Julien Gracq: i paesaggi surreali di “Liberté Grande”

Una breve biografia

Louis Poirier è uno scrittore francese del Novecento: insegnante al liceo e in seguito tenente a Dunkerque, viene arrestato dai tedeschi e spedito in Slesia. Spinto avanti dal suo disprezzo per i soldati, vince un’infezione polmonare e viene rimandato a casa. Continua la carriera da insegnante e crea uno pseudonimo per separare l’immagine dell’insegnate da quella di scrittore. Oggi è conosciuto come Julien Gracq, omaggiando sia il Sorel di Stendhal sia la cupezza dei corvi.

Gracq detestava la cultura francese, la riteneva avida e schiava dei premi letterari: proprio questo lo spinge a rifiutare il Goncourt per Le Rivage des Syrtes, il suo libro più noto. Tra gli italiani, che amavano una letteratura semplice, pulita, con temi a sfondo sociale, Gracq non ebbe successo.

Le ispirazioni letterarie

Il suo metodo è più vicino al surrealismo, al mondo onirico e uno dei grandi manifesti di questo suo stile è Liberté Grande. Si tratta di una raccolta di poemi che ora viene riportata alla luce da L’Orma Editore (traduzione di Lorenzo Flabbi). Il libro si divide in due parti principali: la prima, composta da quaranta racconti brevi, scritti tra il 1941 e il 1943 e pubblicati su riviste vicine al surrealismo; la seconda contenente brevi raccolte.

Julien Gracq non entrerà mai ufficialmente nel movimento dei surrealisti, ma la libertà linguistica e le immagini evanescenti che usa rimandano indirettamente a questa corrente. Inoltre, l’oscurità stessa del proposito guida il lettore a uno stato poetico, per il quale non interpreterà mediante l’utilizzo dell’intelligenza o dello spirito, ma con l’immaginazione. “Liberté” indica bene questa tacita appartenenza al movimento surrealista, che aveva anche scopi politici (si vedano infatti le figure rivoluzionarie all’interno della raccolta). Infatti, dietro questi paesaggi inafferrabili, si nasconde un intento volutamente politico: evitare i compromessi e gli schemi era sempre stato l’intento principale di Gracq. Si dimostra così anche coerente con le proprie convinzioni, nel suo disprezzo verso i pettegolezzi parigini. “Grande“, invece, assume una connotazione più personale per l’autore: è la sua percezione del mondo e del viaggio.

Da non sottostimare l’epigrafe incipitaria: Gracq, cita la poesia Ville dalle Illuminazioni di Rimbaud, suo grande maestro. In questa raccolta Rimbaud si era dedicato alla ricerca di un linguaggio specifico per mettere su carta un assetto onirico e fantasticatore: la mancanza di limiti grammaticali e la ricerca dei simboli nella realtà diventano anche le basi per la stesura dei testi di Liberté Grande.

Lo stile

Julien Gracq decide di non scrivere un romanzo poiché non avrebbe incarnato appieno lo spirito dei racconti brevi. Egli stesso afferma che per scrivere un romanzo sono necessari mesi se non anni e una trama continua a dettagliata; Libertè Grande si basa su impressioni istantanee di viaggi o incontri, non potrebbe mai avere la forma continua del romanzo. La scelta di testi brevi è anche dettata da ragioni di scrittura per cui Gracq lascia scorrere la penna sul foglio senza quasi fermarsi. Potrebbe essere paragonabile allo stile di scrittura automatica dei surrealisti, con la differenza che questi ultimi non erano guidati dal pensiero cosciente mentre procedevano alla stesura del testo. Dallo stile di scrittura automatico, si lasciano libere anche la serie di associazioni mentali che ne derivano, le metafore improbabili e le immagini. Questa sottomissione all’immaginario è in realtà un metodo di sfruttamento più cosciente delle risorse del linguaggio. Proprio per queste ragioni si potrebbe parlare dell’utilizzo di una lingua poetante, che unisce la musicalità e la liricità della poesia con la narrazione metafisica.

I quadri surrealisti

Per quanto riguarda le trame sono quasi inesistenti, sono sovrastate da un senso di quiete metafisica che riporta ai quadri di De Chirico: sono paesaggi all’aspetto sereni ma che nascondono qualcosa di angoscioso e proprio come il grande artista, l’intento di Julien Gracq non è certamente raffigurare un ambiente reale, ma andare oltre e trascendere il piano terreste. Questo panorama senza argini è creato proprio per far perdere l’orientamento al lettore e per dare l’impressione di muoversi senza restrizioni, con libertà grande, appunto. Tutto questo è ben visibile nel poema L’explorateur, che riporta al mondo onirico di Paul Delvaux e che fa perdere gradualmente tutte le tracce di civilizzazione, lasciando un’atmosfera intima tra il lettore e il narratore.

Ho vissuto di pochissime cose come di quelle
sparute stradine vuote che si spalancavano nel
sole di mezzogiorno e s’inselvaggivano silenziose in un profumo di linfe e animali liberi, le
loro case evacuate come un’onda di marea sotto
la schiuma del fogliame.

La missione

La sua condotta letteraria, in fin dei conti, non è altro che una coerente rappresentazione di sé e della condotta di vita: Julien Gracq è l’eremita e l’esploratore che viaggia e trascende la realtà. La lettura del libro sicuramente non si può definire scorrevole o semplice, ma non era questo sicuramente l’intento dell’autore. L’estro poetico e il viaggio nella mente di Gracq sono i veri protagonisti del libro.


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