La Shoah nella letteratura: quattro opere che la raccontano

Il 27 gennaio ricorre il Giorno della Memoria. La data simbolica corrisponde alla liberazione del campo di concentramento di Auschwitz nel 1945, scelta dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite per ricordare la Shoah, cioè lo sterminio degli ebrei, ma anche dei prigionieri politici e degli omosessuali, durante la Seconda Guerra Mondiale.

Tantissime sono le testimonianze di chi ha vissuto questa tragedia sulla propria pelle. Il dovere di non dimenticare quello che è stato, passa anche attraverso la lettura dei racconti che gli stessi salvati ci hanno lasciato. Spesso è assai difficile accettare di conoscere quanto male siano stati capaci di commettere alcuni esseri umani nei confronti di altri. Un male immotivato, ma crudele e profondo, che ha tracciato un solco enorme nella storia e in tutti noi che l’abbiamo studiata. Ma ricordare è doveroso, e quindi oggi lo faremo con una selezione di quattro famose opere letterarie sull’Olocausto, tutte basate su storie vere.

Il Diario di Anne Frank

Tra le testimonianze più conosciute dell’orrore commesso nei confronti degli ebrei, si inserisce senza dubbio Il Diario di Anne Frank, diventato poi uno dei libri più letti sull’argomento anche dai più giovani. La piccola Anne ha 12 anni quando, nel 1942, è costretta a rifugiarsi ad Amsterdam insieme alla sua famiglia di origine ebraica. Due mesi dopo, con la cattura e l’arresto di molti ebrei in città, Anne, insieme alla sorella e ai genitori, arriva in un alloggio segreto all’interno di un magazzino di proprietà del padre Otto. Con sé non può portare molto, ma le rimane un diario, regalatole il giorno del suo tredicesimo compleanno, il 12 giugno dello stesso anno.

Così, su quelle pagine, inizia a scrivere tutto ciò che vive quotidianamente: incertezze, speranze, senso di smarrimento. Ma anche sogni, tenerezze e primi amori, quando incontra il giovane Peter Van Daan che, insieme alla sua famiglia, condivide con Anne il medesimo destino. Il diario si interrompe il primo agosto del 1944. Tre giorni dopo il loro nascondiglio segreto viene scoperto, con il conseguente arresto di tutti coloro che lo abitavano.

Vengono condotti nel campo di concentramento di Westerbork, e da qui in poi le loro strade si dividono per sempre. L’unico a sopravvivere è Otto Frank, il padre di Anne, che ritroverà il diario e ne curerà per primo la pubblicazione. Tuttavia, il testo così come lo leggiamo oggi è il frutto di tante edizioni che tengono conto anche di alcune parti omesse dallo stesso Otto. Il Diario è tuttora tra i libri rappresentativi della tragedia dell’Olocausto, vissuta attraverso gli occhi e l’innocenza di una ragazzina.

Il Girasole. Ai limiti del perdono

A segnare ulteriormente la letteratura della memoria è un’altra opera intitolata II Girasole. Ai limiti del perdono, scritta da Simon Wiesenthal, uno dei pochi fortunati sopravvissuti alla Shoah. Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, Wiesenthal è un ingegnere civile e vive a Leopoli in Polonia, insieme a sua moglie. Quando la Germania nel 1941 invade l’Unione Sovietica, lui e la sua famiglia, perché ebrei, vengono catturati dai nazisti, e internati in un campo di concentramento. Dopo essere riuscito a scampare a diverse esecuzioni, Simon viene liberato nel maggio 1945 dal campo di Mauthausen. Da questo momento in poi, la sua vita avrà una precisa missione: catturare tutti i nazisti in circolazione; e in effetti, grazie alle sue testimonianze, molti volti del Reich vengono arrestati.

Dall’esperienza dolorosa vissuta in prima persona, Wisenthal trae anche alcuni importanti testi, tra cui appunto Il Girasole. Si tratta di una disanima sul perdono, e su quanto sia difficile concederlo al proprio aguzzino. La trama è intrecciata tra passato e presente. Nel 1942 un SS in punto di morte chiede a Simon di perdonarlo per ciò che ha fatto nella sua vita, ma lui rifiuta di concedergli questa possibilità. Da lì in poi vivrà nel continuo dubbio dell’esattezza della sua decisione. Chiederà consiglio a parenti e amici e andrà a trovare la madre della SS. Alla fine, si ritrova a scrivere un intero libro su ciò che gli è successo, conferendo alla sua scelta un carattere non più solo personale e privato, ma generale. Ha fatto bene a non perdonare?

Noi, bambine ad Auschwitz

Le sorelle Tatiana e Andra Bucci nascono entrambe a Fiume, in una famiglia per metà di origine ebraica. Il 28 marzo 1944, dopo la denuncia da parte di un uomo ebreo, le bambine, insieme alla madre, alla zia, alla nonna e al loro piccolo cuginetto Sergio, vengono arrestate e messe su un treno destinato a portarle nel campo di Auschwitz-Birkenau. All’arrivo avviene lo smistamento: la nonna sale su un camion con altri ebrei, per essere poi uccisi la sera stessa, mentre le altre due donne si ritrovano in una baracca diversa da quella dei propri figli. Le sorelline e il loro cuginetto, infatti, vengono portati nella Kinderblock, luogo dove si ritrovano i bambini usati per i terribili esperimenti del dottor Mengele.

Tutti questi drammatici momenti sono racchiusi in un testo edito per Mondadori con il titolo Noi, bambine ad Auschwitz, in cui le sorelle Bucci raccontano gli innumerevoli ricordi dolorosi, ancora difficili da metabolizzare. Entrambe, per una serie di coincidenze fortunate, e grazie anche alla loro unione che non le ha mai fatte vacillare, sono riuscite a salvarsi. Il loro cuginetto Sergio, invece, nello stesso campo ha trovato la morte.

Qualche anno dopo la fine della guerra, ritrovano la madre che credevano morta ad Auschwitz. Da quel momento in poi, ricominciare a vivere normalmente non è stato semplice. Ma ciò che le ha spinte ad andare sempre avanti è stata la voglia di testimoniare, di raccontare tuttora quello che hanno vissuto sulla propria pelle, affinché non riaccada mai più.

Se questo è un uomo 

A chiudere questa selezione di opere letterarie, non può che essere il testo simbolo della Shoah, scritto da uno dei massimi testimoni delle atrocità commesse ai danni degli ebrei. “Il bisogno irrinunciabile di raccontare agli altri” è la spinta che muove Primo Levi a descrivere ciò che succedeva in quei campi di sterminio. Lui stesso, dopo l’arresto in Valle d’Aosta nel dicembre del ’43, viene internato prima in un campo a Fossoli, e poi nel mese successivo arriva nel campo di sterminio di Auschwitz.

Qui inizia l’inferno per Levi, da cui però riuscirà a uscire anche lui per alcuni eventi fortunati, a partire dalla sua formazione come chimico. La laurea infatti gli vale un ingaggio importante all’interno della cosiddetta Buna, una fabbrica di gomma sintetica, nella quale ottiene mansioni più leggere. Dopo essersi ammalato di scarlattina viene ricoverato nell’infermeria, a ridosso dell’arrivo dell’Armata Rossa. Di conseguenza, essendo malato, riesce a scampare alla famosa “marcia della morte” con cui i tedeschi evacuano il campo. Tutto ciò gli permette di salvarsi, ma gli fa vivere il resto dei suoi giorni con il peso soffocante del senso di colpa del sopravvissuto.

Queste sono soltanto alcune delle testimonianze più significative di un capitolo troppo buio della nostra storia. Ma il dovere di continuare a far luce su quello che è stato deve essere più forte di qualsiasi tentativo di superarlo dimenticandolo. Bisogna parlarne e ricordare, perché ciò che è accaduto non dovrà mai più accadere.


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