Primo Levi e le poesie d’amore

Chi è Primo Levi?

Scrittore, partigiano, chimico: Primo Levi è stato sicuramente un uomo poliedrico. Le sue opere più conosciute sono, indubbiamente, quelle riguardanti la terribile esperienza di deportazione nel campo di concentramento di Auschwitz in quanto ebreo, durante la seconda guerra mondiale. Ma legare lo scrittore solo ad Auschwitz è un grosso errore: la sua profondissima anima e la sua eredità letteraria vanno ben oltre il lager. Levi racchiude in sé un’infinità di aspetti che non sono semplici da analizzare e tenere insieme: oltre a testimone e scrittore memorialistico, è stato anche antropologo, linguista, filosofo, storico e perfino poeta. Inoltre, è il primo caso di autore italiano del Novecento tradotto integralmente in inglese.

La vita

Primo Levi nasce a Torino nel 1919 da una famiglia benestante di origini ebraiche. Suo padre Cesare, ingegnere elettronico e dipendente della società Ganz, influenzerà profondamente il giovane Primo Levi, trasmettendogli la passione sia per la scienza che per la letteratura, comprandogli un microscopio e regalandogli nel corso dell’infanzia moltissimi libri. Nel 1937 prende la maturità classica al noto Liceo Massimo d’Azeglio; si iscrive poi al corso di laurea in chimica presso l’Università di Torino. Le leggi razziali, entrate in vigore in Italia nel novembre del 1938, vietano lo studio universitario agli ebrei, lasciando però terminare il percorso di studi a coloro che lo avessero iniziato nel periodo precedente alle leggi. Così, Levi, nonostante le difficoltà nel trovare un relatore e nel non poter fare ricerca in laboratorio in quanto precluso agli ebrei, riesce a laurearsi nel 1941 con lode in chimica.

Cresce al contempo nello scrittore l’impegno antifascista. Nel 1942, trasferitosi per lavoro a Milano, entra nel Partito d’Azione clandestino. L’anno dopo, successivamente all’Armistizio dell’8 settembre 1943, si unisce a un gruppo partigiano in Valle d’Aosta. Qui, il 13 dicembre 1943, viene arrestato insieme ad alcuni compagni partigiani da gendarmi fascisti. A febbraio del 1944 Primo Levi viene così deportato dall’Italia al campo di concentramento Buna-Monowitz, allora conosciuto come Auschwitz III, in Polonia, a bordo di un treno merci insieme ad altri 650 donne e uomini ebrei. Qui rimarrà fino alla liberazione da parte dell’Armata Rossa nel gennaio del 1945. L’esperienza disumana del lager lo sconvolge in modo profondo: tornato in Italia ne scrive la testimonianza, intitolata Se questo è un uomo e destinata a diventare una delle più celebri memorie di deportati ebrei nei campi di sterminio nazisti.

Lo scrittore, oltre il lager

Ma dietro alla terribile realtà del lager, superata la crudeltà nazista, sotto tutte le sofferenze sopportate si nasconde molto di più. La scrittura di Primo Levi è, in realtà, molto più ampia e non solo memorialistica: Levi ha scritto saggi, racconti di fantascienza, poesie.

Perfino poesie d’amore. Uno scrittore che si è trovato, da un momento all’altro e senza neppure una ragione sensata, faccia a faccia con la morte. Eppure, nonostante questo, nonostante il dolore e le torture subite, lo scrittore è riuscito ad amare ancora e a vivere. A non provare odio. Non ha perdonato i suoi torturatori ed è lui stesso a dircelo in varie interviste e testimonianze:

Non vorrei tuttavia che questo mio astenermi dal giudizio esplicito fosse confuso con un perdono indiscriminato. No non ho perdonato nessuno dei colpevoli, né sono disposto ora o in avvenire a perdonarne alcuno, a meno che non abbia dimostrato (coi fatti: non con le parole, e non troppo tardi) di essere diventato consapevole delle colpe e degli errori del fascismo nostrano e straniero, e deciso a condannarli, a sradicarli dalla sua coscienza e da quella degli altri.

Però, non vi è odio e non vi è violenza, perché come lui stesso ha ribadito più volte:

Come mia indole personale, non sono facile all’odio. Lo ritengo un sentimento animalesco e rozzo, e preferisco che invece le mie azioni e i miei pensieri, nel limite del possibile, nascano dalla ragione; per questo motivo, non ho mai coltivato entro me stesso l’odio come desiderio primitivo di rivalsa, di sofferenza inflitta al mio nemico vero o presunto, di vendetta privata. Devo aggiungere che, a quanto mi pare di vedere, l’odio è personale, è rivolto contro una persona, un nome, un viso: ora, i nostri persecutori di allora non avevano viso né nome, lo si ricava da queste stesse pagine: erano lontani, invisibili, inaccessibili.

L’amore: la poesia 12 luglio 1980

Abbi pazienza, mia donna affaticata,
Abbi pazienza per le cose del mondo,
Per i tuoi compagni di viaggio, me compreso,
Dal momento che ti sono toccato in sorte.
Accetta, dopo tanti anni, pochi versi scorbutici
Per questo tuo compleanno rotondo.
Abbi pazienza, mia donna impaziente,
Tu macinata, macerata, scorticata,
Che tu stessa ti scortichi un poco ogni giorno
Perché la carne nuda ti faccia più male.
Non è più tempo di vivere soli.
Accetta, per favore, questi 14 versi,
Sono il mio modo ispido di dirti cara,
E che non starei al mondo senza te.

Questa poesia, intitolata 12 luglio 1980 si compone di 14 versi liberi, con cui Primo Levi celebra il compleanno della moglie: Lucia Morpurgo. Ecco spiegato il titolo: una data che, per l’autore, è una ricorrenza intima ed assolutamente personale.

Siamo davanti a una poesia molto lontana dall’intellettualismo ermetico dei suoi contemporanei; nonostante l’evidente dichiarazione d’amore, lo stile è quasi brusco, privo di sentimentalismi. Levi stesso parla più volte della sua poesia definendola “un vezzo”. A riprova di ciò sono pochissime le poesie lasciateci in eredità dallo scrittore.

L’importanza dell’espressione

Quando, nel 1947, viene pubblicato Se questo è un uomo, Levi spiega immediatamente il suo punto di vista: in lui è forte, fortissimo, il bisogno di scrivere, nonostante ricordare gli provochi molto dolore. Si esprime così nella prefazione del libro stesso:

Il bisogno di raccontare agli “altri”, di fare gli “altri” partecipi, aveva assunto fra noi, prima della liberazione e dopo, il carattere di un impulso immediato e violento, tanto da rivaleggiare con gli altri bisogni elementari: il libro è stato scritto per soddisfare a questo bisogno: in primo luogo quindi a scopo di liberazione interiore. Di qui il suo carattere frammentario: i capitoli sono stati scritti non in successione logica, ma per ordine di urgenza.

Questa concezione di scrittura è applicabile anche alla sua poesia. Primo Levi è uno scrittore che è stato in grado di tenere in vita, nonostante tutto, la capacità di emozionarsi e di emozionarci; riuscendo a non venir risucchiato dall’orribile meccanismo che teneva in funzione il lager (che, in varie occasioni, Levi paragona, non a caso, ad un vero e proprio buco nero); tornando a casa e ricominciando a vivere, ribellandosi al silenzio. Mettendo su carta tutte le emozioni, compreso l’amore contenuto nelle sue poesie. Perché, come espresso perfettamente dalle parole di un altro grandissimo scrittore e poeta, Giuseppe Ungaretti:

Il vero amore è come una finestra illuminata in una notte buia.


 

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