Il nuovo “West side story”

04I classici del cinema si sa, sono intoccabili. Ma capita che qualche mostro sacro, in questo caso il regista Steven Spielberg, si cimenti nel remake di uno di questi. Dopo sessant’anni dall’uscita del West side story diretto da Jerome Robbins e Robert Wise, il regista di Lo squalo (1975) e E.T. l’extra-terrestre (1982) decide di mettersi alla prova realizzando il remake di uno dei musical che ha segnato la storia del cinema.

Avevo dieci anni quando ho sentito per la prima volta la colonna sonora di West side story. E non l’ho mai dimenticata. Sono stato in grado di realizzare il mio sogno e mantenere quella promessa che avevo fatto a me stesso… “Devi fare West side story”.

La trama

WEST SIDE STORY, 1961.
Richard Beymer as Tony and Natalie Wood as Maria in a scene from ‘West Side Story,’ 1961.

Tratto dall’omonimo musical di Broadway il film ebbe un successo straordinario sia per le tematiche affrontate che per la bellezza formale unita all’incontrastabile bravura del cast. Rivisitazione della celeberrima opera shakespeariana Romeo e Giulietta, il film racconta le tensioni tra due bande rivali, i Jets di New York e gli Sharks di Porto Rico: la nascita dell’amore tra due membri di fazione opposta metterà a repentaglio la loro convivenza e di conseguenza le loro vite.

Sullo sfondo di un’America caratterizzata dal razzismo e dalla violenza, il musical ebbe un’importanza cruciale nel delineare la situazione americana alla fine degli anni cinquanta creando un forte senso di immedesimazione nel pubblico.

Il contesto storico-sociale

La storia è sempre la stessa. Per le strade di Manhattan Riff (Mike Faist) e Bernardo (David Alvarez) tentano di marcare il territorio attraverso scontri giornalieri che diventano sempre più violenti, minando la quiete pubblica già messa a dura prova dalla convivenza tra americani e portoricani. Nonostante ciò il paragone con la pellicola del 1960 nasce spontaneo.

Il regista Steven Spielberg decide di proporre una versione più moderna della pellicola mantenendo la trama invariata eccetto per l’ambientazione di alcune scene. Come nella versione originale una panoramica aerea ci trasporta in una New York segnata dai cambiamenti generazionali che di lì a poco stravolgeranno il paesaggio urbano della Grande Mela sconvolgendo la sua struttura sociale e demografica.

Le rivalità tra gruppi di persone che la pensano diversamente è vecchia quanto il tempo stesso. E la divisione tra Jets e Sharks nel 1957, che mi ha ispirato, era profonda, anche se non così tanto com’è la società odierna. Si è deciso nel bel mezzo dello sviluppo della sceneggiatura, che ha richiesto cinque anni, che le cose dovevano essere ampliate. Il che, in un certo senso, ha reso la storia di quelle divisioni razziali non solo territoriali, ma più rilevanti per il pubblico di oggi rispetto a quello del 1957.

Oltre al rimarcato conflitto razziale emerge anche quello di genere: la figura della donna associata a mera “casalinga che si deve occupare di 8 figli”, tenta lentamente di emergere mostrando la sua reale valenza. Le protagoniste femminili diventano eroine di una generazione che sta cambiando portando l’emancipazione ad un livello superiore.

Versioni a confronto

Fin da subito si capisce come il regista statunitense abbia mantenuto quasi tutte le sequenze del film originale compresa la colonna sonora, che ricalca perfettamente quella di Leonard Bernstein (musiche) e Stephen Sondheim (canzoni). Questa adesione e di conseguenza il mancato stravolgimento della pellicola è sicuramente da apprezzare in quanto si percepisce la volontà di Spielberg di rendere omaggio – mantenendo lo stile che lo contraddistingue – a un film che sicuramente ha segnato l’immaginario e i comportamenti di un’intera generazione, nonché la sua infanzia.

Un cambiamento sostanziale lo si ha nella forma: la pellicola di Spielberg appare logicamente più scorrevole dal punto di vista narrativo grazie ad un montaggio dinamico che contribuisce a rendere fruibile un prodotto che deve essere giustamente in sintonia con le aspettative del pubblico del nuovo millennio. Resta comunque il fatto che anche gli anni sessanta furono un periodo di sperimentazione sia a livello di contenuti che formale: si pensi a musical come Tutti insieme appassionatamente (1965) o Mary Poppins (1964), pellicole che hanno sicuramente avuto un impatto molto forte sul pubblico e in generale sull’immaginario cinematografico collettivo.

Suono e immagine

Spielberg si conferma quindi maestro della messa in scena e dimostra ancora una volta la sua bravura registica soprattutto dal punto di vista qualitativo. Particolarmente apprezzata la fotografia curata nel minimo dettaglio e che si discosta dalla pellicola originale per la scelta dei colori e l’utilizzo delle luci e delle ombre. Qui diventano parte integrante della narrazione acquisendo addirittura un valore semantico. Luci e ombre creano contrasti cromatici d’impatto, stagliandosi sulla scena in maniera particolarmente imponente creando a loro volta delle coreografie astratte.

Per quanto riguarda lo scomparto sonoro Spielberg decide di enfatizzare le coreografie rendendole maggiormente complesse grazie anche ad un saggio utilizzo della macchina da presa, che compie movimenti audaci divenendone parte integrante. Inquadrature aeree, campi lunghi, primi piani e longtake (inquadrature lunghe) uniti a dei movimenti fluidi della macchina da presa rendono la pellicola coinvolgente e spumeggiante.

Un cast travolgente

Una presenza rilevante nel film è sicuramente l’attrice Rita Moreno che nella versione degli anni sessanta interpretò Anita aggiudicandosi il Premio Oscar come migliore attrice non protagonista. Qui veste i panni di un personaggio che, a differenza del film originale, si rivela fondamentale: Valentina, la titolare della drogheria dove lavora Tony (un eccezionale Ansel Elgort). Questa diventa una sorta di angelo custode per i ragazzi di entrambe le fazioni essendo lei stessa portoricana. Nota di merito anche per Ariana DeBose e la sua Anita, figura talmente prorompente e ammaliante che a tratti rischia di mettere in ombra la protagonista Maria, interpretata da un’appena ventenne Rachel Zegler.

Il cast dimostra eccellenti doti canore, anche se dal punto di vista espressivo presenta alcune – trascurabili – lacune. Tutto questo viene però compensato da scenografie e coreografie di grande impatto che riescono a trasportare il pubblico all’interno della narrazione. Lo stile di Spielberg è evidente non solo quindi nella messa in scena, ma anche nelle scelte formali e comunicative.

Una nota dolente

Le due versioni possono quindi considerarsi di altissimo livello, in quanto rispettano le aspettative di epoche diverse e contesti socio-culturali differenti. Nonostante ciò nella versione originale l’odio razziale e l’accanimento nei confronti di una minoranza etnica (in irrefrenabile incremento) risultava più marcata. Nella versione di Spielberg le guerriglie si limitano a banali scontri per il controllo territoriale puramente materialistico, non intellettuale come nella versione precedente. Questo omaggio risulta quindi poco innovativo limitandosi a ricalcare una storia già scritta. Se dal punto di vista formale e visivo Spielberg ne aumenta la teatralizzazione, dall’altro manca di ricerca contenutistica.

Nonostante ciò West side story rimane indubbiamente una pellicola da recuperare, in vista anche della sua nomination ai Golden Globe di quest’anno. Un racconto di odio e supponenza, più che di una storia d’amore, ma non per questo meno incisivo e tragico. Riuscirà Spielberg a spuntare questa occasione, magari anche alla notte degli Oscar?

 

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