Bandiera svizzera

Le sanzioni alla Russia squarciano il velo della neutralità svizzera

La guerra in Ucraina ha messo in questione una serie di schemi preconcetti della geopolitica dei manuali, compreso uno degli assunti all’apparenza più imperituri dei capitoli dedicati all’Europa, talmente inscalfibile da diventare proverbiale: la neutralità della Svizzera.

Il Consiglio federale svizzero, in data 28 febbraio 2022, ha approvato infatti sanzioni economiche e altre restrizioni di varia sorta contro la Russia e i suoi “oligarchi”, condividendo quindi i provvedimenti intrapresi tra il 23 e il 25 febbraio dal Consiglio Europeo e dai Paesi membri dell’Unione. Successivamente, in conformità con le nuove decisioni dell’UE, ha inasprito ulteriormente le proprie misure, ratificando i nuovi provvedimenti in data 4 marzo.

I provvedimenti

Tra i provvedimenti approvati a febbraio, c’è il congelamento con effetto immediato dei beni di una serie di individui e società, segnatamente quelli presenti nelle liste formulate dall’Unione Europea. Si prevede inoltre che questi medesimi soggetti non possano aprire nuovi conti. È prevista la sospensione parziale di una misura legislativa risalente al 2009 che facilitava il rilascio di visti a cittadini russi, e il territorio della Confederazione elvetica viene dichiarato “no-fly zone” per i velivoli russi, a eccezione di quelli che si occupino di missioni mediche o umanitarie. Vengono comminate infine sanzioni finanziarie nei confronti del presidente della Federazione russa Vladimir Putin, del primo ministro Mishushtin e del ministro degli affari esteri Lavrov. Il nuovo côté di sanzioni approvato a marzo invece colpisce la Banca centrale russa, cui viene interdetta la possibilità di operare transazioni con la Svizzera; coinvolge inoltre il sistema di pagamenti SWIFT, a sua volta interdetto, e amplia la “blacklist” delle personalità i cui beni vengono sottoposti a congelamento.

L’inasprimento delle sanzioni è stato accompagnato da una nota del Consiglio federale in cui si specifica che “l’adeguamento avviene nel rispetto della neutralità”; qualche giorno prima, Ignazio Cassis, presidente della federazione, aveva dichiarato ai media che “fare il gioco dell’aggressore” non sarebbe stato compatibile con la neutralità del Paese. Nonostante le rassicurazioni, questa decisione è parsa storica, e ha fatto storcere il naso a molti esponenti politici del Paese. Tra questi, in particolare, i componenti del partito nazionalista e conservatore Udc (Unione democratica di centro), e l’ex consigliere federale Christoph Blocher, che suggerisce l’indizione di un referendum per l’introduzione nella Costituzione di un principio di neutralità integrale, il quale comporterebbe anche l’impossibilità di emanare sanzioni. Ad accendere ancor più il gioco delle parti è stata l’ufficializzazione della candidatura a membro non permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, a 20 anni di distanza dall’ingresso del paese nell’organizzazione con sede a New York.

Origine storica della neutralità

La neutralità svizzera è una condizione politica permanente, il principio fondante della politica estera del Paese elvetico a partire dal Congresso di Vienna del 1814. Prevede il divieto, per la Svizzera, di prendere parte a conflitti sorti tra altri Paesi, e in cambio le garantisce l’inviolabilità del suo territorio. Secondo diverse ricostruzioni storiche, la neutralità svizzera risalirebbe addirittura al 1515, a quella battaglia di Marignano persa contro l’esercito di Francesco I. Lo scontro pose fine all’espansionismo svizzero, e decretò da un punto di vista giuridico la neutralità del Paese nei confronti dello Stato francese, e nei fatti la sua perdita di centralità nello scacchiere politico e militare dell’Europa centrale, e la sua riduzione a una condizione di sudditanza verso Parigi.

La situazione politica e amministrativa della Svizzera mutò radicalmente a distanza di quasi tre secoli: da mosaico di tredici cantoni, sotto l’influenza di Napoleone Bonaparte la Svizzera si trasformò in una repubblica “una e indivisibile”. Fino al 1803, quando la suddivisione in cantoni recuperò il suo valore sostanziale e non soltanto formale, e anzi il numero di distretti crebbe fino a diciannove. Nel decennio successivo, nel contesto della Restaurazione, Berna pagò il fio della sconfitta napoleonica; a Vienna si presentò con un potere contrattuale minimo, stretta fra le morse di Francia e Austria. Una mediazione verrà trovata grazie allo zar Alessandro I, che in compagnia di Frederic-Cesar Le Harpe, che ne era stato il precettore, studiò una soluzione diplomatica – inizialmente invisa a Metternich – che ripristinasse la configurazione a ventidue cantoni (i diciannove del precedente accordo più Vallese, Ginevra e Neuchâtel).

In questo atto di mediazione fu imposta alla Svizzera la neutralità. Una condizione quindi accettata suo malgrado da un Paese non più sovrano, la cui politica era debole ed eterodiretta. Curiosamente, quella stessa condizione sarebbe diventata in seguito una parte integrante, anzi fondamentale, dell’identità nazionale svizzera. Come scrive lo storico Hans-Ulrich Jost, essa “è circondata addirittura da un’aura quasi religiosa che le attribuisce infallibilità”, e nel corso degli anni vi è stata anche una serie di tentativi, da parte delle autorità federali, di costruirvi a posteriori un retroterra culturale, storico e soprattutto religioso, appunto, in correlazione alla figura di San Nicolao della Flüe.

Le rassicurazioni del governo federale

Né con l’adozione di sanzioni, né con l’ingresso nel Consiglio di Sicurezza ONU, la Federazione viola formalmente il principio di neutralità. Lo farebbe qualora entrasse nella NATO, alleanza militare. Lo specifica, rassicurando i suoi cittadini attraverso un documento di “domande e risposte”, anche il sito ufficiale del governo. Al suo interno si citano casi analoghi relativi ad altri Stati formalmente neutrali:

Nel suo rapporto del 2015 «Candidatura della Svizzera a un seggio non permanente nel Consiglio di sicurezza dell’ONU per il biennio 2023-2024», il Consiglio federale ha dichiarato che la Svizzera può continuare a esercitare pienamente la propria neutralità anche divenendo membro non permanente del Consiglio di sicurezza. Il Consiglio di sicurezza non è una parte in un conflitto nel senso del diritto della neutralità. Il suo mandato è quello di mantenere la pace e la sicurezza in tutto il mondo. Inoltre, altri stati neutrali e non allineati come l’Austria, la Svezia o l’Irlanda sono stati ripetutamente membri del Consiglio di Sicurezza. Nel contesto attuale caratterizzato da forti polarizzazioni la neutralità è un vantaggio, non un ostacolo: la Svizzera può infatti svolgere un ruolo di «costruttrice di ponti», oggi più che mai cruciale. Il nostro Paese è già tenuto a prendere posizione su questioni controverse internamente ed esternamente all’ONU. Le posizioni della Svizzera si basano sulla Costituzione federale e sul diritto internazionale, compreso lo Statuto delle Nazioni Unite.

Una decisione che squarcia un velo

Come non manca di ricordare lo stesso Jost,

la neutralità praticata dalla Svizzera non è nient’altro che uno strumento politico, impiegato in modo molto flessibile a dipendenza degli interessi in gioco. Il suo compito principale è probabilmente quello di mascherare gli innumerevoli intrecci a livello internazionale della Svizzera e di far credere al cittadino che il suo Paese è incorruttibile e al di sopra delle parti,

come conferma l’accordo segreto di embargo siglato nei confronti del blocco orientale nel 1951, in piena Guerra Fredda. Ad ogni modo la decisione della Svizzera istituisce una soluzione di continuità evidente dopo secoli di esclusione formale dalla “pugna”: per la prima volta, in discontinuità anche con la decisione del 2014, quando non aderì alle sanzioni contro la Russia per l’annessione della Crimea, la Svizzera squarcia un plurisecolare velo giuridico-etico-geopolitico. E, ciò che più conta, lo fa alla luce del sole, non vergognandosene e rivendicando la legittimità del proprio gesto.

 

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