Fra superstizione e “progresso”: il caso di Colobraro

Giù nella profonda Basilicata, a due passi dal Golfo di Taranto, c’è un paesino come tanti. Sta arroccato sul suo colle, apparentemente immune ai cambiamenti del tempo: non vi si trovano grandi cartelloni pubblicitari, grattacieli che offuschino il cielo o catene di fast food. Niente di tutto questo: Colobraro è uno dei tanti paesini italiani dove il tempo scorre più lentamente, dove il mondo è distante anni luce e dove la vista si disperde tutt’al più sullo Ionio.

Il “paese della magia”

Colobraro, però, è solo all’apparenza un normalissimo paesino italiano. In realtà è molto di più: questo minuscolo centro abitato in provincia di Matera è un emblema. È l’emblema di una realtà più dimenticata che sconosciuta, ma per alcuni sempre viva.

Colobraro è, secondo la tradizione, il paese della magia. La tradizione è piuttosto recente e risale all’epoca del Ventennio fascista. Si racconta che, durante una riunione di amministratori locali, il podestà (ovvero la figura monocratica istituita nel Ventennio per governare sulle realtà locali) Biagio Virgilio, al termine del suo discorso, avrebbe giurato la veridicità delle sue parole, “cascasse il lampadario se così non fosse”. Ebbene, si narra che il lampadario sia caduto per davvero, e l’evento favorì la diffusione nel superstizioso entroterra lucano della sua cattiva nomea.

Il noto antropologo Ernesto de Martino contribuì a questa fama durante i sette anni in cui studiò il fenomeno, tra il 1952 e il 1959, riferendo di eventi apparentemente inspiegabili che proverebbero la presenza di forze sovrannaturali.

Potrà apparire come sciocca superstizione del passato, ma la fama di Colobraro resta ben vivida nelle vite dei suoi abitanti e di quelli dei comuni circostanti. Ancora oggi, per chi abita in provincia di Matera, Colobraro è “quel paese là“: guai a pronunciarne il nome, foriero di sciagure. Gli abitanti che si recavano in paesi circostanti venivano sempre trattati con timoroso rispetto: sia mai che potessero lanciare sul paese o su qualche passante maleducato un qualche tipo di stregoneria!

Superstizione e “ateismo” contemporaneo

Il XXI secolo, certo, non è più epoca per superstizioni e credenze un tempo molto fortunate. Nei grandi centri urbani la stessa religione (o meglio, le religioni in generale) vede numeri di fedeli ben diversi da quelli del secolo scorso. Le superstizioni, va da sé, sono state per lo più spazzate via da un’era in cui la razionalità scientifica prevale su tutto, in una versione piuttosto smorzata ma sempre convinta dell’Illuminismo settecentesco, che si è incontrato/scontrato col Positivismo due secoli più tardi.

Nella vita quotidiana dei più fa sorridere la presenza di persone che, in maniera spesso percepita come buffa, si gettino pizzichi di sale alle spalle, o evitino di passare sotto scale e pontili. Queste e molte altre superstizioni sono rimaste per lo più come gesti abitudinari, spesso slegati dalla loro natura spirituale.

La contemporaneità, molti sostengono, è la tomba della superstizione. Il radicarsi, all’interno della vita quotidiana e del tessuto socio-politico, di pretese di razionalità e oggettività (seppur talvolta queste restino solo pretese) ha soppiantato un sistema culturale e tradizionale che nell’immaginario comune è semplice retaggio del passato, emblema di una società iniqua e arroccata nei suoi dogmi retrogradi. Oggi alla superstizione vengono preferiti, un po’ ironicamente, luoghi comuni che in realtà sono su essa basati: abbiamo visto come ancora oggi Colobraro non goda di ottima fama, e poco c’entra il sempre chiamato in causa tema dell’arretratezza del Mezzogiorno.

Progresso lineare

Nell’immaginario comune, e nel pensiero di molti, religione e scienza (esemplificativi di concetti più astratti come superstizione e pensiero razionale) sono in evidente e inevitabile conflitto. Uno studio del 2014, promosso sulla base dell’esplicita affermazione di questo concetto da parte del noto divulgatore scientifico Neil deGrasse Tyson, ha mostrato come il 60% della popolazione americana sia fermamente convinta di ciò: la superstizione tradizionale e il pensiero critico razionale non sono conciliabili in alcun modo.

In generale, si può affermare che sia ormai dominante l’idea secondo la quale il pensiero scientifico-razionale si sia imposto, liberandosi dal giogo della superstizione vetusta. Il motto della modernità è espresso da un autore a essa ben antecedente, ovvero Lucrezio, nel I secolo avanti Cristo: tantum religio potuit suadere malorum (“tanti mali potè ispirare la superstizione”).

Quest’idea si è diffusa grazie alla narrazione di una storia lineare, che vada immancabilmente verso il “progresso”, a prescindere dalle diverse forme che questo ha assunto nella storia stessa. Il fatto più ironico di quella che è una complicata questione (irrisolta) che coinvolge gli intellettuali da diversi secoli è che questa narrazione, squisitamente positivista, sia figlia della cultura giudaico-cristiana, che tratta la storia appunto come una linea retta. È ben sintetizzata dal noto filosofo tedesco dello scorso secolo Max Weber, il quale sottolinea come la modernizzazione altro non sia che un progressivo “liberarsi” della superstizione religiosa.

Fardello o patrimonio?

I fatti storici, non solo del Novecento, ci insegnano però come tale concezione sia sostanzialmente errata. Il progresso della società umana non è un qualcosa di inevitabile e lineare, ma piuttosto il risultato di una serie di azioni ed eventi che hanno avuto luogo grazie a diverse concause. Inutile poi sottolineare come la storia contemporanea dimostri che questo “progresso” non sia sempre da leggere attraverso le miopi lenti positivistiche, ma che anzi spesso coincida con evoluzioni che tali sono solo nominalmente. A ben vedere, il “pensiero razionale” è solo uno specchietto per le allodole, un’etichetta con la quale semplificare (erroneamente) il monopolio che la scienza ha assunto nel panorama culturale contemporaneo.

Colobraro, però, resiste. Oggi il paesello sta tentando di fare di quello che è stato uno stigma sociale un punto di forza. Il “paese della magia” oggi è meta di un turismo attualmente di nicchia, ma non marginale per i suoi abitanti. Rispolverando miti del passato, e facendo della propria storia e tradizione un segno distintivo, Colobraro ha saputo crearsi un’identità culturale capace di distinguere un anonimo paese del Sud Italia, altrimenti irriconoscibile nella moltitudine.

Questo esempio non vale soltanto come spunto per agenzie viaggi e simili, ma ci insegna soprattutto come la “razionale” modernità e la tradizione culturale possano coesistere. L’affidamento che si fa sulla medicina moderna, e più in generale sul progresso scientifico e tecnologico, non è inconciliabile per se con l’identità culturale che una comunità ha, e che deve (a meno che non desideri, appunto, perdersi nella moltitudine globalizzata) difendere come quello che è: un patrimonio.

FONTI

Il Post

Religion in the Era of Postsecularism, Dr. Uchenna Okeja, Routledge, 2021

CREDITI

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