NFT: Nike contro StockX. Dubbi, novità ed etica

La Nike cita in giudizio il rivenditore online StockX. La motivazione è da ricercare nella vendita di immagini non autorizzate di scarpe Nike da parte del colosso che vale 3,8 miliardi di dollari, StockX appunto. La causa andrà ad aggiungersi alla moltitudine di altre cause intentate da altre compagnie per i nuovi asset digitali conosciuti come NFT.

La causa di Nike

Secondo Nike, gli NFT di StockX rischiano di confondere i consumatori e violano il copyright del marchio, danneggiando l’azienda. Per questa ragione Nike chiede un risarcimento dei danni e il blocco delle vendite di NFT sulla piattaforma. Inoltre l’accusa della Nike fa presente che StockX avrebbe venduto oltre 500 NFT a marchio Nike promettendo agli acquirenti che in un prossimo futuro avrebbero potuto riscattare i token in versioni fisiche delle scarpe.

Sembrerebbe inoltre, che la stessa Nike starebbe per rilasciare prossimamente un certo numero di prodotti virtuali. Infatti lo scorso dicembre proprio la Nike ha acquisito lo studio di arte digitale RTKFT.

Già nei mesi scorsi il colosso Nike aveva creato una città virtuale nel metaverso all’interno della piattaforma Roblox. L’obiettivo dell’azienda sarebbe quello di trasformare questo spazio in un ambiente per lanciare prototipi di scarpe, facendole provare agli utenti del mondo virtuale come una sorta di test per verificarne i consensi prima di lanciarle nel mondo reale.

NFT, cosa sono

L’acronimo NFT, che significa non-fungibile token o “gettone non replicabile”, rappresenta un certificato di proprietà su opere digitali. Si differenziano dalle criptovalute perché non sono scambiabili tra loro, per questo sono dette fungibili. Gli NFT possono essere utilizzati in particolari applicazioni in cui vengono richiesti degli oggetti digitali unici come oggetti da collezione, giochi online e cripto art.

Nel mondo dell’arte gli NFT risolvono per esempio la questione legata alla riproduzione di massa e distribuzione non autorizzata sul web, infatti garantiscono l’autenticità della proprietà digitale. In altre parole l’acquisto di un’opera legata all’NFT non è l’acquisto dell’opera stessa ma la possibilità di esercitare un diritto sull’opera, regolamentando l’operazione tramite uno smart contract.

Il tutto inizia con la versione digitale dell’opera, di solito infatti si utilizza una documentazione filmata e salvata in formato digitale che viene compressa in una sequenza dal nome di hash che a sua volta viene memorizzata su una blockchain. Il creatore può utilizzare il token per aggiungere al suo interno il proprio hash e poi venderlo in cambio di un pagamento in criptovaluta. NFT, inoltre, tiene traccia delle vendite dell’hash, è possibile quindi risalire al creatore e dimostrarne il possesso.

Gli NFT nella crypto-art

Tra i casi più celebri in cui sono stati utilizzati gli NFT c’è senza ombra di dubbio la cripto-art. All’inizio del 2021 l’artista digitale Beeple ha venduto alla casa d’aste Christie’s per 39.000 ETH, corrispondenti a oltre 69 milioni di dollari, la sua opera Everydays, un collage di 5.000 opere. L’acquirente Metakovan, pseudonimo del fondatore di Metapurse, il più grande fondo di NFT al mondo, attraverso l’acquisto è diventato l’unico possessore dei diritti associati all’opera pur non avendo la disponibilità del file.

Anche il «New York Times» non ha resistito all’innovazione degli NFT. Ha infatti venduto per 350 Ether, corrispondenti a circa 563 mila dollari, un suo articolo sulla piattaforma Foundation. La descrizione dei vantaggi per l’acquisto del primo articolo ad essere distribuito come NFT è stata la seguente:

Il più grande vantaggio di tutti è quello di essere proprietari di un pezzo di storia. Questo è il primo articolo in quasi 170 anni di vita del Times a essere distribuito come NFT, e se questa tecnologia dimostrerà di essere così rivoluzionaria come prevedono i suoi fan, possederlo potrebbe equivalere ad avere la prima trasmissione televisiva della Nbc o il primo indirizzo email di Aol.

Il vincitore che si è aggiudicato l’articolo, è stato 3F Music, una società di produzione con sede a Dubai e che possiede già diversi NFT nel portafoglio. Decisi a diventare pionieri del settore hanno deciso di stanziare fondi sufficienti per aggiudicarsi i prodotti di arte e media innovativi.

Non è la prima volta

La diatriba tra Nike e StockX è solo l’ultimo caso legale aperto a causa degli Nft. Lo scorso novembre Miramax ha citato in giudizio Quentin Tarantino perché aveva espresso la volontà di mettere all’asta degli NFT relativi a Pulp Fiction, film del 1994.

Un altro caso celebre è quello della casa discografica RAF fondata da Jay-Z e Damon Dash. Quest’ultimo ha cercato di vendere l’album di esordio di Jay-Z, Reasonable Doubt, nel formato degli NFT, in occasione dei venticinque anni di uscita. La casa discografica RAF ne ha però impedito la vendita in quanto non aveva il copyright per poterlo fare.

Un altro esempio recente è quello di Hermès, che di recente ha avuto un contenzioso con l’artista Mason Rothschild. Rothschild ha messo in vendita su una piattaforma virtuale delle borse molto simili alla Birkin, chiamandole MetaBirkin, scatenando appunto la reazione di Hermès che cerca da allora di tutelare il marchio. Mason Rothschild a sua discolpa afferma di non aver venduto nessuna borsa Birkin “reale”, ma di aver semplicemente creato dell’arte digitale ispirata al marchio francese.

Un mondo da regolamentare

La diatriba tra Nike e StockX è solo l’ultimo polverone che si è innalzato sugli NFT, si tratta infatti di un prodotto innovativo ma che bisogna regolamentare. Gli NFT, nati nel 2014, di fatto permettono di acquistare un certificato che consente di tenere traccia della proprietà digitale acquistata, ma allo stesso tempo non si acquistano i diritti di autore. Di conseguenza di una stessa opera posso essere venduti innumerevoli NFT a soggetti diversi che diventano tutti proprietari ma non della copia originale.

Dunque la domanda che sorge spontanea è: come sarà possibile gestire queste opere? Al momento non ci sono dei regolamenti standard da seguire. Come riportato da «Wired»: “Se creo un NFT del tuo gatto, ciò non significa che il tuo gatto debba venire a vivere con me ora” e quindi il senso nell’acquisto di questo prodotto andrebbe ricercato nell’impossibilità della duplicazione e falsificazione in un’epoca dove queste due pratiche sono all’ordine del giorno. In fin dei conti, si parla quindi della tutela dell’acquirente. Ma sarebbe etico vendere NFT di prodotti conosciuti di altre aziende? La questione rimane ancora irrisolta.

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