Yemen

La guerra dimenticata dello Yemen

Nel Medio Oriente si trova un piccolo Stato vessato da guerra, fame e povertà, talmente dimenticato che forse in molti dovranno consultare un atlante per avere piena consapevolezza della sua collocazione nel globo (nel sud della penisola arabica, proprio all’imboccatura del Mar Rosso, per chi non avesse voglia di fare una ricerca su Google Maps). Nonostante la sua scarsa considerazione nelle coscienze dei cittadini globali, lo Yemen ha assunto negli ultimi anni una fondamentale rilevanza strategica, sia per quanto riguarda i delicati equilibri politici del Medio Oriente, sia per i rifornimenti energetici destinati all’Occidente. Ma gli interessi dell’Ovest del mondo sullo Yemen non si fermano al petrolio: il conflitto che dal 2014 interessa il Paese è stato per molto tempo uno sfiatatoio per la vendita di armi, finanziamenti a cui ha partecipato anche l’Italia.

YemenUn po’ di storia

Lo Stato yemenita è una nazione piuttosto giovane. Il suo atto di nascita risale al maggio 1990, esito dell’unificazione tra lo Yemen del Sud e del Nord, a lungo divisi da una incolmabile differenza religiosa e politica. Venne approvata una nuova costituzione e istituito un Consiglio presidenziale con a capo Abdallah Saleh, che propose una serie di riforme per avviare lo sviluppo del neonato Stato unificato. Ma i virtuosi tentativi di Saleh ebbero vita breve: dopo l’invasione irachena del Kuwait lo Yemen sprofondò in una crisi economica che aggravò i già sospettosi rapporti tra partiti di aspirazione islamica e quelli al governo. Lo stato di forte tensione tra i due eserciti, rimasti separati dopo l’unificazione nazionale, sfociò in un aperto conflitto che si risolse solo nel 1994, quanto le truppe del Nord conquistarono la città di Aden.

Saleh fu rieletto presidente nel 1994, nel 1999 e nel 2006. Sul suo esecutivo pesano le accuse di dilagante corruzione e malgoverno: in pochi anni lo Yemen si è trovato riverso in una crisi economica e sociale profonda, destinata a lasciare i suoi strascichi fino ad oggi. Proprio sotto il governo di Saleh infatti si affermano alcuni gruppi fondamentalisti, autori dal 2000 di diversi attentati terroristici e tanto radicati nel Paese da riuscire a far inserire i fondamenti della legge islamica all’interno del diritto yemenita a partire dal 2004. Negli stessi anni il governo Saleh ha dovuto fare i conti con violente proteste che ne hanno messo in dubbio la sua stessa legittimità, gravi dissidi con i gruppi sciiti zaiditi, avversi al governo, e forti spinte secessioniste nella parte meridionale del Paese.

Anche al Nord la popolarità di Saleh non è certo rimasta integra: nel gennaio 2011 manifestazioni popolari pacifiche tentano di costringere il presidente a dimettersi, non ottenendo alcun risultato e subendo invece una terribile repressione dalle forze governative. Come risposta il popolo incendia il palazzo dell’esecutivo, ferendo gravemente Saleh.

L’era di Hadi e il conflitto con gli Houthi

Solo nel 2012, dopo nove mesi di conflitti e una difficile transizione politica, il potere ricade nelle mani di ʿAbd Rabbih Manṣūr Hādī, già vicepresidente sotto Saleh. Il passaggio di testimone però non sortisce gli effetti pacificatori sperati, aggiungendo sulla scena dell’instabilità politica yemenita un nuovo pericoloso attore. Si tratta del gruppo zaydita Houthi, alleati di Saleh. Nel 2015 un attentato costringe il presidente Hadi a rifugiarsi ad Aden, allora proclamata capitale dello Yemen. Una coalizione militare internazionale a guida saudita parte quasi immediatamente per sostenere il legittimo presidente Hadi nella lotta contro i ribelli Houthi, in uno scontro che ha fatto sprofondare lo Yemen in una crisi umanitaria senza precedenti.

Quando Saleh, nel 2017, tenta un’apertura verso la coalizione saudita nella speranza di trovare un punto di accordo sulla situazione yemenita, i ribelli lo accusano di tradimento e lo trucidano. Nel frattempo nuovi focolai di guerra si attivano nel territorio. In particolare nel sud dello Yemen i gruppi ribelli si organizzano nel Consiglio di Transizione Meridionale, deciso a far valere, con il probabile finanziamento degli Emirati Arabi Uniti, le sue istanze separatiste.

L’evidente aggravarsi della lotta per il potere nello stato ha costretto Hadi a rinunciare alla sua carica lo scorso aprile, affidando lo Yemen ad un collegio esecutivo con l’incarico di ristabilire la pace nel piccolo stato del Medio Oriente.

La crisi umanitaria

Come spesso accade, il prezzo della guerra è soprattutto pagato dalla popolazione civile. Negli ultimi sette anni, da quando si è avviato il conflitto tra Houthi e governo, ben 377mila cittadini yemeniti hanno perso la vita. Un allarmante rapporto dell’Onu denuncia come il 60% di queste morti siano dovute agli effetti collaterali del conflitto, come la fame, la sete, le povere condizioni igieniche a cui si è dovuta abituare la popolazione. L’Undp, l’Agenzia per lo sviluppo dell’Onu, ha affermato che nel 2021 in Yemen ogni nove minuti moriva un bambino al di sotto dei cinque anni.

YemenDati preoccupanti arrivano anche da fonti interne al Paese. L’organizzazione umanitaria Mwatana, una delle più impegnate sul territorio yemenita, ha parlato di 1.605 casi di detenzione arbitraria, 770 sparizioni e 344 casi di tortura perpetrati tanto dagli Houthi, quanto dalle forze governative. A questo si aggiungano gli stupri e i pestaggi nei confronti dei migranti provenienti dal Corno D’Africa, accusati da entrambi gli schieramenti di essere portatori di malattie. Covid e colera stanno infatti decimando la popolazione yemenita e, non potendo dare la colpa alle bombe che distruggono gli ospedali, i due eserciti hanno trovato nell’immigrazione un facile capro espiatorio.

L’interesse internazionale: petrolio e vendita di armi

Con lo scoppio della guerra in Ucraina e la prevedibile interruzione dei rifornimenti di petrolio russo in risposta alle sanzioni occidentali, lo Yemen ha assunto una nuova, fondamentale prospettiva nel contesto internazionale. Prima dell’inizio del conflitto, l’export di petrolio consisteva nell’89% delle esportazioni del vacillante Stato del Medio Oriente, il che gli conferisce un rinnovato interesse da parte della clientela occidentale. L’impatto delle risorse yemenite sul fronte energetico mondiale è stato dimostrato lo scorso marzo, quando gli Houthi hanno attaccato e danneggiato alcuni siti del colosso petrolifero saudita Amarco facendo schizzare il prezzo dell’oro nero sui mercati internazionali.

Oltre che sulla questione energetica, le difficili condizioni dello Yemen fanno riflettere anche su un altro mercato da miliardi di dollari, quello delle armi. Negli ultimi cinque anni l’Italia ha esportato armi in molti Paesi del Corno d’Africa e del Medio Oriente, tra cui lo Yemen, per un totale di 18,4 miliardi di euro.

Negli ultimi giorni si è acceso nel nostro Paese il dibattito sull’opportunità di inviare armi offensive all’esercito ucraino, chiedendosi se un tale sostegno non rischi solo di esacerbare le barbarie e se non sia invece il caso di tendere una mano a Kiev soltanto attraverso il potente ricatto economico alla Russia. “Sono contrario all’invio di armi offensive a lunga gittata all’Ucraina“, ha affermato il leader di «Azione» Carlo Calenda a una puntata di Agorà; “no alle armi letali a Kiev” ha detto Matteo Salvini a «Mezz’ora in più»; il segretario del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte si è più volte detto contrario all’invio di armi pesanti sul territorio ucraino. Tutto questo mentre, nel silenzio generale, l’industria italiana di armamenti va avanti da anni verso Paesi che forse sono troppo distanti per rientrare nel raggio d’azione della compassione occidentale.

Fame, epidemie, povertà, armi, petrolio: questi gli ingredienti per la “classica” guerra dimenticata, poco interessante agli occhi dei media. Eppure in Yemen si continua a morire.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.