Mediterranean Underwater Cultural Heritage: il turismo archeologico subacqueo

Venerdì 26 novembre, durante la Conferenza Mediterranea sul Turismo Archeologico Subacqueo, è stata presentata la candidatura di certificazione dell’Itinerario Culturale Europeo: “Mediterranean Underwater Cultural Heritage“. Stiamo parlando di Calabria, Campania, Puglia, Sicilia, Grecia, Egitto, Israele e Turchia.

Archeologia subacquea

Questo tipo di turismo ha come obiettivo quello di favorire un’esperienza archeologica inedita, ma fruita in maniera responsabile e sostenibile. Il patrimonio sommerso, infatti, ha grandi potenzialità dal punto di vista dello sviluppo turistico ed economico. Solo in Sicilia possiamo contare ventitré itinerari situati in sedici località diverse.

Tra le scoperte europee più importanti troviamo, inoltre, il relitto di Ulu Burun, lungo le coste della Turchia e databile al II millennio a.C., che ci ha mostrato in maniera più chiara i rapporti tra il Vicino Oriente e l’Egeo, oppure gli stessi Bronzi di Riace, che hanno modificato le nostre conoscenze sulle statue dell’antica Grecia.

Quello dell’archeologia sottomarina è un settore molto giovane che tuttavia ha già portato alla luce testimonianze di inestimabile valore, in grado di cambiare la nostra conoscenza sul passato.

Turismo subacqueo (ir)responsabile

Negli ultimi anni fare diving è diventato uno sport popolare e ricreativo, a differenza di alcuni decenni fa, quando i costi delle attrezzature e i corsi di subacquea tenevano il mondo delle immersioni ristretto solo ad alcune cerchie ristrette. Nelle località balneari sono nati a questo scopo molti diving-centre che forniscono corsi, attrezzatura e supporto tecnico. La diffusione di questo interesse ha dato appunto vita all’inizio del “turismo subacqueo”, di cui ci stiamo occupando, ovvero quella pratica che fa dei vacanzieri dei sub che vanno nelle profondità del mare per godere di bellezze naturalistiche e archeologia sommersa.

Da una stima effettuata, sono circa trenta milioni i subacquei con certificazione a livello mondiale, mentre sono circa sei milioni quelli che sono entrati in acqua almeno una volta senza la certificazione. Perciò abbiamo davanti a noi trentasei milioni di potenziali turisti, per il settore della archeologia subacquea. La crescita di questa attrazione porta alla luce alcune esigenze come per esempio quella della tutela, della conservazione e della manutenzione di questi siti.

Ritrovamenti

Ogni anno, ancora oggi, sono tantissimi i ritrovamenti archeologici che vengono scoperti nei mari lungo le coste dell’Italia e degli altri paesi del Mediterraneo. Il Mediterraneo è stato solcato per millenni dalle navi dei popoli che abitavano sulle coste e che hanno dato vita a fiorenti civiltà. Per questo motivo, custodisce moltissimi relitti nei quali possono esserci anche preziosi carichi di merci.

Chiunque può abbattersi in un ritrovamento archeologico in mare, è importante perciò regolamentare e tutelare questo patrimonio culturale. Ci sono infatti dei fattori o dei comportamenti che influenzano negativamente l’arte nel mare e rischiano talvolta di rovinarla per sempre. Tra questi, ad esempio, l’inquinamento marino,  le archeomafie, responsabili del commercio illecito di reperti archeologici, la pesca intensiva e il turismo subacqueo irresponsabile.

L’inquinamento marino

Secondo una ricerca dell’Onu, denominata UNEP-MAP (United Nations Environment Programme-Mediterranean Action Plan), condotta nel 2004, l’Italia era al primo posto della classifica dei Paesi più inquinanti, responsabile del 30% degli scarichi nel Mediterraneo di metalli pesanti. Tra questi piombo, cadmio, rame e zinco. L’inquinamento marino è presente quando vengono alterati gli equilibri chimici e di conseguenza gli ecosistemi marini. Non solo attraverso le centinaia di tonnellate di metalli pesanti e pesticidi che vengono scaricati in mare dalle industrie, ma anche a causa dell’assenza di politiche di depurazione.

L’inquinamento marino altera le condizioni di conservazione dei reperti archeologici presenti nel mare e facilita la degenerazione dei manufatti antichi. Alcuni dei luoghi che dai dati risultano i più inquinati spesso coincidono proprio con quelli in cui si trovano i siti archeologici. Per esempio tra i punti interessati troviamo la costa di Siracusa, in cui secondo la procura avvengono degli scarichi illegali di merci; l’area marina protetta dell’Isola di Capo Rizzuto, inquinata dall’arsenico.

Le archeomafie

Per “archeomafie” si intende il furto di opere d’arte e di reperti archeologici, non solo dai musei ma anche da scavi clandestini, che immettono beni nel traffico internazionale di manufatti, avendo come destinazione case private o musei stranieri. Queste organizzazioni si occupano non solo della terra ferma ma anche di saccheggiare i fondali marini. È risaputo che ci sono delle difficoltà nel controllo delle coste italiane da parte delle autorità. Per questa ragione riescono a compiere delle vere e proprie razzie nei nostri fondali. I manufatti trafugati vengono poi venduti negli stessi canali nei quali corrono traffici illeciti di droga, armi e immigrazione clandestina.

In questa categoria troviamo anche quelli che nel 1995 sono stati definiti “relittari” dalla rivista americana «Aquacorps». I “relittari” sono la versione subacquea dei tombaroli, cioè sub che vanno a caccia di antichi relitti e manufatti presenti nei fondali marini a scopo di lucro.

La pesca sui fondali

La pesca, nonostante sia una pratica fondamentale soprattutto per chi abita lungo le coste, è diventata una pratica insostenibile. Questo è accaduto a causa delle tecniche molto invasive, che superano i limiti di rigenerazione della fauna marina, danneggiando i fondali. Principalmente ciò avviene quando viene utilizzata la pesca “a strascico”. La legge vieta la pesca “a strascico” su fondali inferiori ai 50 metri, ma molto spesso tale norma viene violata. Questo tipo di pesca consiste nel trascinare una rete da pesca sul fondo del mare, danneggiando in questo modo sia la flora che la fauna sottomarina. I divieti fissati dalla legge però non tengono conto del patrimonio archeologico presente nei fondali.

Non è raro che alcuni pescherecci facciano dei ritrovamenti archeologici. A Mazara del Vallo fu ritrovata, ad esempio, durante una battuta di pesca, la statua di un satiro di novantasei chili, alta due metri. In questi casi non è scontato che ci si rivolga alle autorità competenti. Molte organizzazioni criminali utilizzano come copertura per il commercio illegale proprio l’attività dei pescherecci.

La tutela

Sembra dunque sempre più necessario che l’attività subacquea, a questo punto della sua popolarità, venga regolamentata, per evitare che crescendo ancora possa diventare insostenibile e pericolosa per la fauna e la flora dei nostri mari, ma anche per il patrimonio archeologico. I mari racchiudono un importante patrimonio archeologico sommerso, conoscerne la localizzazione rientra tra gli elementi base per poterlo tutelare e valorizzare. Il “Mediterranean Underwater Cultural Heritage” costituisce un passo concreto in questa direzione contribuendo non solo ad aumentare il riconoscimento dell’importanza dei fondali marini quale bene da tutelare, ma anche alla possibilità di regolamentarne la fruizione e la condivisione sicure e rispettose.

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