Il corpo del reato: da Visconti al Pasolini di Pedriali

La morte di Dino Pedriali, scomparso a Roma l’11 novembre scorso all’età di 71 anni, ha riportato l’attenzione su quelle istantanee scattate nel 1975 dal fotografo romano, aventi per soggetto il corpo nudo di Pier Paolo Pasolini. Pedriali, morto in solitudine e in rovina economica, era stato definito da Peter Weiermair “il Caravaggio della fotografia”; davanti alla sua macchina passarono personaggi del calibro di Moravia, Fellini, Nureev, Warhol (di cui lo stesso Pedriali fu assistente per un periodo). Le sue fotografie più celebri sono però proprio quelle che ritraggono il poeta, regista e intellettuale bolognese nella sua casa di Chia, sud della Sardegna, qualche mese prima del suo assassinio.

Il corpo come “scrigno significante”

La specialità di Pedriali era per l’appunto il nudo, il nudo artistico. Le foto di Pasolini sono scattate per dare l’impressione di essere rubate: sono insomma l’ipostatizzazione del voyeurismo su cui si fondano l’essenza della fotografia stessa e soprattutto del cinema, arte nella quale Pasolini trovò la chiave per esprimere più distesamente il suo estro. Sarebbero dovute entrare a far parte di Petrolio, romanzo fototestuale rimasto incompiuto e inedito (almeno fino agli anni Novanta) per via della prematura scomparsa di Pasolini. Non sappiamo quale fosse il progetto dietro al romanzo: le ipotesi in proposito si sprecano, e non mancano nemmeno quelle più impressionistico-sensazionaliste. Come quella di Carla Benedetti, che ritiene che Pasolini avesse intenzione di inserire in Petrolio una sua “versione” della morte del presidente dell’ENI Enrico Mattei, e che dietro al suo omicidio si celerebbe un complotto ordito per evitare che tali scottanti rivelazioni venissero alla luce.

Una foto di Dino Pedriali che ritrae Pasolini di profilo con indosso occhiali da sole e nella mano destra una cinepresaL’autore, il suo corpo

Resta il fatto che Pasolini conferma, con le foto di Pedriali, di voler concentrare la propria attenzione di autore (cinematografico, letterario) sul ruolo del corpo in quanto presenza, oggetto “significante”. Nel 1975, ne La divina Mimesis, Pasolini aveva inserito foto che lo ritraevano in compagnia di altri intellettuali e di politici. In un clima, quello della letteratura italiana di metà anni Settanta, in cui la centralità dell’autore come corpo emergeva anche in opere come La bottega dei mimi di un altro sperimentatore incallito, Gianni Celati.

Inoltre, per Pasolini il corpo era in grado di estrinsecare se stesso anche e soprattutto attraverso la sessualità, una sessualità dall’alto contenuto politico ideologico, almeno in potenza. Lo esplicitò in maniera aggressiva e sgraziata in un convegno che si tenne a Bologna nel 1972 , nel quale se la prese con chi, giudicando il suo ultimo lavoro, quello che aveva aperto la Trilogia della vita, ovverosia il Decameron, lo aveva accusato di avere fatto un film leggero e a-politico, fuggendo nel Medioevo, e soprattutto in un Medioevo molto erotico e pecoreccio, greve. Disse: “Non si sono accorti che la politica nel mio film c’era, ed era nel cazzo enorme sullo schermo”, riferendosi ai molti dettagli di genitali maschili e femminili.

Visconti fra Ossessione e Rocco e i suoi fratelli

La convinzione di Pasolini, quella di un corpo-scrigno di significati politico-ideologici, era stata messa in pratica, decenni prima, da un altro maestro della regia, Luchino Visconti. Con Rocco e i suoi fratelli (1960), Visconti va incontro alla morsa della censura, in un caso che farà giurisprudenza. Il magistrato Carmelo Spagnuolo giudicava “scabrose” alcune scene del film, e la critica di destra si scagliava soprattutto contro il personaggio del manager Morini e le sue avances nei confronti di uno dei fratelli Parondi, Simone. Il tutto terminerà con un processo, in cui il film verrà assolto. Eppure Visconti “ci sguazzava”, nella scabrosità, già dal 1943, anno di uscita di Ossessione. Il film presenta la vicenda di Giovanna (Clara Calamai) e Gino (Massimo Girotti), impegnati in una relazione adulterina (lei è sposata con “il Bragana”) che terminerà tragicamente. Lo scandalo di Ossessione sta però in un altro personaggio, solo apparentemente marginale, quello dello “Spagnolo” (Elio Marcuzzo).

Gino lo incontra per la prima volta su un treno, dove lo vediamo spuntare da un giornale aperto, e dove “copre” il compagno di scomparto all’arrivo del controllore, pagandogli il biglietto. Gino e lo Spagnolo affitteranno una camera d’albergo, dove sostare per una notte, ed è qui che si consuma la scena “incriminata”. Non appena Gino si addormenta, vediamo lo Spagnolo con un accendino in mano, intento a fare luce per osservargli la schiena nuda. Nella sceneggiatura viene indicato che l’obiettivo dello Spagnolo è “verificare se Gino dorma”: un goffo e quindi inutile tentativo di mascheramento delle vere ragioni alla base di un tale comportamento.

Il personaggio dello Spagnolo in Ossessione di Luchino Visconti

Antifascista e omosessuale

Ancora nel 2006, Pietro Ingrao, membro storico del PCI, legato a Visconti da legami di amicizia e partecipe, insieme ad altri futuri dirigenti del partito, del progetto del film, dichiarava: “Non si capiva se lo Spagnolo fosse un personaggio di antifascista o quello di un omosessuale”.

Il riferimento è al nome, “Lo Spagnolo”, evidente ammiccamento alla resistenza anti-franquista, e al ruolo da “personaggio positivo” che il gruppo aveva ritagliato (o pensato di ritagliare) su di lui. Ma non avevano fatto i conti con Luchino, secondo il quale le due categorie, “antifascista” e “omosessuale”, non solo non erano da considerarsi mutualmente esclusive, ma anzi, potevano rafforzarsi vicendevolmente.

Quanto più eversivo sarebbe stato il personaggio di un antifascista, se fosse stato anche omosessuale, rifuggendo cioè anche sul piano della sessualità al prototipo dell’homo mussolinianus? Quanto più dirompente può essere il messaggio che unisce alla limpidezza delle idee la concretezza materiale della corporeità?

Dallo “Spagnolo” a Instagram: il corpo esibito, il corpo esibisce

Visconti aveva come modelli un drammaturgo, Tennessee Williams, e uno scrittore di racconti, Giovanni Testori. Per entrambi il corpo rappresentava il veicolo privilegiato per esprimere contenuti psicologici vari, e soprattutto pulsioni e nevrosi freudiane. Come scrive Marco Belpoliti, “Pasolini è il suo corpo”, quello “che espone al mondo, che mostra, cui continuamente rinvia”. E poi: “Il corpo in PPP era sempre una mescolanza di opposti: sublime e volgare”. Non è un caso che “una delle frasi più citate di Pasolini sia “gettare il corpo nella lotta”. Il destino ha poi voluto che il corpo di Pasolini fosse nuovamente immortalato, in quello stesso 1975, sulla spiaggia di Ostia, dove, per dirla con Belpoliti “il corpo di carne si è impastato di polvere: una maschera irriconoscibile”.

Pasolini, Pedriali e Visconti avevano capito qualcosa che oggi, ai tempi di Instagram, è un sapere “chiaro e confuso”, per usare le categorie di Baumgarten: non c’è nulla di più immediato del nostro corpo per comunicare sé stessi e il mondo. E così i social network diventano luogo privilegiato per l’autoriflessione sulla corporeità. In questo senso è indicativo lo studio condotto in collaborazione dall’Università di Padova e dalla University of Surrey, che rivela come gli individui (soprattutto donne) che fanno un uso definito “problematico”  – ai limiti della dipendenza o decisamente all’interno del suo perimetro – di Instagram siano più propensi a prendere in considerazione trattamenti di chirurgia estetica. Il recente episodio della pubblicazione, da parte dell’influencer Jayne Rivera, di otto fotografie che la ritraggono in pose ammiccanti davanti alla bara del padre, è la conferma della caduta di tabù rappresentativi legati al corpo (morto, come in questo caso, o nudo) in larga parte agevolata dalla proliferazione di immagini che lo ritraggono. Anche in questo, suo malgrado, il caso di Pasolini ha fatto scuola.

FONTI

www.repubblica.it

www.unipd.it

Mauro Giori, “Omosessualità e cinema italiano”, UTET Università, 2019.

Giuseppe Carrara, “Storie a vista”, Mimesis, 2020.

Carla Benedetti, Giovanni Giovannetti, “Frocio e basta: l’omosessualità, la morte e le molte verità occultate”, Prospero Editore, 2015.

Loredana Bartolini, Wlodek Goldkorn (a cura di), “Pier Paolo Pasolini, l’uomo, l’artista, l’intellettuale”, 2021.

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