Eugenio Montale e gli Ossi di seppia: quando la poetica del relitto diventa la chiave di lettura del mondo

Metà degli anni Venti, il Fascismo in Italia sta iniziando la sua ascesa, un buio profondo si appresta a ricoprire la nostra storia, e da questo momento in poi nulla sarà come prima. Ma una luce, una piccolissima luce, continua a vivere, forte, lapidaria, fissa. È la luce degli intellettuali e degli scrittori che non intendono piegarsi all’insensato volere di un regime, e usano così la loro arma migliore – la cultura – per combatterlo dall’interno. Tra questi c’è senza dubbio Eugenio Montale, l’autore genovese che con la sua prima raccolta poetica, intitolata Ossi di Seppia, ci ha offerto un quadro elegante e severo della realtà assai complessa di quegli anni, non parlando dei fatti storici, ma delle conseguenze che questi impongono all’animo di un uomo e di un poeta.

Nelle righe che seguiranno, cercheremo di ricostruire il percorso biografico e letterario che ha condotto Montale a scrivere una tra le opere più rappresentative della nostra storia. Grazie alle parole limpide e profonde degli Ossi, sapremo capire ulteriormente la grandezza poetica di un autore che ci ha lasciato un’eredità tanto preziosa. Un viaggio nella mente e nel cuore dell’insostituibile Eugenio Montale.

Procedimenti storici

Dopo aver completato gli studi in ragioneria, Eugenio Montale (1896-1981) si dedica alle materie umanistiche, sua passione da sempre. Si forma da autodidatta, frequentando spesso le biblioteche e assistendo alle lezioni private di sua sorella Marianna, iscritta alla facoltà di Lettere e filosofia. Di tutto questo è lui stesso a offrirci  testimonianza nel Quaderno genovese. Si tratta di un diario intimo in cui annota ciò che lo circonda in quegli anni, insieme agli autori ai quali si avvicina di più, come ad esempio Baudelaire, Rimbaud e Poe.

Così, il giovane Montale inizia a mettere assieme i tasselli di una cultura letteraria che diventerà sempre più importante, e che di lì a poco si trasformerà in una ragione di vita. Ma gli eventi storici coinvolgono inevitabilmente anche lui, così nel 1917 parte per combattere in Vallarsa come sottotenente di fanteria; rientra un anno dopo e ottiene poi il congedo nel ’20. Il momento della guerra si contrappone letteralmente a quello dell’amore, poiché in questo stesso momento incontra Anna degli Uberti, una delle protagoniste femminili degli Ossi di Seppia.

Parole di resistenza

Il tempo della felicità che intercorre tra la Prima Guerra Mondiale e gli anni immediatamente successivi è, in realtà, assai fugace. Il nuovo decennio infatti corrisponde all’inizio della fine per l’Italia e per la sua storia. Comincia l’ascesa di Mussolini e del Fascismo, che in breve tempo dilaga. Alcuni uomini di cultura, fra cui lo stesso Montale, si discostano immediatamente da quanto sta accadendo, firmando un documento che lo mette per iscritto. Si tratta del Manifesto degli intellettuali antifascisti, promosso da Benedetto Croce, la cui critica è mossa soprattutto nei confronti di una certa cultura che si sviluppa in concomitanza alla politica.

Montale, dal canto suo, dopo aver firmato il Manifesto, pubblica quasi contemporaneamente la prima edizione degli Ossi di seppia. In poche parole, regala al mondo la sua versione di resistenza al regime, svuotata del superfluo, ma costruita sui cocci, sugli ossi appunto, le uniche cose in grado di permanere e non essere scalfite dal bruciante contesto storico che le circonda. Il male di vivere, il pessimismo, la disgregazione interiore, sono conseguenze inevitabili, ma bisogna in qualche modo ribellarsi. La rivoluzione non può che partire dalla poesia.

Ossi di seppia, struttura e edizioni

La prima edizione degli Ossi, come abbiamo già anticipato, risale al 1925 e viene pubblicata a Torino da Piero Gobetti. In origine portava il nome di Rottami, e solo successivamente diventa Ossi di Seppia. Il nuovo titolo ha un significato ambivalente: da un lato è infatti riconducibile al mare, uno degli elementi poetici più ricorrenti nella tradizione letteraria italiana, anche se qui è riferito ad un paesaggio ben preciso, quello ligure, arido e spoglio. Dall’altro invece vuole dare l’idea del relitto, dello scarto che le onde rilasciano sulla riva.

La seconda e definitiva edizione, rivista e corretta, comprende in totale 61 liriche, distribuite all’interno di quattro sezioni (Movimenti, Ossi di seppia, Mediterraneo, Meriggi e ombre). A introdurre e a chiudere l’intera raccolta di poesie intervengono due testi, intitolati rispettivamente In limine e Riviere, che rendono così circolare tutto l’andamento dell’opera.

La tradizione “attraversata”

D’altra parte, l’intera raccolta poetica pullula di riferimenti a numerosi poeti che hanno preceduto Montale, uno tra tutti Gabriele D’Annunzio. Poiché, se anche gli Ossi si pongono su di una linea stilistica e concettuale completamente opposta alla lirica dannunziana, lo scrittore genovese ha bisogno di “attraversare” comunque una certa tradizione letteraria. Perciò, all’interno dei testi è facile individuare immagini poetiche vicinissime a quelle del Vate, ma queste vengono rovesciate o addirittura svuotate del loro senso più intrinseco. In effetti, gli anni in cui Montale compone le proprie liriche appartengono ad un mondo che può essere decifrato solo attraverso la dissoluzione dell’oggetto.

Ascoltami, i poeti laureati

si muovono soltanto fra le piante

dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.

lo, per me, amo le strade che riescono agli erbosi

fossi dove in pozzanghere

mezzo seccate agguantanoi ragazzi

qualche sparuta anguilla:

le viuzze che seguono i ciglioni,

discendono tra i ciuffi delle canne

e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.

In particolare, in certe poesie tutto questo è ancora più evidente, come ad esempio ne I Limoni o in Meriggiare pallido e assorto. La presenza del cosiddetto correlativo oggettivo – che consiste nell’associare un’emozione, uno stato d’animo ad ogni singolo oggetto – mette in moto un procedimento pieno di significati profondi e di filosofia,  in grado di scavare nell’interiorità dell’essere umano.

Osservare tra frondi il palpitare

lontano di scaglie di mare

mentre si levano tremuli scricchi

di cicale dai calvi picchi.

 

E andando nel sole che abbaglia

sentire con triste meraviglia

com’è tutta la vita e il suo travaglio

in questo seguitare una muraglia

che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

Insomma, con Ossi di seppia, lo scrittore di Genova ha tracciato un solco evidente nel panorama poetico italiano: da qui in poi tutta la lirica cambia, assume altri aspetti, altre forme. E così lo stesso Montale, per coloro che seguiranno, diventa un poeta da “attraversare”. Il poeta dal tono tenue, leggero, ma pesante come un macigno, il poeta delle occasioni mancate e della bufera; il poeta che non smetteremo mai di ringraziare.


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