“La legge dell’attrazione esiste e non ha nulla di magico. Se ti lamenti, attiri altre cose di cui lamentarti. Se ringrazi, attiri altre cose per cui ringraziare”. A dire queste parole poche settimane fa è stata una firma del giornalismo italiano in una rubrica della posta del cuore online, in risposta a un utente che scriveva in merito a una faccenda sentimentale. Provare a lamentarsi di meno e ringraziare più spesso in quest’ottica sembra essere la chiave per una ritrovata positività, e al contrario “lamentarsi di un torto esistenziale e fare la vittima, magari dicendo di non volerla fare, è il modo migliore per perpetuare l’ingiustizia subita”.
L’invito a una maggiore positività in una logica della cosiddetta “legge dell’attrazione” (che non è un riferimento psicologico) come soluzione al lamento dei “numeri secondi” incapsula di fatto lo Zeitgeist, lo spirito dei tempi, in cui sottoscriviamo continuamente la convinzione che abbiamo il diritto non solo di perseguire la felicità, ma di essere felici, qualunque siano i costi e le energie richieste. Non importa quanto siano stati cupi, per esempio, gli ultimi anni, non importa quanti siano i sacrifici e le fatiche richieste per far fronte alle sfide quotidiane, crediamo che tutto possa cambiare con il capovolgimento dello sguardo: tutto ciò che bisogna fare è guardare al lato positivo e ringraziare più spesso.
La trappola della positività
I postulati della “legge dell’attrazione” di fatto fanno riferimento alla possibilità che l’essere umano, proprio come un magnete, possa attrarre a sé o respingere una serie di situazioni in funzione di un valore positivo o negativo. Di conseguenza, il concetto di ringraziamento e quello di lamentela vengono messi sullo stesso piano. O si ringrazia o ci si lamenta.
Ma, in quest’ottica, il rischio è che non venga contemplata una via di mezzo. Il concetto di lamentela, infatti, ha un significato molto preciso, soprattutto in tema di relazioni. Da un punto di vista psicologico il ribadire l’espressione di un malessere, per esempio, ha spesso a che fare con la richiesta di riconoscimento da parte dell’altro, un modo per rendersi visibili e farsi ascoltare.
Non si può negare, però, che molte persone trovano conforto nell’idea che i propri pensieri positivi siano ricompensati con la felicità, il successo e la saggezza, in una forte correlazione tra pensiero e azione. Ma per quanto ben intenzionati possano essere coloro che aderiscono a questa filosofia, gli esperti sottolineano le criticità di una tendenza che sottovaluta le esperienze emotive negative e sopravvaluta quelle positive.
“Sebbene coltivare una mentalità positiva sia un potente meccanismo di coping, la positività tossica deriva dall’idea che il modo migliore o unico per far fronte a una brutta situazione è dare una svolta positiva e non soffermarsi sul negativo”, ha affermato Natalie Dattilo, psicologa della salute clinica del Brigham and Women’s Hospital di Boston.
La positività come settore in crescita
Le origini esatte dell’etichetta “positività tossica” sono oscure, ma come afferma Preston, psicologo specializzato in empatia e nel modo in cui le emozioni influenzano il comportamento, l’idea è ben radicata nella cultura occidentale, dove la felicità non è solo considerata un diritto di nascita, ma anche un settore in continua espansione.
Al di là dei guru perennemente positivi del pensiero dietro The Secret, famosa raccolta di interviste sul filone dell’auto-aiuto, o dei più inflazionati documentari motivazionali e illuminanti, negli ultimi anni anche Internet offre sempre più programmi per l’auto-miglioramento. Tra gli ultimi servizi nati online, Happier.com è stato creato con la promessa di offrire “soluzioni scientifiche per un reale miglioramento”. Il programma mobile è basato sul libro The How of Happiness di Sonja Lyubomirsky, sostenitrice della tesi secondo cui attività come “immaginare il proprio io migliore possibile” sono “mostrate scientificamente” per rendere le persone più felici.
Ma, dall’altro lato, un numero sempre più crescente di scrittori e ricercatori mettono in dubbio l’idea che guardare al lato positivo, spesso attraverso uno sforzo consapevole, può fare la differenza, sostenendo che il pensiero positivo a lungo termine è, al contrario, molto dannoso. Proprio come qualsiasi cosa fatta in eccesso, quando la positività viene utilizzata per coprire o mettere a tacere l’esperienza umana, diventa nociva.
Il troppo stroppia
Preston, infatti, sottolinea come non siano le persone sinceramente ottimiste e positive il problema, in quanto un atteggiamento positivo e quindi più aperto alle possibilità è essenzialmente uno dei modi possibili per muoversi dentro la complessità della realtà e può effettivamente migliorare l’efficacia personale, la fiducia e la resilienza, rendendo più facile il raggiungimento degli obiettivi. “È un problema quando le persone sono costrette a sembrare o essere positive in situazioni in cui non è naturale o quando c’è un problema che deve legittimamente essere affrontato che non può essere affrontato se non si affronta il fatto che c’è angoscia o bisogno“, ha chiarito.
Considerando i dati che indicano che l’ansia e la depressione, tra gli altri problemi di salute mentale, sono aumentati a livelli storici negli ultimi anni, l’aggiunta di positività esasperata o esasperante al mix può solo esacerbare la marea crescente di emozioni negative, impedendo alla maggior parte delle persone di affrontare i problemi che si presentano in modo sano.
Come scrive il ricercatore Robert Emmons “Negare che la vita abbia la sua parte di delusioni, frustrazioni, perdite, ferite, battute d’arresto e tristezza sarebbe irrealistico e insostenibile.” Il filone della positività a tutti i costi, di fatto, ha spesso a che fare con l’esame di realtà: il non saper riconoscere quando alcune questioni si scontrano con la realtà e con le possibilità che sono date da condizioni esterne al nostro controllo, per esempio, rischia di mettere a tacere le emozioni, annullando quelli che sono effettivamente i bisogni.
Cambio di prospettiva
In questo contesto, diversi esperti suggeriscono di tenere a mente la distinzione tra pensiero positivo ed emozione positiva. “Il pensiero positivo a volte può portare a emozioni positive, ma non sempre”. “È come la differenza tra indossare una maglietta con la scritta ‘La vita è bella’ e sentirsi davvero grati nel profondo delle proprie ossa per le circostanze attuali“. Il dottor Fredrickson avverte così che l’idea del “fingi finché non ce la fai” può effettivamente essere dannosa per la salute, sottolineando come le emozioni positive non sincere siano in realtà più deleterie delle emozioni negative.
L’invito di Fredrickson è quello di diventare più abili nel captare ciò che è reale e ciò che è falso nei tentativi delle persone di essere positivi, perseguendo così una strada diversa, della sincerità e dell’apertura nei confronti di noi stessi e dell’altro.
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