Uomo e natura

La natura è sempre stato un tema caro ai letterati di ogni epoca, dall’antichità sino ad oggi. Grazie alla sua suggestività, è sempre stata fonte di ispirazione per la creazione di componimenti letterari di diverso genere. Gli artisti si sono sempre posti davanti al quesito su quale sia il significato della natura e il suo rapporto con l’uomo. Cercando la risposta si sono susseguite una grande varietà di interpretazioni che hanno condotto ad altrettante conclusioni. Abbiamo varie prospettive da cui poter approfondire e trarre le nostre considerazioni sulla questione. Sebbene non esauriente, gli spunti di riflessione posti dai letterati hanno portato a una maggiore conoscenza della natura e dello stesso uomo. 

La natura antica

Per gli antichi la natura è manifestazione dell’entità divina. Gli dei sono concepiti come dominatori di un determinato elemento naturale: Poseidone, dio del mare; Zeus, dio del cielo; Elio dio del sole, ecc. Questa corrispondenza, fra natura e divinità, viene riportata nella letteratura sotto forma dei miti, i racconti sull’origine della realtà naturale e umana.

L’opera esemplare del genere del mito è Le metamorfosi di Ovidio, che racchiude i miti più popolari della tradizione classica. Il poeta riporta e rielabora 250 miti greci, concentrandosi sulla metamorfosi: il passaggio da una natura a un’altra, da una essenza a un’altra. I vari miti mostrano la trasformazione di esseri umani o divinità in elementi naturali, come piante, rocce, fiumi, ecc. Alcuni miti hanno avuto talmente successo da rimanere nella cultura popolare ed essere ripresi nella produzione letteraria occidentale, in particolar modo nelle poesie. Uno fra questi è il mito di Dafne e Apollo che narra la trasformazione in alloro di Dafne per fuggire dall’amore violento di Apollo. Un altro mito di grande fame è quello di Narciso: si innamora della propria immagine riflessa e muore per l’impossibilità di questo amore, diventando un piccolo fiore. 

Un altro tema riguardante la natura caro alla letteratura e all’arte in generale, è quello del locus amoenus. Introdotto da Virgilio nelle Bucoliche, il locus amoenus indica un luogo idilliaco, incontaminato, dove si respira perfezione e felicità. Questa dimensione idealizzata viene spesso ricondotta al mondo rurale, dove predomina la natura silvestre, autentica. Il tema del locus amoenus acquisisce tanta rilevanza da diventare un topos letterario, evocato da diversi autori di prestigio, anche con approccio critico o ironico, come Dante, Petrarca, Ariosto.

Dal divino all’io interiore

Nel corso della storia letteraria, la natura ha mantenuto la valenza di espressione del divino, soprattutto in epoca medievale grazie all’affermazione del cristianesimo. La natura non è più manifestazione degli dei, ma di Dio. Vengono introdotte nuove corrispondenze fra elementi naturali e messaggi divini: la colomba, simbolo di pace; l’agnello, simbolo di innocenza. E questi simboli vengono ampiamente ripresi dai poeti provenzali, i quali li trasmettono a loro volta alla lirica italiana. 

L’interpretazione della natura cambia con l’avvento del Romanticismo, movimento culturale e artistico che rivoluziona la posizione dell’uomo nei confronti del mondo. Lo spirito romantico, caratterizzato dall’esaltazione dell’interiorità, dall’aspetto emotivo, segna una frattura con la concezione tradizionale della natura in letteratura. La natura non è più simbolo della divinità, ma diventa custode e riflesso della sensibilità dell’uomo. Poeti e scrittori proiettano nei fenomeni naturali i propri sentimenti e tormenti. La natura diventa pertanto lo sfondo della vita travagliata e passionale degli artisti, desiderosi di rivoluzione ma delusi dalla realtà che li opprime. Inoltre, si diffonde l’esotismo, il gusto per la natura indigena delle terre straniere e lontane, che esercita un forte fascino per il suo carattere selvaggio e ribelle.

Leopardi: natura benigna o maligna?

La natura rappresenta il fulcro della poetica di Leopardi. Attraverso una riflessione filosofica, Leopardi indaga sulla condizione dell’uomo e quale influenza esercita la natura su di essa. Leopardi individua una condizione di infelicità ineluttabile dell’uomo, dovuta al costante desiderio di infinito che è connaturato nell’uomo, ma che è impossibile da soddisfare a causa della sua mortalità. In questa situazione, la natura svolge una funzione consolatrice, come madre protettiva e premurosa, dando all’uomo i mezzi per contrastare l’infelicità: l’immaginazione. Questa visione viene espressa nella celebre poesia L’infinito: la visione limitata da una finestra e ostacolata da una siepe, si affida all’immaginazione per perdersi nell’infinito, dove finalmente trova serenità, dove “Il naufragar m’è dolce in questo mar”.

Se la prima fase della poetica leopardiana concepisce la natura come attenta alla sofferenza dell’uomo, nella seconda fase la sua posizione è completamente ribaltata. Di fatto nella fase detta pessimismo cosmico, Leopardi individua nella natura non solo l’impossibilità di aiutare l’uomo, ma persino la fonte della sua infelicità. È la natura a causare l’eterna sofferenza dell’uomo in quanto è essa a dargli vita, a renderlo mortale e fargli desiderare l’infinito. La natura si dimostra persino crudele nei confronti dell’uomo: infierisce acuendo i suoi dolori attraverso malattie, calamità naturali, morte. Questa concezione della natura diventa la base delle Operette morali in cui, attraverso uno stile ironico e pungente, Leopardi insiste sulla sofferenza dell’uomo causata dalla natura.

Leopardi manterrà la sua visione anche nella sua terza e ultima fase, il cosiddetto pessimismo eroico. Negli ultimi anni della sua vita Leopardi concepisce la sofferenza come una condizione che avvicina tutti gli uomini, che può essere un invito alla collaborazione solidale per far fronte alla natura. Nell’emblematica poesia La ginestra, Leopardi aspira al modello di vita dell’uomo ispirato al fiore del deserto: nonostante il suo destino avverso, resiste stoicamente.

Panismo: l’immersione dell’io nel flusso della natura

Se tradizionalmente si percepisce l’uomo e la natura come due realtà distinte, che si possono conciliare o contrastare, il panismo invece ribalta questa concezione. Il panismo è un atteggiamento artistico e letterario che concepisce l’uomo come elemento intrinseco della natura, uno dei tanti mezzi con i quali essa si esprime. L’uomo pertanto perde la sua identità specifica per entrare a far parte della realtà immensa della natura. 

Un’opera emblematica di questa corrente è certamente La pioggia nel pineto di D’Annunzio, il poeta più popolare della storia novecentesca italiana. In questa poesia, il poeta immagina una passeggiata in una deserta pineta assieme alla sua amata Ermione – identificata come la reale amante di D’Annunzio, ossia Eleonora Duse. Un temporale sopraggiunge e il rumore delle gocce di pioggia sulla vegetazione crea una dimensione suggestiva, magica, caratterizzata da suoni e odori che ammaliano i due amanti. Con l’intensificarsi delle sensazioni che sprigiona la natura, i due protagonisti si sentono sempre più coinvolti, parte del tutto, tanto da andare incontro a una vera e propria metamorfosi. In particolare D’Annunzio evidenzia la trasformazione della sua amata, attraverso cui i suoi tratti umani diventano elementi naturali: “il cuor nel petto è come pesca”, “tra le palpebre gli occhi son come polle tra l’erbe”, “i denti tra gli alveoli sono son come mandorle acerbe”. 

Attraverso questa poesia, D’Annunzio mostra il legame sotterraneo che vi è tra l’uomo e la natura e che può essere risvegliato attraverso sensazioni forti e uniche. In questo caso, l’uomo riconosce di esser parte della natura, di essere una sua manifestazione ed espressione. E per l’uomo non è una perdita d’identità, bensì un abbandono consapevole che è persino fonte di gioia e serenità.

L’uomo contro la natura 

La natura regola la vita di ogni materia esistente attraverso delle leggi inviolabili. Oltre questi confini non si può andare, ma non tutti gli uomini la pensano alla stessa maniera. Esistono gli sfidanti della natura, coloro che desiderano dimostrare di poter raggiungere mete ritenute impossibili. 

Si trattano di sfide che la tradizione letteraria testimonia numerose volte nel corso della sua storia. L’uomo è sempre in conflitto con una forza superiore, invalicabile, ma la cui immagine concreta cambia nella storia letteraria, in concomitanza dello sviluppo del pensiero occidentale. L’identità della massima autorità e regolatrice del cosmo passa infatti dalle divinità alla natura vera e propria. Nella letteratura classica e medievale, dovuto all’influenza religiosa, l’uomo si trova come ultimo limite un’entità divina. In questo caso, l’uomo è mosso dal desiderio di compromettere l’autorità della divinità, ritenuta intangibile. Nella letteratura moderna, invece, il grande ostacolo è rappresentato dagli elementi naturali, manifestazione di una natura legislatrice. A spingere gli eroi, è il desiderio di dimostrare la propria superiorità, imporsi sopra la collettività come unico essere ad aver vinto la natura. 

I Prometeo, Dr. Frankenstein, Achab, Faust, della storia letteraria rappresentano l’esasperazione del desiderio umano. Di fatto gli eroi si caratterizzano tutti per un’ambizione che va oltre i limiti prestabiliti dalla natura. Nonostante l’impresa si presenti irrealizzabile, i protagonisti si armano di ogni mezzo per attuare la propria volontà. È proprio la forza dei limiti a rendere irresistibile il desiderio di violarli: arrivare dove nessuno è arrivato. L’eroe in alcuni casi vince la sfida contro la natura, ottenendo il proprio intento, ma spesso questo gli si rivolge contro: Prometeo viene punito dagli dei, Frankenstein viene ucciso dalla sua stessa creatura. In altri casi, la stessa ricerca conduce al proprio annientamento, come Achab che perde la propria vita nel tentativo di catturare la leggendaria balena bianca. L’eroe non accetta la sottomissione al fato e lotta per rivendicare la propria libertà assoluta, ma spesso deve arrendersi alle leggi della natura.


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