Alice in Borderland, attraverso un incubo

Gli immaginari distopici sono alcuni dei pretesti narrativi più affascinanti del mondo dell’arte. In ogni campo la distopia riesca ad emergere, questa lascia un suo indelebile ricordo poiché mostra ai nostri occhi una realtà parallela, non così lontana dall’essere assolutamente fantastica, ma abbastanza vicina dal farci porre determinate domande. Basti pensare ad opere quali 1984 di Orwell, La Strada di McCarthy o magari La svastica sul sole di Dick. L’attrazione verso un universo così simile al nostro eppure così profondamente diverso nelle regole che lo dominano, ha portato nel corso degli anni innumerevoli registi a confrontarsi con l’adattamento di tali opere, sotto forma di film e serie TV.

In oriente l’esplorazione delle distopie vive costantemente un’epoca d’oro grazie al prolifico settore di anime, manga e live action. Tuttavia l’Asia ha da sempre un modo di approcciarsi a tali argomenti molto più forte rispetto a quello occidentale dal punto di vista visivo e narrativo. Da prendere in considerazione è ad esempio il fattore gore che molto spesso fa capolino con arroganza in questo genere di produzioni, così come la violenza. Il grande pubblico d’occidente raramente accoglie di buon occhio questa espressione stilistica, eppure alcune volte può capitare che determinate opere si facciano largo attraverso la resistenza culturale per far parlare di sé.
Avete presente la serie evento sudcoreana Squid Game? Perfetto.
Alice in Borderland ne è la versione giapponese. Con alcune importanti differenze e con il non trascurabile dettaglio di essere uscita un anno prima.

Un altro mondo, altre regole

Ryohei Arisu ha una grande passione per i videogiochi e un carattere indolente. Ha abbandonato l’università, vive a casa dei suoi genitori da disoccupato, senza alcuna intenzione di trovare un lavoro nel proprio futuro prossimo, e da anni rappresenta per la propria famiglia un motivo di disonore e vergogna. Al suo fianco gli inseparabili amici di sempre Chota e Karube, che con Arisu condividono la non eccelsa dedizione al lavoro e la passione per vivere alla giornata fuori dalle regole, ognuno a modo suo. Ben presto però le regole del mondo conformista, che tanto disprezzano e rifuggono, diverranno oggetto di nostalgia. Incontratisi a Shibuya, popolare quartiere di Tokyo, si ritrovano immediatamente a fuggire dalle forze dell’ordine per aver causato un incidente stradale e si nascondono in un bagno pubblico. Da qui la storia, senza dare alcun avvertimento, cambia volto e ci trasporta ai confini della realtà.

Dopo una serie di strani rumori e blackout generali, i tre ragazzi escono dal loro nascondiglio e dinnanzi gli si para uno spettacolo straniante. La Tokyo caotica, ricca di vita, traffico e rumori è sparita, al suo posto la medesima città ma con una veste silenziosa e desolata. Macchine abbandonate, strade deserte e apparentemente nessun’altra persona in circolazione. Paradiso o Inferno? Purtroppo l’ago della bilancia pende sfortunatamente verso la seconda opzione e i ragazzi non tarderanno a scoprirlo. Non sono soli. Assieme a loro altre persone sono state trasportate in questo mondo parallelo in cui per poter restare occorre procurarsi un visto temporaneo, ottenibile esclusivamente partecipando ad una serie di sadici e spietati giochi di gruppo. Giocare vuol dire rischiare la vita attraverso trappole mortali e tradimenti. Non giocare significa non ottenere il visto ed essere immediatamente uccisi da un misterioso laser rosso che scende dal cielo.

Un gioco senza sosta

A livello registico Alice in Borderland non delude. Le riprese sono dinamiche e la costruzione delle sfide possiede quel fascino tipicamente giapponese con note degli horror occidentali più mainstream. La serie corre senza sosta verso il mistero trascinando i protagonisti attraverso i pericoli più grandi della loro vita senza dargli alcuna risposta. Questa è sicuramente una delle chiavi più importanti dello sviluppo narrativo. Il segreto attorno al mondo distorto nel quale Arisu ed i suoi amici vengono catapultati è inevitabilmente l’oggetto principale attorno al quale gravità la vicenda. Eppure la serie gioca abilmente con l’intreccio delle storie, avvicinandoci di un passo alla soluzione per poi condurci lontano mille miglia per poter sopravvivere ancora un giorno. Il tempo non basta mai all’interno della nuova Tokyo ed ogni risposta sembra dover attendere sempre oltre l’ultimo secondo.

Il comparto attoriale è meritevole di lode. I protagonisti sono resi con assoluta credibilità nelle dinamiche interpersonali che li accompagnano all’interno del folle mondo di Alice in Borderland. L’esagerazione, laddove presente, appare assolutamente contestualizzata all’interno del tono generale che la serie cerca di condurre avanti sin dalle prime scene. Il primo episodio inizia con una scena che volutamente forvia lo spettatore con un’atmosfera quasi da college movie che presenta in maniera rapida ed essenziale il carattere di Arisu, Chota e Karube, ai quali lo spettatore è inevitabilmente portato a legarsi.

Un rosso vivo

Il fattore violenza è senza dubbio l’altro grande protagonista di Alice in Borderland. Invadente e talvolta inaspettata. Oscura dominatrice di ogni macabro gioco nei vicoli e nei palazzi della capitale giapponese. Come detto in precedenza il Giappone da sempre presenta uno stile volutamente gore all’interno delle proprie produzioni horror. Il sangue domina le sequenze più concitate e l’elemento splatter diviene il compagno fedele dell’azione su schermo. Takashi Miike senza dubbio è uno dei nomi più noti anche in occidente tra coloro che registicamente hanno saputo far propria questa vena visivamente aggressiva per trasformarla in un personale marchio d’autore. Alice in Borderland deve molto all’opera di questo regista che anche i più avulsi alla sua cinematografia conosceranno inconsciamente per As the Gods Will, altro adattamento cinematografico di un manga fanta-horror dalle tinte molto vicine a quelle della controparte manga della serie Netflix.

Alice in Borderland è un’opera che porta con sé una notevole carica destabilizzante sotto il piano visivo. Punta a togliere costantemente ogni punto di riferimento allo spettatore, prima geograficamente e poi a livello affettivo. Personaggi potenzialmente focali trovano una inaspettata fine rivoluzionando la squadra dei protagonisti senza alcun tipo di preavviso. Tutto ciò, coadiuvato dal fattore gore, contribuisce a delineare la asfissiante aria thriller che permea l’intera serie e che la rende un must-watch per tutti i fan del genere.

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