Murales che sulla libertà di informazione

La vita difficile dei media russi

È una battaglia a doppio volto quella che Putin ha messo in atto con l’invasione dell’Ucraina perché, nell’esatto momento in cui il conflitto ha avuto inizio, il popolo ucraino non è stato l’unico oggetto di repressione che il Cremlino ha innalzato a nemico. Anche i media russi sono diventati oggetto di eccessive attenzioni da parte dei piani alti. Che la vita dei media russi fosse difficile, era cosa nota, ma quello che Putin sta mettendo in atto è una censura epocale, dove propaganda e informazione non sono più distinguibili l’una dall’altra.

La guerra dell’informazione e all’informazione

Accendere la televisione in Russia oggi è come essere risucchiati in una realtà parallela fatta di trionfalismi eccessivi e notizie distorte. A oltre un mese dall’inizio della guerra in Ucraina, Putin ha proceduto ad avviare una rivoluzione interna che è andata a colpire molti canali di informazione indipendenti russi, le spine nel fianco del Cremlino, che sono stati immediatamente chiusi. Decisioni immediate, ma probabilmente ponderate da tempo, e poco preavviso, i primi ad aver subito l’ascia del Cremlino sono stati la storica radio L’Eco di Mosca (Ekho Moskvy), che in agosto avrebbe compiuto 32 anni, e il canale televisivo Dozhd, anche conosciuto come Rain TV.

Media indipendenti e Cremlino: una convivenza difficile

Come già detto in precedenza, la situazione dei media in Russia è sempre stata difficile. Già nel 2019, la Duma aveva approvato una legge che prevedeva punizioni severe per chiunque pubblicasse “notizie false” o “irrispettose” verso il governo. La legge prendeva di mira tutte quelle forme di dissenso online senza possibilità di ricorso. Una volta evidenziati, i contenuti ritenuti fuori legge, scritti da quotidiani online o singoli utenti, dovevano essere cancellati entro 24 ore. Era quindi ovvio che, una volta iniziato un conflitto di tale portata, il bavaglio contro i media si facesse ancora più stretto. La pratica di violare la libertà di informazione durante un conflitto ha caratterizzato molti governi già durante i conflitti mondiali, e Putin non si è discostato da questa tradizione cara ai regimi dittatoriali.

Informazione è propaganda

A eccezione dell’interruzione avvenuta la mattina del 24 febbraio per annunciare “un’operazione speciale in Ucraina”, la televisione di Stato russa non è cambiata poi molto da quando è iniziato il conflitto. Non ci sono spiegazioni di quello che sta succedendo e quando ci sono, esse sono deformate fino all’inverosimile. Non si possono usare le parole “guerra” o “aggressione” per riferirsi a quella che per gli uomini del Cremlino è “un’operazione militare speciale” che si è presa l’onore di liberare un Paese dalla presenza soffocante del nazismo.

Le informazioni diventano ogni giorno sempre più limitanti e la differenza tra informazione e propaganda si fa sempre più sottile. Non stupisce che, in un Paese dove la maggior parte della popolazione è costretta a rivolgersi alla televisione di stato per ottenere delle informazioni, molti credono a ciò che gli viene detto. E questo modo di agire vale anche quando le notizie non sono così ottimistiche come si cerca di dipingere.

Le parole di chi cerca di resistere ancora

In un’intervista a Sky tg24 del 10 marzo, la responsabile per la comunicazione di «Novaya Gazeta», Nadia Prusenkova, ha affermato con estremo sconforto che “non possiamo dire più nulla”. Il quotidiano è una delle maggiori testate giornalistiche indipendenti, che dal 1993 si è proposto di fare un’informazione che fosse attendibile, veritiera e indipendente. Nei giorni scorsi, nonostante le restrizioni, il giornale aveva deciso di continuare a pubblicare i contenuti sul sito, rimuovendo gli articoli che parlavano delle operazioni in Ucraina come di una guerra.

Così «Novaya Gazeta» era diventato un fascicolo di pagine bianche, riempito da una volontà silenziosa, impossibile da esprimere a parole. Pochi giorni prima dell’intervista, ci racconta Prusenkova, l’inviato a Odessa del quotidiano aveva scritto un resoconto che parlava delle persone che stavano subendo il conflitto. Nel pubblicare l’articolo, il giornale, su indicazioni governative, aveva dovuto cancellare le parole “proibite”. Tra le righe del testo, infatti, si intermezzano degli spazi bianchi che donano all’articolo un aspetto quasi ridicolo. Può sembrare un modo inusuale di fare giornalismo, ma per loro, lavorare in queste condizioni era diventata “una missione”.

In Russia non c’è più spazio per il giornalismo indipendente

Nel pomeriggio del 28 marzo, ecco un altro proiettile sparato al centro del petto del giornalismo indipendente russo. Dmitri Muratov, direttore della Novaya Gazeta dal 1995 e vincitore del Premio Nobel per la pace, ha preso la decisione di chiudere il giornale dopo il secondo richiamo dei censori di Roskomnadzor, il servizio federale per la supervisione della comunicazione di massa.

Si tratta di un momento storico, perché dopo anni di fedele servizio all’informazione libera, sei reporter uccisi (tra cui Anna Politkovskaja) e due Premi Nobel per la pace, anche l’ultimo baluardo di resistenza è stato definitivamente sconfitto. Ed è così che i mezzi di comunicazione diventano un’arma per invasare il popolo russo con storie distopiche e fatte a pennello per presentare una realtà diversa dai fatti.

Una scomoda verità

Nascondere la verità oggi è quasi impossibile, e sia i media che i cittadini russi hanno trovato il modo di oltrepassare i limiti imposti dal Governo. Tra il 24 febbraio e l’8 marzo, secondo i dati forniti dalla società di analisi SensorTower, sono stati oltre 6 milioni i download delle app che si basano su Vpn, cioè uno strumento che maschera il reale indirizzo internet dell’utente e simula una posizione geografica differente rispetto a quella effettiva. In questo modo, chi naviga dalla Russia ha la possibilità di accedere a servizi che in patria non sono più disponibili.

Aldilà di tutto quello che si potrebbe aggiungere sulla tematica e sulla guerra totale dichiarata ai media del suo stesso Paese, quello che Putin sta facendo è un autogol, perché reprimere il giornalismo indipendente equivale a negare ai propri cittadini informazioni preziosissime. Ma in un mondo dove la parola diventa motivo di persecuzione, Putin non fa altro che confermare il detto per cui in guerra la prima vittima è la verità.

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