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Arte partecipata: come prendere parte al processo artistico

Nel febbraio 2021, tra gli spazi dell’Istituto comprensivo di Valenza nasce il Museo d’arte partecipata. L’intenzione espressa dai curatori è di mettere in discussione il ruolo dell’artista come unico possibile creatore dell’opera. Il pubblico si affianca così alla creazione e prende parte al processo artistico, diventando di fatto co-creatore. 

Cosa si intende dunque con arte partecipata, ossia “prendere parte” ad un processo artistico? 

Nella fruizione tradizionale dell’arte gli spettatori si ritrovano di fronte alle opere, le osservano e sperimentano qualsivoglia pensiero a riguardo. Ne sono però fruitori passivi, non apportano nulla alle opere che stanno osservando. In risposta a ciò, l’arte partecipata intende invece coinvolgere il pubblico mediante varie modalità. Lo fa in varie forme poiché esistono diverse scale di libertà e coinvolgimento che l’artista intende offrire alle persone. L’arte partecipata accoglie quindi la definizione dell’essere umano come animale creativo che necessita di esprimersi, e l’artista non è altro che il facilitatore di tale processo. 

Gli inizi

Già nel 1968, Michelangelo Pistoletto e Maria Pioppi, insieme ad altri artisti, fondarono Lo Zoo. Il movimento, che durò due anni, prevedeva azioni partecipate direttamente nelle strade della città, dove le barriere disciplinari tra pittura, scultura, teatro e arti visive venivano abbattute. Il rapporto con il pubblico de Lo Zoo è ironicamente racchiuso nella famosa citazione dello stesso Pistoletto:

Vi siete mai chiesti chi siano i veri spettatori, voi da una parte delle sbarre o gli altri al di là delle sbarre?

Sempre in Italia, precisamente a Bologna, nel 1977, il celeberrimo duo artistico composto da Marina Abramović e Ulay mise in scena l’opera performativa Imponderabilia. I due artisti e compagni si posizionarono all’ingresso del museo, nudi, uno di fronte all’altro contro i due stipiti dell’entrata. All’ingresso i visitatori erano così costretti a passare tra i due corpi, nel breve spazio che li separava.

La partecipazione del pubblico, con le sue emozioni ed il suo disagio, era l’essenza stessa dell’azione partecipata del duo artistico. Lo spettatore, per accedere al museo, si trovava infatti costretto a sfiorare uno dei due corpi, passando lateralmente nello spazio. Quale dei due artisti gli spettatori avrebbero scelto di guardare in faccia?

L’opera, diventata simbolica, fu peraltro di ispirazione per una campagna pubblicitaria Gianni Versace nel 1999.

Arte partecipata e inclusione sociale 

Un aspetto interessante dell’arte partecipata è certamente la sua volontà inclusiva. Ne è un esempio l’artista aretino Giustino Caposciutti, che da decenni associa la sua attività artistica a quella di educatore, coinvolgendo nei suoi progetti ragazzi e ragazze diversamente abili. Nel 1975 Caposciutti, dopo il diploma all’Accademia di Belle Arti di Torino, svolse un’esperienza come artista presso un centro diurno per malati psichici della città.

A partire da allora, l’artista ha realizzato e collaborato a numerose iniziative di arte partecipata, utilizzando come mezzo soprattutto i materiali tessili. Un esempio è la mostra/progetto FiloArX, inaugurata a Torino nel 1993, dove chiunque poteva dipingere e firmare un filo che poi sarebbe stato tessuto insieme a quello di tutti gli altri, creando l’opera stessa.

Il progetto TESSERECHIERI è un altro esempio di creazione collettiva. Si tratta di un mosaico composto da cento tessere realizzate da altrettante cento persone in modalità differenti. L’opera venne realizzata nel 2008 in una piazza di Chieri, città dalla lunga tradizione d’artigianato tessile. Caposciutti, con la sua sensibilità, è quindi fautore di un’arte partecipata dall’alto valore morale che annienta la visione occidentale dell’artista individualista. 

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Superkilen Park

Partecipazione e design urbano

Diverso per scopi e portata è il progetto di design urbanoSuperkilen, svoltosi in un parco nel quartiere più multiculturale di Copenaghen. Gli studi che hanno portato avanti il progetto (Superflex, gli architetti di BIG e i paesaggisti di Topotek1) hanno coinvolto tutte le 57 diverse comunità presenti nell’area, chiedendo loro suggerimenti di arredo urbano che li potesse rappresentare culturalmente. Questo approccio partecipativo si pone in antitesi con i modi più tradizionali di progettare la città, ossia pianificandola “dall’alto”, senza effettivamente conoscere chi vive i luoghi e come.

Non essendo un progetto artistico in senso stretto, ma architettonico, è comunque interessante l’approccio messo in atto, in quanto ispirato alle stesse forme interattive dell’arte partecipata. Da una piovra-scivolo giapponese, passando per panchine messicane, murales e colori accesi, Superkilen tenta di proporre una narrazione della multiculturalità che faciliti l’inclusione sociale. 

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Piovra scivolo

Eventi come partecipazione 

Molto spesso, quando si parla di pubblico e co-creazione nell’arte partecipata, si fa riferimento alle persone. Tuttavia, gli agenti che partecipano ai processi creativi possono essere anche elementi naturali, come animali e piante. Come reagireste se, ad esempio, veniste invitati ad una Open Air Gentle Disco, dove ballando su strati di micelio lo si compatta, contribuendo a creare una torre per i piccioni? Reagire con stupore e sorpresa a tale invito sarebbe sicuramente una reazione comune.

L’istituto di ricerca Mediamatic, situato ad Amsterdam, porta infatti avanti progetti di ricerca su biomateriali e sostenibilità. Uno di questi riguarda la visionaria creazione di una torre in micelio come abitazione per piccioni della città. Il micelio, ovvero la parte vegetativa del fungo, si sta rivelando in ambito architettonico un materiale eccezionale per le sue qualità sostenibili, resistenti e ignifughe. I ricercatori di Mediamatic, costruendo questa struttura, invitano quindi le persone a prendere parte al processo. Gli spettatori ballano sui mattoni più recenti, così che si uniscano ai sottostanti e la struttura continui a crescere. 

Il caso Fundred: arte e giustizia sociale 

Il progetto Fundred Dollar Bill Project, creato dall’artista statunitense Mel Chin, è un interessante caso di approccio DIY (Do-It-Yourself), e pone come target i bambini e analizza cause sociali e ambientali decisamente significative.

Dal sito web fundred.com è infatti possibile scaricare un template del dollaro americano, colorarlo, firmarlo a piacimento e rispedirlo all’associazione. Idealmente, questi dollari simboleggiano la volontà dei bambini di vivere in un mondo libero dall’intossicazione da piombo. È infatti questa la causa sociale e ambientale dietro il progetto: l’intossicazione da piombo colpisce moltissimi bambini, i quali pagano sulla loro pelle le conseguenze della contaminazione dei metalli pesanti.

Attraverso fundraising, campagne di sensibilizzazione nelle scuole e numerose altre iniziative per porre in luce il problema, Fundred ha come primo obiettivo liberare tutte le aree densamente popolate dal piombo nel suolo e nelle acque. Chin ha iniziato con New Orleans, raccogliendo oltre 300 milioni di “falsi” dollari e sperando di convertirli in dollari veri per risanare il suolo contaminato della città. 

Il progetto Fundred viene ambiguamente assimilato all’arte partecipata. Tuttavia, secondo alcuni non dovrebbe essere etichettato come tale, poiché il pubblico non è totalmente libero nella creazione. Indubbiamente però si tratta di un progetto di ampia portata sociale, che evidenzia un problema non abbastanza noto e pagato, ingiustamente, dalle prossime generazioni. 

Cosa non è “arte partecipata”? 

L’arte partecipata è una corrente che stimola riflessioni e mette in dubbio molte verità indissolubili dell’arte, prima fra tutte lo status dell’artista come unico creatore di un’opera. Tuttavia è importante distinguere ciò che è arte partecipata e ciò che invece si può definire arte inclusiva o interattiva, così da non utilizzare il termine a sproposito.

Il progetto architettonico Superkilen, descritto in precedenza, non è certamente assimilabile ad arte partecipata, poiché i cittadini non hanno costruito personalmente il parco. Tuttavia hanno portato la loro identità culturale e i propri simboli. L’opera di Giustino Caposciutti si può al contrario definire arte partecipata a tutto tondo, poiché l’artista non conosce il risultato finale dell’opera, dato che questa è in continuo divenire. La definizione dipende quindi da molti fattori, dal grado di coinvolgimento delle persone, dalla capacità dell’artista di guidarle, dal tipo di impegno richiesto, e molto altro.

È perciò possibile concludere con la domanda seguente, ispirata alla domanda iniziale di Pistoletto: nell’arte partecipata, è l’opera il risultato finale oppure il processo e le interazioni che portano a quel risultato?


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