La sperimentazione dei licei quadriennali

I nostro studenti si laureano alla triennale in media a 24 anni e mezzo e alla magistrale a 27 e mezzo, quindi sono i più vecchi d’Europa”. Lo dice Elena Ugolini, rettrice del liceo Malpighi di Bologna.

La citazione fa riferimento al via libera che il ministro dell’istruzione, Patrizio Bianchi, ha concesso alla sperimentazione dei licei quadriennali. Si tratta di un bando che permette a ben mille classi italiane di terminare il loro percorso di studi liceale dopo quattro anni invece che cinque.

La sperimentazione ha avuto inizio già nel 2014 e i risultati sono stati soddisfacenti: i percorsi quadriennali sperimentali

assicurano l’insegnamento di tutte le discipline previste dall’indirizzo di studi di riferimento, compreso l’insegnamento trasversale dell’Educazione civica, facendo ricorso alla flessibilità didattica e organizzativa consentita dall’autonomia delle istituzioni scolastiche, alla didattica laboratoriale, all’adozione di metodologie innovative, alla didattica digitale e all’utilizzo di tutte le risorse strumentali e professionali disponibili nell’organico dell’autonomia.

Hanno potuto partecipare al bando, aperto fino alle ore 23:59 del 4 gennaio 2022, tutti i licei statali e paritari e gli istituti tecnici. Solo dall’anno prossimo, invece, potranno fare domanda per l’attivazione dei percorsi quadriennali anche gli istituti professionali.

La nascita del progetto

La rettrice Ugolini ha partecipato con la sua scuola al progetto dei licei quadriennali, affermando che i giovani italiani entrano troppo tardi nel mondo del lavoro e che ci arrivano addirittura impreparati. E questo perché non sanno orientarcisi, non sanno trovare la loro strada e non sanno capire che cosa vogliono costruire.

Il percorso quadriennale consente una formazione potenziata e in linea con quanto già avviene in molti Paesi europei, dove gli studenti si affacciano al mondo del lavoro o dell’istruzione superiore (università e ITS) a 18 anni anziché a 19”, spiega Carola Gavazzi, direttrice dell’istituto Martino Bassi di Seregno.

La sperimentazione, la cui incubazione risale all’anno 2000, durante la riforma Berlinguer, fu attuata per la prima volta nel 2014; dodici scuole italiane ne presero parte. Si dovettero aspettare quattordici anni e si dovette aspettare il ministro Francesco Profumo, poiché fu l’unico a interessarsi e a istituire una commissione d’inchiesta al fine di capire se un tale progetto potesse effettivamente essere attualizzabile.

Il bando uscì solamente tre anni dopo, nel 2017, e durante l’anno accademico 2018/2019, centotrenta diverse scuole italiane parteciparono. Ma perché passò tanto tempo? Da una parte riorganizzare tutto il programma pensato e spalmato su cinque anni, ristringendolo in quattro, non fu un’operazione semplice, tanto che pure i sindacati furono bene attenti a tutta la procedura in corso, per paura che fosse un modo indiretto per giungere infine a un taglio del personale.

Il Cspi boccia l’idea

L’idea che sta alla base di questa sperimentazione risiede nel voler conformare gli studenti italiani a quelli del resto del mondo, dove solitamente gli studi pre-universitari durano in media un anno in meno rispetto all’Italia – perciò dodici anni invece che tredici – rendendoli il più possibile motivati e specializzati.

Il Consiglio superiore della pubblica istruzione, o Cspi, a novembre 2021 aveva bocciato il nuovo bando per allargare il progetto dei licei quadriennali. Ma la bocciatura del Consiglio non fu vincolante, tanto che lo stesso Cspi ritenne “indispensabile un collegamento organico tra la previsione dell’ampliamento dei quadriennali e il complessivo intervento normativo sulla riforma del sistema di orientamento”.

I dubbi e le incertezze si ponevano soprattutto in relazione all’assenza di una “regia nazionale”: il rischio, ovvero, prevedeva che allargare la sperimentazione avrebbe potuto significare avere soluzioni difformi sul territorio nazionale, ancor di più se suddetto progetto mancava di un valido impianto teorico.

Tuttavia, ad oggi, sembra vedersi una direzione sempre meglio delineata verso l’attuazione, tanto più ora che sono arrivati i primi feedback sugli apprendimenti degli studenti che hanno scelto di diplomarsi in quattro anni, invece che in cinque. L’ultima parola non è però ancora stata pronunciata: per un verdetto finale bisognerà attendere i risultati dei prossimi esami di Stato, quando appunto avranno completato il percorso di studi i ragazzi reclutati tramite il primo bando.

I risultati della prima sperimentazione

In ogni caso, il presidente Roberto Ricci ha spiegato che fino ad ora le valutazioni sembrano mostrare che i risultati in arrivo dai percorsi quadriennali siano in linea con quelli quinquennali. In altre parole, l’essenzializzazione della didattica si sta mostrando efficace e, afferma il presidente, “i dati di cui disponiamo oggi sembrano dirci che è possibile che, almeno nelle competenze di base osservate dall’Invalsi, non ci siano indicazioni sul fatto che seguire un percorso quadriennale si traduca in uno svantaggio di apprendimento rispetto ai quinquennali”.

Una domanda che sorge spontanea: dai risultati poco esaltanti della scuola italiana scaturiti dai testi Invalsi dopo la pandemia, è veramente opportuno e utile ridurre di un anno l’istruzione ed educazione dei ragazzi? Per il presidente Ricci questa è sì una opportunità, poiché le scuole che prendono parte alla sperimentazione non solo dovranno mostrarsi all’altezza dei risultati solitamente raggiunti in cinque anni dai tradizionali licei, ma dovranno inoltre presentare dei progetti che siano ben muniti di innovazione.

E con innovazione si intende dire che i licei quadriennali devono puntare sulle tecnologie, sulle attività di laboratorio e sull’adozione di metodologie innovative come lo possono essere la didattica digitale oppure l’insegnamento CLIL (Content and Language Integration Learning) – ovverosia insegnare, e imparare, una materia non in lingua madre, ma in una lingua straniera, per esempio insegnare storia in tedesco o filosofia in inglese, e non in italiano – ma si intende anche il potenziamento delle discipline scientifiche-tecnologiche o STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica).

Non solo questo, innovazione significa anche porsi in continuità con il mondo del lavoro, organizzare quindi stage mirati, in funzione di una migliore comprensione pratica, e non solo teorica del mondo. Si intede cioè creare “una stretta correlazione tra la progressiva maturazione dello studente e le problematiche del tempo contemporaneo, – precisa il referente padre Luigi Croseio del liceo quadriennale e internazionale Gallio di Como – attraverso, anche, l’utilizzo del tempo dedicato all’alternanza scuola-lavoro”.

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