L’eterno mito della Femme Fatale

“Donna fatale, seduttrice impenitente, alla quale non è possibile resistere”. Definizione che il vocabolario Treccani associa al termine femme fatale, in italiano donna fatale o vamp. L’espressione nasce in Francia nella metà dell’ottocento, per indicare una figura femminile che si contrappone all’angelo del focolare domestico, modello imposto dall’imperante borghesia. Figura dalla bellezza perversa, ammaliatrice, lussuriosa, crudele, artificiosa, temibile ed erotica. Affascinante decadenza fin de siècle simile al dandismo, trova nel vestire la più immediata manifestazione. Le femme fatale si destreggiano nell’uso di abiti, trucchi, profumi e gioielli esuberanti per affascinare. Strumenti, o forse armi, con cui affermare una  personalità ferina.

La femme fatale tra storia, mito e religione

I tratti caratteriali della donna fatale si leggono già nella Eva biblica; la donna che non si accontenta di ciò che possiede, disobbedisce a Dio e porta il suo compagno verso la perdizione. Le stesse caratteristiche le possiede Lilith, terrificante ammaliatrice che, la Genesi racconta, sia la prima selvaggia moglie di Adamo. Si narra che non accettando il ruolo subalterno al patriarca, decise di lasciarlo e di scappare vagando per millenni, reincarnandosi continuamente in grandiose figure femminili, ognuna perfetto archetipo della femme fatale. Si ricordano donne bibliche come Giuditta e Dalila, donne mitologiche come Circe e Elena e personaggi storici come Cleopatra.

Anche durante il Medioevo troviamo donne pericolose che con la propria sensualità manipolano gli uomini. Ne è un esempio la pericolosa e potente fata Morgana, antagonista nella leggenda di re Artù e i suoi cavalieri della tavola rotonda.

La femme fatale nella letteratura

Tra ottocento e novecento troviamo la figura della femme fatale protagonista della letteratura europea. In quella francese e in quella inglese, compare Salomè, la donna crudele, figlia di Erodiade, che uccide chi la vuole in sposa. Nei romanzi di Oscar Wilde e Richard Strauss è rappresentata come la giovane maledetta che danzando, vede avverarsi ogni suo desiderio. L’autore francese Huysmans in Controcorrente descrive la Salomè, rappresentata nel quadro del pittore Gustave Moreau, come l’incarnazione della lussuria. Vestita solo di oro, perle e diamanti e di una cintura che nasconde poco o niente del suo aspetto fisico.

Baudelaire trasforma la femme fatale nella donna-vampiro che lentamente perde la sua umanità; giovane ripugnante capace di infliggere ferite e schiavizzare con il desiderio l’amante. L’autore è consapevole del potere della donna che viene rappresentata come una pericolosa e potente tigre.

Nella letteratura italiana troviamo sicuramente Elena Muti nel Piacere e Ippolita Sanzio nel Trionfo della morte del celebre poeta D’Annunzio. Predominano anche Nara in Tigre reale e Velleda in Eros di Giovanni Verga, la prima distruttiva ma dal fascino irresistibile, la seconda immatura ma seducente che domina con frustino e stivaletti dal tacco a rocchetto.

La femme fatale nell’arte

Come già precedentemente citata Salomè è la protagonista anche di tanti quadri. Da quelli di Gustave Moreau e Franz Von Stuck, che di solito rappresentano la donna con accanto la testa mozzata di Giovanni Battista. Dai quali nasce l’idea della femme fatale come decapitatrice, in grado di far perdere la testa anche in senso letterale.

A seguito del rinnovamento della società borghese ottocentesca, nel 1901 Gustav Klimt dipinge invece la preziosa Giuditta I. Icona della donna fatale ora venerata perché forte, affascinante e libera.

La Contessa di Castiglione

Nell’ottocento troviamo due delle donne che più rappresentano la perfetta incarnazione della femme fatale: bellissime, audaci e originali. Entrambe protagoniste nella società della loro epoca. Frequentano balli e amanti di diverso tipo e a causa della loro dipendenza da abiti sfarzosi, accessori appariscenti e costose proprietà moriranno entrambe povere, sole e piene di debiti. Destino di molte delle femme fatale più conosciute.

Virginia Oldoini Verasis nasce a Firenze nel 1837 dai Marchesi Oldoini di La Spezia. A diciassette anni si sposa con il Conte Verasis di Castiglione, matrimonio che le permette di entrare nella vita di Vittorio Emanuele II. La vita mondana fatta di balli e ricevimenti della corte torinese coinvolge completamente l’affascinante e indipendente Contessa di Castiglione. A Torino Conosce Vittorio Emanuele e suo cugino Cavour, che rimangono fin da subito stupiti dalla grande intelligenza e dalla straordinaria bellezza della contessa.

Uno dei motivi per cui la contessa va ricordata è il suo coinvolgimento nel risorgimento italiano. Diventata a Parigi l’amante di Napoleone III fu decisiva nei lunghi trattati per la creazione di un’alleanza, tra il Piemonte e l’imperatore dei francesi contro l’Austria. Grazie alla sua conoscenza di diverse lingue, fu trasformata da Vittorio Emanuele in una spia e fatta entrare nella società francese; dove con abiti audaci e una naturale disinvoltura, partecipa a diverse feste e ha molti flirt, tra cui quello con Napoleone III.

Il periodo presso la corte francese, la porta a una vita agiata e sfarzosa, ben oltre le proprie capacità economiche, causandole così ingenti debiti. Motivo per cui il marito chiede la separazione pur restando sempre molto legato emotivamente e economicamente alla figura della bellissima moglie.

La Marchesa Casati

La celebre Marchesa Casati nasce a Milano nel 1881, da una ricca famiglia a cui viene conferito il titolo di conti. A diciannove anni, dopo un timido debutto in società, sposa il Marchese Casati di Soncino. Pochi anni dopo, stanca del ruolo di moglie, intrattiene una relazione con il poeta Gabriele D’Annunzio che la soprannominerà Corè, come la regina degli inferi.

La Marchesa Casati studierà il suo personaggio tutta la vita, ispirandosi a grandi donne del passato, come anche alla Contessa di Castiglione. Tiene i capelli corti e arruffati e li tinge con l’henné di un rosso brillante, in modo da esaltare i suoi occhi verdi continuamente contornati di nero e da lunghe e folte ciglia. Rende il viso di gesso grazie a ciprie sempre più chiare e dipinge le labbra di rosso fuoco. La sua figura è sempre accompagnata da animali come due levrieri, uno bianco e uno nero, da un ghepardo o da un pavone.

Gli abiti gotici, prevalentemente neri, sono decorati da file di perle lunghe fino al pavimento, stravaganti accessori dorati a forma di serpente, piume nere, fiocchi colorati e lunghi mantelli. Indossa vestiti creati dai più importanti stilisti dell’epoca come Mariano Fortuny e Paul Poiret e da grandi costumisti come Erté e Bakst. Tra i più celebri ricordiamo il Poiret del 1910 completamente ricoperto di diamanti.

Corè è una donna eccentrica capace di forgiare le mode, in base a ciò che l’affascina, e non di seguirle, di rappresentarsi attraverso esse. In grado di fare tendenza e interpretare al meglio ogni tratto della modernità, motivo per cui la sua figura è ancora oggi estremamente popolare. Gli abiti estrosi e, a volte androgini, che indossa la rendono un’opera d’arte vivente capace di incantare con il proprio sguardo chiunque la guardi. Essi non rappresentano il periodo storico in cui la contessa viveva ma solo la sua individualistica personalità, grazie alla quale divenne una delle figure più amate a cavallo tra ottocento e novecento.

Le femme fatale nel cinema

Dagli anni trenta del novecento, le femmes fatale approdano nel cinema. I film, tutti narrati dal punto di vista di uomini, raccontano di bellissime ragazze manipolatrici, capaci di qualsiasi azione per arrivare ai propri scopi. Donne indipendenti e letali che dagli anni ottanta diventano le uniche protagoniste di molte pellicole cinematografiche.

Nel 1929 Marlene Dietrich interpreta il personaggio di Lola nel film L’angelo azzurro, una giovane ballerina di un locale notturno che esplora la fluidità vestimentaria in un periodo in cui era ancora uno scandalo.

Nel 1931, nel film Mata Hari l’attrice Greta Garbo impersona una femme fatale. Il costumista di fiducia della diva era Adrian. È lui a creare l’immagine e l’allure da donna fatale in molte pellicole dell’attrice dove il ruolo dell’abito è fondamentale.

Nel 1946 nel film Gilda recita l’attrice Rita Hayworth. Donna fatale che ballando e cantando ammalia ogni uomo. Certamente il vestito, disegnato dal costumista francese Jean Louis, ha contribuito a consolidare l’immagine della femme fatale che noi oggi tutti conosciamo.

Le femmes fatale hanno in un modo o nell’altro sempre rappresentato donne forti, potenti, emancipate e rivoluzionarie, per la loro epoca. Delineano modelli di comportamento alternativi che, nel cinema di inizio secolo, permettevano a donne di tutti i giorni di evadere dalla routine. Esse, grazia alla loro bellezza, perspicacia e furbizia, si sono create piccoli spazi visibili all’interno della società maschilista. Le femmes fatale, affascinanti donne di vizi e contraddizioni, ci hanno accompagnato per più di due secoli contribuendo all’evoluzione che la figura della donna ha avuto nella società rendendola libera, unica e sicura del proprio valore sociale.


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