Guerra e social: un nuovo connubio?

Sembra non esserci ancora una tregua dalla terribile situazione in Ucraina. Ogni giorno le notizie si fanno sempre più inquietanti e prospettive di risoluzione appaiono ancora un miraggio. Quello a cui stiamo assistendo è per molti aspetti uno scenario inedito perché per la prima volta, nella storia militare dell’umanità, anche i social sono diventati strumento di guerra e armi per ferire il nemico.

Che la propaganda fosse un elemento centrale per la vitalità di un regime dittatoriale (o simile) era cosa nota. Soprattutto in tempi di guerra, dove si richiede uno sforzo condiviso e una partecipazione diretta di tutta la popolazione (questo accade sia in Ucraina che in Russia, considerate le sanzioni occidentali nei confronti del Paese), la propaganda è un elemento centrale per far confluire le energie popolari verso gli obiettivi voluti dal Cremlino.  E parte di essa si scatena sui social.

Il web come Radio Londra

Lo storico Giovanni de Luca, in un articolo scritto per il quotidiano «La Stampa» crea un sottile paragone tra l’uso del web, e più in particolare dei social, in questi tempi di guerra con quello che successe negli anni Quaranta con “Radio Londra”. Radio Londra era un insieme di programmi radiofonici erogati dalla British Broadcasting Corporation a partire dal 1938. Con l’avvio della Seconda Guerra Mondiale, Radio Londra diventa il punto di riferimento per la Resistenza partigiana in quanto fonte di notizie attendibili da contrappore a quelle più incerte diffuse dal regime fascista. Diventa anche strumento di diffusione di informazioni militari per sostenere l’opera dei gruppi partigiani.

Allo stesso modo, Giovanni de Luca, ci fa notare che il web ci permette di venire in contatto con migliaia e migliaia di immagini prodotte dal basso che non possono essere oscurate. “È come se tramite i social network ci fossero moltissime esperienze come ‘Radio Londra’”. E se Radio Londra può essere annoverata tra le molte cause che hanno portato alla caduta del regime, allo stesso modo anche il web potrebbe dare il colpo di grazia al Cremlino. “E se il web fosse la Radio Londra di Putin?”

Il Web come strumento di opposizione nei conflitti

Anche il co-fondatore del World Wide Web, in occasione del trentatreesimo anniversario della sua creazione, ha deciso di ricordare le potenzialità del web in quanto strumento di “resistenza”. In un post pubblicato sul blog Web Foundation, ha scritto “due anni fa, mentre il virus Covid-19 si diffondeva nel mondo, scrivevamo che il web è un’ancora di salvezza in tempi di crisi e lo stesso vale ora che l’Ucraina viene attaccata. Il web ha contribuito a ispirare resistenza e aiutare i verificatori di fatti a sfatare la propaganda di guerra”. Insomma, il web si sta prospettando sempre di più come un inevitabile terreno di scontro tra le parti, dove i colpi lanciati non feriscono ma minano la credibilità delle istituzioni.

Russia e social: un’amicizia terminata

Il primo a sferrare il colpo è stato Twitter che, la sera del 10 marzo, ha eleminato un post dell’ambasciata russa a Londra che sosteneva la tesi che il bombardamento di un ospedale a Mariupol fosse una messinscena organizzata dalle forze ucraine. Poco dopo anche Meta (ex Facebook per intenderci) ha deciso di allentare la censura verso alcuni post anti-russi.

Se fino a poco tempo prima incitazioni di morte verso leader politici e forze armate erano vietati, adesso sono apertamente concessi con il limite di non esplicitare altri obiettivi o metodi di uccisione. La risposta di Mosca è stata dura e Facebook e Instagram sono entrati direttamente nella loro lista nera etichettati come “organizzazioni terroristiche che incitano all’odio contro i russi“. I provvedimenti presi prevedono la chiusura di Instagram entro il 14 marzo.

… a colpi di meme

L’uso dei social network nei conflitti non è nuovo e anche durante la Primavera Araba, entrambi gli schieramenti li hanno usati a scopo propagandistico. L’aspetto nuovo di questo conflitto sta nel loro uso massiccio. Se prima i social avevano sempre ricoperto un ruolo marginale, adesso diventano uno dei principali campi di battaglia.

La prospettiva è emersa fin dagli inizi della questione ucraina quando, prima dell’avvio effettivo del conflitto, l’account Twitter verificato dell’Ucraina ha postato alcuni meme in risposta a quello che stava succedendo. I meme (come quello in cui Lisa Simpson espone una frase di fronte a una lavagna) sono diventati strumento per adunare solidarietà al Paese e in pochissimo tempo sono diventati virali. Di fronte a questo fatto era inevitabile che, una volta scoppiato il conflitto, parte di questo si sarebbe svolto anche sui social e contro i social.

Da influencer a combattenti

Dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, i social network sono stati inondati di video da entrambi le parti. Armati di cellulare, soldati e civili stanno documentando la guerra in prima persona, mostrando le distruzioni, la vita critica nei bunker e i frammenti di conflitto. France 24, emittente televisiva francese, ha stilato una lista di alcuni influencer e tiktokers che si stanno prodigando a raccontare le difficoltà del conflitto in prima persona, senza evitare di esibire un pizzico di umorismo nero.

Si combatte e si resiste ma senza farsi mancare quell’ironia tipica da meme. Tra loro ci sono Valeria Shashenok che, tramite i brevi video di TitkTok, ci mostra “un suo giorno tipico in un rifugio antiaereo” e ci offre consigli su “cosa comprare in un supermercato in tempo di guerra”. Ma anche tra i soldati ucraini TikTok e Twitter diventano strumenti per raccontare le loro esperienze. Il più conosciuto è Alex Hook che pubblica quasi regolarmente video di lui e i suoi compagni che ballano o si preparano per la battaglia. Anche molte personalità ucraine hanno ceduto il loro ruolo da influencer per trasformarsi in combattenti della resistenza.

Cosa ci attende?

Solo il futuro ci saprà dire come si evolverà la situazione e quale sarà il valore etico dei contenuti pubblicati, messi a disposizione di un pubblico indiscriminato al pari di molti altri argomenti. Sicuramente i social ci stanno permettendo di entrare in contatto con un numero di testimonianze mai visto prima d’ora, ma il rischio è quello che la guerra perda la sua aura di morte e crudeltà, diventando un momento da esibire.

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