Furore di John Steinbeck: una saga familiare

Pietra miliare della letteratura americana, Furore è il capolavoro assoluto di John Steinbeck, premio Nobel per la letteratura nel 1962. Ritenuto il simbolo della grande depressione americana degli anni Trenta, Furore è anche un indimenticabile esempio di saga familiare, in quanto racconta la fuga disperata della famiglia Joad verso un avvenire migliore.

Genesi del romanzo

Scritto in circa cinque mesi non appena uscì in America, nel 1939, Grapes of Wrath di Steinbeck fu un trionfo di pubblico, fruttando all’autore 75.000 dollari e ricevendo il National Book Award e, l’anno dopo, il Premio Pulitzer. John Ford ne trasse subito un film con Henry Fonda, mentre in Italia, Elio Vittorini lo segnalò all’editore Valentino Bompiani, a cui si deve l’intuizione del titolo italiano Furore venne pubblicato in Italia nel 1940.

Il titolo

Il titolo originale, Grapes of Wrath, letteralmente Grappoli d’ira, è tratto da The Battle Hymn of the Republic, di Julia Ward Howe, attivista e poetessa americana:

Mine eyes have seen the glory of the coming of the Lord:
He is trampling out the vintage where the grapes of wrath are stored;

Che a loro volta fanno riferimento al passaggio dell’Apocalisse (XIV, 20):

L’angelo lanciò la sua falce sulla terra e vendemmiò la vigna della terra e getta l’uva nel grande tino dell’ira di Dio.

Nel romanzo il tema ritorna:

E nei loro occhi cresce il furore. Nell’anima degli affamati i semi del furore sono diventati acini, e gli acini grappoli ormai pronti per la vendemmia.

La vicenda

La vicenda è una vera e propria epopea familiare: racconta la trasmigrazione della famiglia Joad, costretta ad abbandonare la sua fattoria in Oklahoma a bordo di un autocarro lungo la Route 66, verso la California, descritta come una nuova “Terra promessa”. Molte altre famiglie vedono le loro case e le loro terre confiscate dalle banche, e iniziano un lungo viaggio per cercare la fortuna all’Ovest che costerà alla famiglia numerose perdite. Questa infatti si sfalda progressivamente, con la morte dei nonni e l’abbandono di alcuni membri. Una volta arrivati in California si scontrano con una cruda realtà: ad attenderli non ci sono alberi colmi di arance in attesa di essere colte e grandi case bianche in cui andare a vivere, ma lavori sottopagati e un cocente odio da parte dei proprietari dei terreni. I nuovi arrivati scoprono di essere stranieri in patria, e vengono chiamati Okie, un termine dispregiativo che richiama la loro terra di provenienza, l’Oklahoma, e vengono lasciati a vivere nella miseria più totale.

Un esempio di saga familiare

Furore può rientrare a pieno titolo nel genere della saga familiare. Si tratta di un genere molto longevo, che vede come tema di un racconto le vicissitudini di una famiglia inquadrata in un preciso periodo storico. Già i grandi classici sfruttano il potenziale della saga familiare: basti pensare a opere come I Buddenbrook, I Fratelli Karamazov, I Malavoglia, Cent’anni di solitudine, La casa degli spiriti, I Viceré o Il Gattopardo. Furore è considerato la narrazione più icastica della Grande Depressione americana e della crisi agricola seguite al devastante crollo del 1929.

Attualità

[…] i grossi proprietari cui una sommossa avrebbe fatto perdere tutte le terre, i grossi proprietari con accesso alla Storia, con occhi per leggere la Storia e ricavarne la grande verità: quando le mani in cui si accumula la ricchezza sono troppo poche, finiscono per perderla. E la verità accessoria: quando una moltitudine di uomini ha fame e freddo, il necessario se lo prende con la forza. E la piccola ma sonora verità che echeggia lungo la Storia: la repressione serve solo a rinforzare e unire gli oppressi.

Perché Furore è una vicenda in cui ci si può riconoscere? Come mai la sua lettura evoca una sempre maggiore attualità? Steinbeck scrive di temi eterni, come la morte, il dolore, il riscatto, e, in particolare, la giustizia, e di come la giustizia non necessariamente coincida con la legge. Sono temi a cui tutti gli uomini partecipano, così come è comune l’aspirazione collettiva alla felicità. La felicità in Furore è identificata con il rispetto della dignità dell’individuo, a cui collettivamente tutta l’umanità si volge. Questa è mossa da una forza irresistibile che attraversa i secoli della storia, che guida la collettività verso la salvezza. Così, non è tanto l’individualità del singolo a essere motore della storia, ma un grido di protesta, una denuncia contro la disumanità degli uomini rivolta ad altri uomini. L’individuo si afferma attraverso l’appartenenza e la solidarietà a un gruppo, e i Joad, simbolo di tutta l’umanità, ne escono sì sconfitti, ma non sottomessi.

Io ci sarò sempre

Emblematiche le ultime parole che Tom Joad, il protagonista rivolge alla madre negli ultimi capitoli:

Io ci sarò sempre, nascosto e dappertutto. […] Dove c’è qualcuno che lotta per dare da mangiare a chi ha fame, io sarò lì. Dove c’è uno sbirro che picchia qualcuno, io sarò lì. Se Casy aveva ragione, be’, allora sarò negli urli di quelli che si ribellano… e sarò nelle risate dei bambini quando hanno fame e sanno che la minestra è pronta. E quando la nostra gente mangerà le cose che ha coltivato e vivrà nelle case che ha costruito… be’, io sarò lì.


FONTI

Lindiceonline.com

Ilmestieredileggereblog.com

John Steinbeck, Furore, Bompiani, 2013

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