’estremismo di Mubarak sembrava rientrare anche la legge che rendeva illegale il movimento dei Fratelli Musulmani (st.ilsole24ore.com), anche se – citando Treccani – “dal 1984, con H. Mubarak, i F.m. entrarono nel Parlamento egiziano, mediando fra l’islamismo moderato e quello più radicale“.

I Fratelli Musulmani sono una organizzazione fondata in Egitto nel 1928 e hanno come obiettivo quello di ricondurre l’Islam al centro della vita non solo sociale, ma anche politica della comunità musulmana; sono diffusi non solo in Egitto, ma anche nei Paesi arabi vicini. I Fratelli Musulmani hanno partecipato alla lotta per l’indipendenza dell’Egitto fino al 1952, anno del colpo di Stato.

25 Gennaio 2011

Mubarak voleva spianare la strada al figlio Gamal, ma dovette affrontare due problemi troppi grandi: la primavera araba e lo scontento popolare.

  1. Primavera araba è il nome con cui è stata battezzata dai media l’ondata delle proteste iniziate in Tunisia all’inizio dell’anno 2011, allo scopo di rovesciare Ben Ali, presidente della Repubblica di Tunisia dal 1987, e di istituire libertà e democrazia nel Paese.
  2. Lo scontento popolare nasceva invece dal fatto che l’economia dell’Egitto aveva assistito sì a un’imponente crescita del PIL (dal 2006 al 2008 era passata dal +6.8% al +7.3%), lasciandosi però alle spalle il benessere. In altre parole, i ricchi erano pochi e sempre più ricchi, mentre i poveri erano tanti e sempre più poveri, e la classe media invece cessava di esistere. In una situazione come questa, inutile aggiungere, la corruzione può solo che dilagare.

Si arriva così al 25 gennaio 2011 e a migliaia di egiziani che riempiono piazza Tahrir, la piazza centrale del Cairo, capitale egiziana. La rivolta si allarga al punto tale da raggiungere altre città del Paese, come per esempio Alessandria. Dopo 18 giorni di proteste e scontri violenti, la polizia indietreggia e il presidente Mubarak, “l’ultimo faraone”, ormai da 30 anni alla carica, accetta di dimettersi, lasciando in questo modo il controllo ai militari. L’inizio di una nuova stagione?

25 Gennaio 2021, dieci anni dopo Piazza Tahrir

Le cose non andarono come molti dei manifestanti speravano o avevano previsto. Il 25 gennaio 2011, gli egiziani riversati in Piazza Tahrir, esasperati dalla corruzione, dal mancato rispetto dei diritti e dall’assenza di prospettive, urlavano uno slogan, divenuto poi inno del cambiamento: “la gente vuole la caduta del sistema“. La piazza di Tahrir è la stessa piazza chiamata anche Piazza della Liberazione, nome ricevuto dalla rivoluzione del 1952 per mano degli ufficiali liberi di Nasser. La stessa piazza, quasi 60 anni più tardi, si è rivoltata contro i suoi stessi creatori.

Arrivando al 2021, che cosa succede? L’attuale presidente dell’Egitto, in carica dal 2014, è Abdel Fattah al-Sisi. Al-Sisi ha voluto rimodellare Tahrir: gli estimatori ritengono che la piazza assomigli ora alle grandi piazze delle capitali europee; i critici sostengono che questa nuova veste abbia lo scopo di cancellare ogni memoria della rivoluzione del 2011.

Le speranze dei manifestanti di dieci anni fa sono state soddisfatte? Ad oggi, il governo di al-Sisi viene considerato molto più oppressivo di quello di Mubarak: le organizzazioni che si occupano della difesa dei diritti umani accusano il nuovo presidente di aver ostacolato e di ostacolare ancora “qualsiasi reale opposizione politica, instaurando un clima di terrore attraverso l’uso della forza bruta, della tortura, delle carcerazioni forzate e delle sparizioni”.

Studenti, attivisti, sindacalisti: i “nemici” di al-Sisi

Si pensi, ad esempio, al caso di Giulio Regeni. Regeni era uno studente italiano, proveniente da Fiumicello, in provincia di Udine; stava frequentando il dottorato presso l’Università di Cambridge quando è stato rapito il 25 gennaio del 2016 al Cairo, dove stava svolgendo una ricerca per conto dell’università americana. Il corpo del dottorando è stato ritrovato due settimane dopo, esattamente il 3 febbraio, mutilato da atroci torture.

Le speranze di conquista della libertà e dei diritti, mostrate dai protestanti di Tahrir del 25 gennaio del 2011, sono state tradite, e Giulio Regeni non ne è l’unico segno:

Ricordiamo, tra i tanti, alcuni degli attivisti ancora in prigione in Egitto come l’avvocata Mahiennour el-Masri, l’attivista socialista Alaa Abdel Fattah e sua sorella Sanaa Seif, il blogger Mohamed Oxygen, il politologo Hazem Hosni, gli attivisti per i diritti umani, Amr Imam e Mohamed al-Baqer, lo studioso Ismail Iskandarani, il leader di Egitto Forte, Moneim Aboul Fotuh e il sindacalista Haitham Mohammadin, insieme all’uccisione per mano del regime della poetessa e attivista socialista, Shaimaa al-Sabbagh (2015).

Le accuse formulate contro gli attivisti, contro i difensori dei diritti umani e contro gli avversari politici spesso fanno riferimento a dei presunti discorsi, ritenuti offensivi nei confronti del presidente, Abdel Fattah al-Sisi. L’organizzazione Human Rights Watch stima che almeno 48 imputati sono stati  ingiustamente incarcerati già nella fase precedente al vero e proprio processo. La speranza è che un nuovo movimento riesca a riportare al centro del discorso il tema dei diritti e dell’uguaglianza, che si riesca a mettere in luce e a condannare i crimini del governo di al-Sisi.

 

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