Il mondo in bianco e nero secondo Calogero Cascio

Biografia di un artista poco celebrato

Calogero Cascio nasce a Sciacca, in provincia di Agrigento nel 1927. Nel 1949 si stabilisce a Roma, dove, dopo aver completato gli studi universitari e aver brevemente esercitato la professione di medico nelle borgate romane, sceglie la professione di fotoreporter. Cascio entra così in contatto con il mondo dell’editoria; mondo che aveva visto la nascita, nel dopoguerra, di importanti periodici illustrati, come «Il Mondo», diretto da Mario Pannunzio dal 1949 al 1966, e «L’Espresso», fondato nel 1955 da Arrigo Benedetti ed Eugenio Scalfari.

Negli anni Sessanta, con i fotografi Caio Garrubba, Antonio e Nicola Sansone, condivide l’ideale del reportage giornalistico come azione politica e, insieme a loro, fonda nel 1963 l’agenzia RealPhoto, con i quali avvia la cosiddetta scuola romana di fotogiornalismo. Alla fine degli anni Sessanta inizia a collaborare con il periodico legato al Partito Comunista «Vie Nuove»; e, a partire dal 1967 avvia la sua carriera da editore. Nello stesso anno pubblica il suo primo fotolibro, Lazzaro alla tua porta, seguito da altri tre libri che sono considerati fondamentali per il fotoreportage a carattere sociale: Quando io grido a te, nel 1973 e Quando dico Speranza, nel 1974, chiudendo l’anno successivo con la pubblicazione di Vangelo a caso.

L’esposizione

È la prima mostra in assoluto su Calogero Cascio, molto conosciuto all’estero nei dieci anni e poco più in cui ha lavorato. Produsse però tantissimo, con la capacità di leggere la realtà in modo letterario e giornalistico. Non cercava la notizia, era un fotoreporter intellettuale, politico, di denuncia, un uomo di lotta e di impegno sociale come molti freelance dell’epoca. Fece i suoi grandi reportage per scoprire e vedere da vicino l’umanità universale delle persone, le loro emozioni e i momenti difficili

Per la prima volta nella storia, tutta la sua opera è stata raccolta ed esposta negli spazi del Museo Roma in Trastevere, e visitabile fino al 9 gennaio 2022. Calogero Cascio. Picture Stories, 1956-1971si presenta come una mostra antologica, che ha visto la collaborazione dei figli Natalia e Diego Cascio e della Biblioteca Nazionale di Firenze, i quali costudiscono l’archivio del fotografo. La curatrice della mostra, Monica Maffioli, ha raccolto quindi fotografie e stampe da negativi originali, collocandole in due corridoi del secondo piano del museo.

La fotografia tecnica, la foto industriale, è difficile, difficilissima se si vuole un risultato eccellente. Qui non servono l’immaginazione, la fantasia e simili voli pindarici, ma soprattutto i parametri culturali e di gusto. In questo settore bisogna essere più matematici che poeti, più tecnici e uomini di cultura che interpreti. Il lavoro diventa composizione di dati e di esperienze passate. Forse questo potrebbe sembrare il mestiere meno stimolante, ma a me, qualsiasi cosa se ne dica, sembra un mestiere pulito nel quale le forzature sono smorzate e le pressioni esterne non comportano una prudenza ipocrita.

Una voce autorevole della critica

Queste parole dello stesso Cascio ci permettono di leggere anche quelle delle critica, quasi sempre positiva, con i suoi lavori. Piero Racanicchi nel 1963, il più attento critico della fotografia italiana del momento, descrive sulla rivista «Popular Photograpy» in questo modo la qualità artistica del siciliano:

Calogero Cascio ha il pregio di scrivere nella stessa maniera in cui fotografa: la sua intelligenza visiva lo porta verso uno stile narrativo sciolto e scorrevole, fatto di impressioni e di riflessioni, che punta al nocciolo delle cose, scarta le situazioni marginali, affronta gli argomenti con immediatezza, di fronte, senza concedere nulla alla fantasia e al descrittivismo.

I tempi visivi di Calogero Cascio

Leggendo queste parole si può intendere la carriera di Cascio come fotoreporter. La sua attività, come suggerisce il titolo della mostra, si concentra in quindici anni e si divide in due momenti. Un primo, vede Cascio impegnato tra il 1958 e il 1963 in giro per il mondo, e un secondo tempo, quando decide di rientrare in Italia e partire dalla sua Sicilia per raccontare le persone prima che gli eventi.

Sono qui a Palermo, in Sicilia, che non è Europa e non è Africa, è soltanto Sicilia […]. I siciliani, a dire il vero, sono un po’ orgogliosi di questa lontananza e io, che sono siciliano, lo so bene. Ma lo so ora che sono qui, ora che sono ritornato in questa mia terra che vorrei solo amare un po’ di meno e odiare molto di meno. Perché è strano, ma quando ne sono lontano ho un grande desiderio di rivederla, poi, quando l’ho rivista, vorrei scappare e non posso.

Lotta e denuncia sociale secondo Calogero Cascio

Dopo le prime trasferte in Germania, Francia e Svizzera effettuate tra il 1958 e il 1960, dove Cascio ha avuto modo di costruire una fitta rete di contatti, tra il 1960 e il 1963 concentra i suoi viaggi nelle zone del Terzo mondo. Il suo bianco e nero visita l’Egitto in piena crisi, causata  dalla nazionalizzazione del Canale di Suez, dove riesce a cogliere i momenti di tensione tra la popolazione locale; per poi volare nel Sud Est Asiatico, dove il processo di decolonizzazione era stato appena avviato. Vietnam, Laos, Thailandia, Nepal e India, sono tutte nazioni nate dall’ex Impero francese, alla ricerca del loro posto nel mondo. Cascio va nelle foreste, dove i guerriglieri comunisti vivono e si preparano per combattere. Sale a bordo dei loro mezzi, visita le loro tende e parla con le loro famiglie.

Calogero Cascio, Un soldato della milizia filogovernativa, Vietnam del Sud, 1960, Stampa alla gelatina ai sali d’argento, Archivio Cascio, Roma.

Nelle sue fotografie si percepisce la tensione e l’instabilità politica del momento, ma egli si concentra sulle persone, sui loro sentimenti e sulle loro percezioni. Come si può leggere nel volto di questo soldato della milizia filogorvernativa, colto in un momento di relax dal caos della guerra, che è vestito alla occidentale con Ray Ban e sigaretta. Cascio ne esegue un ritratto occidentale, come a denunciare l’estraneità degli Stati Uniti e dei suoi alleati in una guerra che non minaccia direttamente l’equilibrio mondiale. Ma gli americani intervengono per bloccare il pericolo invisibile del Comunismo, agendo secondo la Dottrina del Presidente Truman, secondo il quale gli Stati Uniti dovevano interessarsi della politica mondiale per difendere il sistema capitalistico.

Nelle zone calde della Guerra Fredda

Dall’Oriente al Sud America. Brasile, Colombia, Perù e Venezuela, per raccontare i cambiamenti politici mondiali e per mostrare al mondo che il progresso tecnologico ha i suoi lati negativi. Anche qui cerca le persone, donne e bambini, indigeni e coloni europei, i quali si trovano catapultati nel gioco del sistema mondiale. Si formano governi militari, muoiono migliaia di persone, anche semplicemente di fame; Cascio racconta tutto questo attraverso gli occhi e la prossemica dei suoi soggetti. La guerra e i cambiamenti sociali sono cercati nelle persone, che subiscono e che non possono fare altro che scappare. Cascio non va solo dalla gente comune, ma anche dai soldati, ritratti come un ingranaggio di un sistema più grande, al quale partecipano come semplice oggetto. Ma il fotografo dà vita a questi oggetti e restituisce loro la dignità umana.

India: tra reportage e ricerca di sé stessi

Prima di tornare nella sua Sicilia, Cascio effettua un reportage dell’India nel 1962, un’altra neonata repubblica, quotidianamente messa in pericolo dalle rivendicazioni della varie etnie. Cascio fotografa gli Intoccabili che, nonostante l’abolizione delle caste da parte di Gandhi nel 1950, continuano ad esistere e a combattere tra di loro. Tuttavia, Cascio non vuole restituire la tensione sociale, ma vuole offrire al mondo l’immagine spirituale di questo paese. Egli ritrae un uomo in preghiera lungo in Gange, un padre che gioca con la figlia nei pressi di un tempio induista e una donna in abiti tradizionali che sta per sposarsi. Queste fotografie si presentano quasi come una strada per purificare l’anima di Cascio che, dopo i pericoli raccontati in Asia, si appresta a tornare in Italia, in Sicilia.

La Mafia in bianco e nero

Calogero Cascio, Corleone, 1958, Stampa alla gelatina ai sali d’argento da negativo originale, Archivio Cascio, Roma

1963, Sicilia. Una terra rimasta fuori dal boom economico ma al quale ha contribuito fornendo capitale umano alle industrie del Nord Italia. Cascio racconta la cultura mafiosa, i loro silenzi e la loro omertà. Dedica alla sua terra il primo reportage su un sistema sotterraneo ma molto presente, su un territorio dove lo Stato non è mai arrivato. Uomini in coppola e lupara che, con i loro carretti, sorvegliano un paese nell’agrigentino; oppure donne preoccupate che aspettano i loro mariti sulla porta di casa. E poi Corleone, un nome che negli anni delle guerre di Mafia rimbalzerà su tutti i giornali, dove Cascio cattura due uomini che, con un fare sospetto, camminano nel paese.

Italia, cultura e società

Dalla Sicilia Cascio si sposta poi a Milano, Roma, Napoli e Torino. Qui si sofferma nelle periferie, nelle baraccopoli nate in maniera spontanea vicino le aree industriali oltre la ferrovia, dove non arriva neanche Dio. Ma Cascio sì, ritrae persone che sopravvivono a ogni difficoltà, che cercano di migliorare la propria condizione umana, nonostante le poche possibilità. E in mostra c’è una foto da un campo nomadi di Roma che offre la speranza a questi luoghi. Una bambina che si offre allo sguardo della macchinetta fotografica abbozzando un movimento festoso. Ma la speranza è anche l’arrivo di un maestro di musica che, con la sua chitarra, porta l’armonia tra il caos.

L’italia degli anni Sessanta e Settanta è caratterizzata anche dai grandi movimenti sociali. La rivendicazione di genere viene ritratta da Cascio in maniera personale, a partire dal reportage del 1966 sul Delitto d’Onore, che all’epoca ha fatto tanto scalpore. Egli va in provincia, a Velletri, nella sezione locale del Partito Comunista, dove tre donne anziane sono sedute sotto la scritta «W Udi, che rivendica la pensione per le donne casalinghe»; oppure le foto delle manifestazioni per il divorzio in provincia di Chieti, le quali hanno cambiato per sempre la famiglia tradizionale italiana, che sono poste accanto ad una famiglia della campagna romana che si appresta a passare la domenica a bordo della sua Fiat 600, simbolo del boom economico.

Novecento: l’umanità nel secolo delle ideologie

Dalla mostra si esce con la consapevolezza di aver fatto un viaggio nel tempo dei sentimenti e delle emozioni umane. Cascio ci consegna un Novecento raccontato e mediato, nel quale le persone vengono prima dei grandi eventi storici e che molto spesso la memoria dimentica. Guerra Fredda, boom economico, grandi movimenti migratori e rivendicazioni sociali, sono catturati in bianco e nero, certamente dovuto alle strumentazioni dell’epoca, ma che ci permette di entrare negli spazi privati di quelle persone che ogni giorno hanno dovuto lottare. Chi contro il sistema e chi per dare alla propria terra dignità e legalità.


Credits

Immagini a cura del redattore

 

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