Le donne e il romanzo: una stanza tutta per sé di Virginia Woolf

Nell’ottobre del 1928 Virginia Woolf fu invitata a tenere due conferenze sul tema Le donne e il romanzo. Per la scrittrice inglese fu l’occasione di riflettere sul rapporto del femminile con la letteratura, arrivando a un saggio brillante che, a ogni lettura, rivela sempre un’interpretazione nuova.
Una stanza tutta per sé viene pubblicato per la prima volta il 24 ottobre 1929 e si basa sulla conferenza che l’autrice tenne l’anno prima a Newnham e Girton, college femminili dell’Università di Cambridge.

L’indipendenza economica e intellettuale

La sola cosa che potevo fare era offrirvi un punto di vista: se vuole scrivere romanzi, la donna deve avere del denaro e una stanza tutta per sé.

Da questa citazione deriva il titolo del saggio divenuto quasi un sigillo dell’indipendenza economica e intellettuale negata alla donna per secoli. Virginia Woolf afferma che la libertà intellettuale dipende obbligatoriamente da necessità pratiche, senza le quali non si può avere alcuna produzione letteraria.

Questo è il punto di partenza per Virginia Woolf: la storia letteraria della donna e, nella fattispecie, della sua esclusione dal mondo letterario. Sebbene il fine pratico del saggio sia quello di rivendicare un posto per la donna all’interno della cultura, da sempre appannaggio maschile, Virginia Woolf si propone anche di denunciare la predominanza maschile per quanto riguarda il punto di vista letterario e di scardinare il linguaggio patriarcale all’interno della letteratura.

Virginia Woolf

Storia delle assenze

La letteratura è ciò che Virginia Woolf conosce meglio di qualunque altra cosa, ma per poter affrontare al meglio il tema Le donne e il romanzo, è costretta a “uscire dalla letteratura”, a guardare a questa con uno sguardo di straniamento, modificando il consueto punto di vista da cui veniva osservata: quello maschile.  Questo perché nell’universo letterario le donne non entrano e, se entrano, lo fanno solo come prodotti del pensiero e del punto di vista degli uomini. In questo modo Virginia Woolf dimostra come sia necessario, per la donna, imparare a leggere la storia non solo attraverso le sue presenze, ma soprattutto attraverso le sue assenze. E, rileva Woolf, gli spazi in cui le donne sono assenti sono tantissimi.

L’amore: l’unico interprete possibile

Passo dopo passo, Virginia Woolf mostra tutti i luoghi in cui la creatività e la personalità femminile non hanno mai potuto esprimersi: le donne, nell’universo letterario, non hanno mai potuto essere amiche, confidenti, avventuriere, pensatrici, ma solo amanti degli uomini, oggetti di desiderio e, di conseguenza, nemiche delle altre donne.

Scrive Virginia Woolf:

Supponiamo, ad esempio, che gli uomini venissero rappresentati in letteratura solo in qualità di amanti delle donne e non fossero mai amici di altri uomini, o soldati, pensatori, sognatori; quanti pochi ruoli potrebbero venir assegnati loro nelle opere di Shakespeare; e come soffrirebbe la letteratura! Ci rimarrebbe forse buona parte del ruolo di Otello; e gran parte di quello di Antonio; ma niente Cesare, niente Bruto, né Amleto, né Lear, né Jacques – la letteratura ne risulterebbe incredibilmente impoverita, come in effetti è stata incalcolabilmente impoverita da tutte quelle porte che sono state chiuse per le donne. Fatte sposare contro la loro volontà, rinchiuse in una stanza, costrette a una sola occupazione, come avrebbe potuto mai un drammaturgo fare un ritratto della vita di queste donne che fosse completo o interessante o veritiero? L’amore era l’unico interprete possibile.

L’amicizia e la solidarietà femminile

In questo modo Virginia Woolf evidenzia quanto potenziale femminile sia andato sprecato per secoli a causa dell’esclusione delle donne dalla cultura e dall’educazione. A stupirla è in particolar modo una frase letta nel romanzo L’avventura della vita di Mary Carmichael: Chloe voleva bene a Olivia.

Una frase all’apparenza semplice, quasi banale, ma che nasconde tutto un universo che secoli di letteratura hanno ignorato: l’amicizia e la solidarietà femminile. In un universo letterario creato dagli uomini per gli uomini questo aspetto viene necessariamente a mancare perché non è ritenuto importante. A chi interessa il sentimento di amicizia di una donna nei confronti di un’altra donna? Ben più rilevante sarà il sentimento di amore di una donna verso un uomo; dal punto di vista patriarcale, l’amore è l’unico mezzo di espressione possibile per una donna, non l’intelletto o la creatività.

Judith Shakespeare

La stessa riflessione prosegue quando Virginia Woolf cita il caso di un’ipotetica sorella di Shakespeare, Judith Shakespeare:

Consentitemi di immaginare, dal momento che i fatti sono così difficili a ottenersi, che cosa sarebbe accaduto se Shakespeare avesse avuto una sorella meravigliosamente dotata, chiamata Judith, poniamo.

Virginia Woolf prosegue raccontando la storia drammatica della sorella di Shakespeare, una giovane ragazza con la passione per la letteratura e il talento per il teatro, alla quale, a differenza del fratello, viene negata l’istruzione e la possibilità di leggere Virgilio, Ovidio e Orazio. Anche quando riesce a sottrarre un libro al fratello per leggerlo di nascosto, viene richiamata dai genitori a occuparsi delle faccende domestiche.

A un certo punto il padre la promette in sposa al figlio di un mercante e la picchia dopo che questa si è rifiutata. Judith decide così di fuggire, a soli diciassette anni, e di presentarsi davanti alla porta degli attori. Questi le ridono in faccia, le dicono che nessuna donna sarebbe mai stata capace di recitare. L’impresario alla fine ha compassione di lei e la prende con sé. Quando Judith scopre di essere incinta decide di togliersi la vita in una notte d’inverno, ed è sepolta nei pressi di un incrocio, là dove oggi si fermano gli autobus vicino a Elephant and Castle.

Conclusione

Woolf prosegue:

Eppure, ogni qualvolta leggiamo di una strega che è stata affogata, di una donna posseduta dal demonio, di una levatrice che vende piante medicinali, o persino dell’esistenza della madre di qualche personaggio straordinario, allora io credo che siamo sulle tracce di un romanziere mancato, di un poeta condannato al silenzio, di una Jane Austin muta e senza gloria.

Le righe conclusive di Una stanza tutta per sé fanno di nuovo riferimento alla vicenda di Judith Shakespeare, la quale morì giovane e non scrisse neanche una parola. Ma, afferma Virginia Woolf, questa poetessa che non scrisse mai una parola è ancora viva. È viva nella stessa Woolf, nelle sue interlocutrici, in tutte le altre donne non presenti alle conferenze perché trattenute dalla cura dei figli e della casa, e in tutte quelle a cui è stato proibito esprimersi a livello intellettuale. Judith Shakespeare rinascerà, sostiene Woolf, se tutte le donne faranno lo sforzo di sostenersi da sole, senza appoggiarsi a qualcun altro, se prenderanno l’abitudine alla libertà e il coraggio di scrivere esattamente ciò che pensano. I grandi poeti non muoiono; essi sono presenze che rimangono, scrive Woolf, e se le donne lavoreranno insieme a questo scopo, si darà l’opportunità a tutte coloro che non l’hanno mai avuta di rinascere ed esprimersi come poeti.


FONTI

900letterario.it

frammentiletterari.blogspot.com

Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé, Einaudi, 2016

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