“Amour” di Michael Haneke

04Georges (Jean-Louis Trintignant) e Anne (Emmanuelle Riva) conducono una vita semplice fatta di concerti a teatro e pranzi intimi passati nella loro casa. Apparentemente sembra che nulla possa rompere questo equilibrio, tranne una cosa: l’inevitabile caducità della vita.

Le tematiche

Nel film Amour Michael Haneke – già conosciuto per La pianiste del 2001 – non racconta semplicemente una storia d’amore giunta al suo capolinea. Il concetto di amore viene sviscerato mostrandone tutte le sfaccettature arrivando fino alle sue sfumature più tragiche.

Il tema centrale di Amour è senza dubbio quello della malattia che viene rappresentata attraverso l’interpretazione magistrale di Emmanuelle Riva, attrice divenuta di fama mondiale grazie al suo esordio in Hiroshima mon amour. La donna mostra il lato drammatico dell’invecchiamento in sequenze dall’altissima tensione caratterizzate da una naturalezza che permette allo spettatore di condividerne il dolore.

Un aspetto molto importante di Amour riguarda il processo di involuzione senile. La vergogna e il senso di umiliazione provati dalla donna, consapevole del fatto di dover dipendere completamente dal marito, rendono ancora più straziante la sua condizione soprattutto per lo spettatore che assiste impotente al susseguirsi degli eventi.

Anche il rapporto con la figlia Eva risulta significativo in quanto a seguito delle numerose visite ai genitori, questi si dimostrano riluttanti nel vederla facendo prevalere il lato egoista tipico di chi pensa di non aver bisogno dell’aiuto di nessuno. L’atteggiamento bambinesco assunto dalla madre incapace addirittura di formulare frasi di senso compiuto – tipico della demenza senile – fa dubitare Georges di qualsiasi sua decisione.

Come in una pièce teatrale

La storia si svolge prevalentemente nella casa dei due protagonisti facendo da sfondo alla loro vita non solo attraverso ciò che vediamo, ma anche grazie ai racconti di Georges riguardanti la sua giovane età, aneddoti che di cui la moglie non era a conoscenza ma che spera in qualche modo le ridiano la forza per andare avanti.

Il pubblico assume le sembianze di un voyeur grazie all’utilizzo di lunghe inquadrature fisse che mostrano con discretezza lo scorrere del tempo. Questa ricerca della verità perseguita dal regista deriva soprattutto dal fatto che la sua formazione comprende studi in filosofia, psicologia e teatro. Questi ambiti apparentemente lontani, nel cinema possono invece suggestionarsi vicendevolmente creando racconti emotivamente molto profondi.

Il punto di rottura

Durante la narrazione si assiste al drastico cambiamento di prospettiva da parte del marito. Inizialmente si mostra disponibile ed estremamente rassicurante nei confronti della moglie, mosso presumibilmente da un inevitabile trasporto emotivo. Col passare del tempo sopraggiungono però altri sentimenti. Rabbia, stanchezza e rigetto nei confronti di una vita destinata all’obnubilamento e alla conseguente perdita della propria individualità, portano l’uomo a compiere un gesto estremo e per nulla scontato.

Si può notare un riferimento simbolico che inizialmente non risulta importante per l’interpretazione della pellicola. In due momenti ben distinti della storia compare un piccione, animale che secondo la religione greco-romana rappresentava Venere, la divinità associata all’amore. Alla luce di questa riflessione il riferimento al rapporto tra Georges e Anne diventa palese. La prima volta che l’uomo vede l’animale lo lascia libero di volare fuori dalla finestra, in quanto crede ancora in un un miglioramento della moglie. Verso la fine del film si presenterà di nuovo, questa volta ricevendo un’accoglienza tragicamente diversa. È qui che l’uomo capisce rendendosi contro che la vita che stanno conducendo non è più degna di essere ricordata.

La catarsi dell’uomo

Il gesto finale non è un rimando né all’irrazionalità né all’istinto di sopravvivenza che porta l’uomo a compiere azioni al di fuori del proprio controllo. Al contrario è da intendere come un’ultima dimostrazione estrema dell’amore che Georges prova nei confronti della moglie. Amore che solleverà la donna da tutte le sue sofferenze trasformandosi nel raggiungimento di una catarsi sia fisica che emotiva. Georges rinuncia alla sua felicità, alla sua unica ragione di vita, per donarle la pace interiore.

Una scena straziante in cui ad emergere è inizialmente lo stupore, dato che fino a quel momento il personaggio maschile non aveva dato alcun segno di cedimento, ma che sarà poi interpretato come atto di dedizione, se non devozione, verso la persona amata. “Bisogna prestarsi agli altri e darsi a sé stessi diceva il filosofo Michel de Montaigne. La sequenza finale, completamente avvolta nel silenzio, dimostra proprio questo ed è infatti il finale perfetto per una storia d’amore straziante ma allo stesso tempo tanto dolce e appassionante.

Amour è stato nominato in cinque categorie agli Oscar del 2013 vincendo il premio come Miglior film straniero, oltre che la Palma d’oro al Festival di Cannes l’anno precedente.

Le cose andranno come hanno fatto fino ad ora. Andranno di male in peggio. Le cose andranno avanti, e poi un giorno tutto sarà finito.

 

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