La strega e il capitano - Sciascia copertina

“La strega e il capitano”: Sciascia e la morte narrabile

Terrificante è sempre stata l’amministrazione della giustizia, e dovunque. Specialmente quando fedi, credenze, superstizioni, ragion di Stato o ragion di fazione la dominano o vi si insinuano.
Leonardo Sciascia, La strega e il capitano (1985)

la strega e il capitano copertina del libro adelphiÈ il 1617, è febbraio: Caterina Medici è condannata al rogo. L’accusa? Stregoneria. Appare come uno dei tanti casi di stregoneria conservati nei nostri archivi, ma l’attenta ricostruzione dei fatti e del caso, sapientemente racchiusa in La strega e il capitano di Leonardo Sciascia, ci mostra che non è così, giacché tutta la vicenda nasconde tra le pieghe misteri, dubbi e oscurità. Sciascia, come sua consueta firma distintiva, ci consegna con quest’opera una denuncia agli uomini di potere, ipocriti e agiati, dittatori nei confronti delle loro serve con cui prima “negoziano” e che poi accusano di demonismo. Ciò che a lui più interessa è demistificare le innumerevoli, insidiose maschere del potere fino a svelarne il ripugnante volto.

Leonardo Sciascia

Leonardo Sciascia, classe 1921, siciliano. Rivela fin da giovane il forte interesse per la realtà politica e sociale; utilizza la sua attività letteraria come strumento di denuncia dei mali più gravi che travagliano la Sicilia, l’Italia e, più in generale, l’umanità come tale. I suoi libri li possiamo annoverare tra le opere del realismo critico, una via di mezzo tra racconto e inchiesta: l’autore coniuga il suo impegno narrativo con quello civile e politico.

Leonardo Sciascia fu un attento e sensibile interprete dei problemi della giustizia. A legare le sue opere è quasi sempre una concatenazione tra Verità e Giustizia; ciò caratterizza anche la sua intera esistenza, spingendolo a battersi, lottare come scrittore, intellettuale e politico, per ciò in cui credeva fermamente e cioè contro ogni forma di falsificazione della storia o occultamento della verità.

La strega e il capitano

La storia raccontata da La strega e il capitano inizia nel 1616, a dicembre, quando il senatore del Ducato di Milano, Luigi Melzi, comincia ad accusare forti dolori allo stomaco. I suoi medici non ne comprendono la causa e non riescono a guarirlo. È in questo momento che si inizia a pensare alla stregoneria. Viene subito accusata la serva Caterina. Ad accusarla è un amico di Melzi, il capitan Vacallo, per il quale Caterina lavorava prima di essere allontanata. Per il capitano lavorava un’altra serva di nome Caterina, alla quale, stando alla versione di Vacallo, la Medici avrebbe insegnato le arti stregonesche allo scopo di sedurlo per concepire dei figli da lui. Ecco su quali basi si appoggia la solida accusa.

La camera di Caterina viene perquisita e vi si trovano dei talismani e altri oggetti malefici adoperati per gettare l’incantesimo sul senatore. Viene sottoposta a esami medici e incarcerata. Si apre il processo per stregoneria, e subito si fanno avanti numerosi testimoni che portano le prove degli incantesimi e malefici della povera malcapitata. Inizialmente la donna rifiuta di confessare, ma in seguito alle più indicibili torture rilascia dichiarazioni agghiaccianti. Illusa, poi, dalla promessa di essere risparmiata dalla pena capitale, fa anche i nomi di molte sue compagne. La promessa di salvezza ovviamente era solo un metodo di estorsione utilizzato nel processo inquisitorio e, dunque, Caterina viene condannata a morte.

La strega e il capitano - caterina de medici
Caterina Medici e i suoi figli nel ciclo di affreschi (Fasti Medicei) della villa medicea di Petraia a Firenze

Il processo

Claudio Ambroise afferma che “scrivere un romanzo giallo è veramente trasformare la morte di qualcuno in una esperienza narrabile. E le ricerche su Raymond Roussel o Ettore Majorana rientrano nello stesso tipo di progetto“; una cronaca dunque che “ha la forma del giallo; non è una finzione, ma uno squarcio di realtà; il detective è lo scrittore in prima persona“.

A Sciascia calza alla perfezione la definizione di scrittore “detective”: un detective non alla Sherlock Holmes, ma più alla Maigret di Simenon, a cui si paragonava lo stesso Sciascia. A lui non interessa il colpevole, ma piuttosto studiare una situazione, un contesto. La sua straordinaria capacità di immergersi nei diversi contesti, avanti o indietro nel tempo, e di raccontarli, con la stessa autorevolezza di un’indagine, rende il detective egli stesso personaggio, osservatore ravvicinato della vicenda.

Lo scetticismo di Sciascia si concretizza molto spesso nella riapertura dei casi. Egli presta attenzione prioritaria al contesto sociologico dei fatti. Nulla è lasciato al caso. La sua azione investigativa mira a trasformare un freddo verbale redatto in maniera approssimativa, in una versione nuova, come una revisione del testo e del contesto. È proprio questa la chiave del “Metodo Sciascia“.

Sciascia e la giustizia

La verità è nel fondo di un pozzo: lei guarda in un pozzo e vede il sole o la luna; ma se si butta giù non c’è più né sole né luna, c’è la verità.

Durante la sua vita, Sciascia fu un cercatore perenne e incontentabile di verità. Cosa risalta da questa definizione della verità? Di certo la difficoltà nel raggiungerla. Proprio così, perché ad affacciarsi e a guardarla dal bordo, la verità sembra rassicurante, ma non è vera: è solo un riflesso, non il sole, non la luna. Per raggiungere la verità bisogna buttarsi dentro. Che significa viverla, rischiare di farsi male e soprattutto: una volta entrati nel pozzo, come si esce, come si racconta? La risposta definitiva non la abbiamo e non l’aveva Sciascia che, coerente con ciò in cui credeva, tentava di decifrare la verità: coglierla dal suo riflesso e portarla alla luce nuda e cruda. Infine, cos’è giustizia per Sciascia, o cosa dovrebbe essere? Ciò che c’è di più lontano da quello che intende di lei la società. Giustizia è la chiave di decrittazione della Verità.


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