Viaggio nell’Antico Egitto: introduzione all’arte figurativa egizia

A chi parlerò oggi?

I fratelli sono cattivi,

gli amici di oggi non possono essere amati.

A chi parlerò oggi?

I cuori sono rapaci,

ognuno prende i beni del compagno.

A chi parlerò oggi?

Si è soddisfatti del male, 

il bene è buttato a terra dovunque. 

A chi parlerò oggi?

Il criminale è un amico intimo,

il fratello insieme al quale si agiva è divenuto un nemico.

A chi parlerò oggi?

Non ci sono più giusti, 

la terra è abbandonata ai malfattori.

A chi parlerò oggi?

Sono carico di dolore 

per la mancanza di un amico intimo.

[…]

La morte è davanti a me oggi;

come quando un malato risana,

come l’uscir fuori dopo una detenzione.

La morte è davanti a me oggi;

come una strada battuta, 

come quando un uomo torna a casa sua da una spedizione

La morte è davanti a me oggi;

come il tornar sereno del cielo,

come un uomo che riesce a comprendere ciò che non conosceva.

(Trad. Edda Bresciani)

L’Antico Egitto: una civiltà millenaria che ci parla ancora oggi

I toccanti versi qui riportati, tratti dal volume Letteratura e poesia dell’Antico Egitto e provenienti da un papiro oggi conservato al Museo Egizio di Berlino, appartengono a un componimento poetico risalente al periodo del Medio Regno (2119-1973 a.C.). L’autore riflette drammaticamente sui mali e le ingiustizie che infestano il suo mondo e la sua società. Medita sul suicidio e sulla morte come uniche vie di scampo e di estremo sollievo.

Basterebbero questi pochi versi a dimostrare la raffinatezza e la costante attualità di una civiltà tanto distante, ma altrettanto affascinante, come quella dell’Antico Egitto. Basterebbero altresì per sottolineare la necessità di recuperare un rapporto vivo, simpatetico e dinamico con gli antichi, anche se questi sono vissuti quattro millenni or sono. Possono cambiare le strutture sociali e politiche, i sistemi di valori e le credenze religiose, ma gli stati d’animo dell’uomo restano affini: una persona oggi s’interroga sul senso della vita e dell’esistenza allo stesso modo di un poeta egizio vissuto tra il terzo e il secondo millennio a.C.

Locandina del film “La Mummia”

L’eterna fascinazione della cultura egizia

Secondo una tendenza che affonda le sue radici nel XIX sec. prevale oggi un atteggiamento di pura curiosità esotica per la millenaria civiltà dell’Antico Egitto. Da decenni infatti, salvo per gli addetti ai lavori (egittologi o archeologi), la civiltà egizia continua a instaurare nell’immaginario collettivo un rapporto di fascino, esotismo, suggestione e mistero. Ciò, del resto, è attestato dal repertorio della filmografia hollywoodiana degli ultimi 50 anni (basti pensare ad una saga cinematografica come La Mummia). Soprattutto parlano i grandi numeri che i musei archeologici egizi di tutta Europa continuano a macinare. 

Primo tra tutti, per quanto concerne l’Italia, il Museo delle Antichità Egizie di Torino, il primo museo pubblico ad essere stato inaugurato nella Penisola (1831-32), nonché il più antico museo egizio al mondo, ancora oggi tra i dieci musei più visitati ogni anno. Sono numeri che neanche l’attuale pandemia ha saputo scalfire, come appare dalle statistiche riportate da Ansa, che dimostrano come il Museo Egizio di Torino abbia raggiunto un totale di 400.000 visitatori nel solo 2021. 

Museo Egizio di Torino, ingresso

Una civiltà sofisticata

Occorre allora chiedersi cosa renda la civiltà egizia, a partire dalle sue manifestazioni artistiche e architettoniche, una civiltà capace ancora oggi di esercitare tanto fascino e suggestione sul grande pubblico. È tutto merito dell’immaginario pop perorato dalla cinematografia? Oppure sussiste, in qualche modo, un legame ancora attivo, dinamico e simpatetico tra i contemporanei e l’Antico Egitto?

Quado si parla di Antico Egitto ci si riferisce a una civiltà (seppure radicalmente gerarchizzata) estremamente sofisticata, raffinata e brillante sotto i profili culturale, scientifico, religioso, artistico e architettonico. Forse, tra gli aspetti della civiltà egizia che più di tutti contribuiscono ancora oggi a conservare quel fascino e quella suggestione, l’arte figurativa gioca un ruolo decisamente preminente. 

Pittura dalla tomba di Nefertari, 1298-1235 a.C., Valle delle Regine

Come per qualsiasi epoca, anche l’arte figurativa egizia dev’essere anzitutto considerata come un linguaggio, ossia un sistema di segni altamente codificati, finalizzati alla comunicazione di un messaggio. Per la comprensione figurativa occidentale, la lettura e l’interpretazione di un linguaggio come quello dell’arte egizia può risultare di primo acchito ostico e complesso. È allora necessario considerare gli scopi e le funzioni a cui l’arte figurativa serviva. 

Il ruolo dell’artista nell’Antico Egitto

Tale comprensione richiede di calarsi nel contesto storico sociale di riferimento e considerare il mondo in cui l’artista egizio era inserito e si trovava ad operare. Per fare ciò, è necessario abbandonare la concezione di artista così come è stata trasmessa dal Romanticismo ottocentesco, e recuperare invece la connotazione di artigiano che era propria dell’Arte Antica e che per lungo tempo è stata predominante, almeno fino al Rinascimento. 

È infatti indispensabile tener presente che per molto tempo la figura dell’artista e quella dell’artigiano hanno coinciso. La tendenza a slegare completamente l’artista, in quanto “genio creativo” è un’idea che si fa strada in Europa nel Rinascimento (soprattutto a partire dal “divin Michelangelo”) e che diventa dominante a partire dalla metà del XIX secolo. A maggior ragione per l’arte antica dunque, e in particolare per quella dell’Antico Egitto, il binomio artista-artigiano dev’essere concepito come inscindibile e costitutivo. 

Frammento di pittura con scene di pastorizia dalla Tomba di Nebamon, oggi al British Museum di Londra

L’arte figurativa dell’Antico Egitto era infatti espressione della capacità manuale di botteghe di artigiani formati a seguito di un lungo apprendistato. Come gli artigiani, anche i pittori fondavano la propria attività su un lavoro collettivo, di bottega appunto. I pittori dell’Antico Egitto erano infatti conosciuti come gli “scribi del contorno”. 

Tale espressione permette di porre in evidenza quanto nella pittura dell’Antico Egitto vi fosse una consapevole e non casuale ricerca estetica improntata sul disegno, sulla definizione precisa e isolante del contorno delle figure. Lo seppe abilmente intuire un grande storico dell’arte d’inizio ‘900, Alois Riegl, descrivendo l’arte egizia come un’arte caratterizzata da uno stile “tattile-ravvicinato”.

L’arte figurativa nell’Antico Egitto: problemi di stile

A proposito di stile “tattile-ravvicinato”, anche a livello manuale si è soliti definire l’arte figurativa egizia, soprattutto la pittura, come un’arte immutata nel corso dei millenni. Sulla base di un giudizio prettamente stilistico-formale, la produzione figurativa delle millenaria civiltà egizia, non ha generalmente subito grandi variazioni ed è rimasta pressoché inalterata lungo i secoli. Fin dalle origini, l’arte figurativa egizia risulta essere fortemente stabilizzata su codici figurativi schematici e consolidati.

A detta degli studiosi, questa inossidabile stabilità non è però casuale. Al contrario, può essere interpretata a sua volta come espressione della granitica stabilità delle strutture sociali, politiche, istituzionali e soprattutto religiose che hanno caratterizzato la pur sfaccettata civiltà dell’Antico Egitto. 

Le variazioni durante il Regno di Akhenaton 

Sulla base di queste premesse, non è affatto un caso che l’unica vera grande eccezione a questa forte stabilità si riscontri proprio in un momento di rottura come quello del Regno di Akhenaton. Durante il suo regno infatti, il faraone Amenofi IV (1351-1334 a.C.) promosse una radicale riforma religiosa volta a sostituire il tradizionale politeismo della religione egizia (non priva di intenti politici atti a indebolire il potere dei sacerdoti) con l’affermazione di un culto monoteistico.

Impose così il culto del dio Aton (da cui poi il faraone prese il nome, ossia Akhenaton) come unico dio venerabile. Si trattò di un’operazione effimera, giacché subito dopo la morte di Amenofi IV/Akhenaton venne restaurato il tradizionale politeismo. Si tratta di un passo significativo nella storia delle religioni, in quanto rappresenta il primo tentativo di istituzionalizzazione di un monoteismo in una civiltà complessa. 

Busto di Akhenaton, 1350 a.C. circa, Il Cairo, Museo Egizio

L’arte figurativa egizia cambiò nella forma e nello stile proprio a fronte della riforma religiosa operata da Akhenaton. Nel breve regno di Akhenaton infatti, quel tradizionale idealismo della pittura egizia lasciò il posto ad un’inedita ricerca per la rappresentazione dell’intimità della vita di corte. La caratterizzò un originale realismo che non ebbe eguali nella storia egizia. 

Un’arte al servizio dei defunti

Accanto alla generale immutabilità e stabilità degli aspetti stilistici, il secondo aspetto su cui occorre meditare è la funzione dell’arte figurativa nella civiltà egizia. Contrariamente alle modalità concettuali con le quali si è soliti concepire oggi l’arte, questa nella storia è sempre stata al servizio di scopi e funzioni pratiche e comunicative, da quelle pubblico-politiche a quelle civili, fino ad arrivare a quelle funerarie, sacre e rituali.

In questo senso non è possibile prescindere dall’ambito funerario per comprendere l’arte figurativa egizia. Essa nasce per ritualizzare gli ambienti di sepoltura dei defunti e così venne sempre impiegata. Questo però è un altro capitolo del nostro viaggio nell’Antico Egitto.


FONTI

Edda Bresciani (a cura di), Letteratura e Poesia dell’Antico Egitto. Cultura e società attraverso i testi, Einaudi 

C. Pescio (a cura di), Dossier Arte. Vol. 1 Dalla Preistoria al Gotico, Giunti

R. Bianchi Bandinelli, Introduzione all’archeologia classica come storia dell’arte antica, Laterza

Ansa

National Geographic

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