Il dramma taciuto della violenza economica sulle donne

Oltre 100 le vittime di femminicidio solo nel 2021. Un numero tristemente in crescita, e per contrastare il quale non basta una giornata, né una condivisione di circostanza sui propri social, né tanto meno l’orgoglio degli uomini che guardando a se stessi pensano not all men, non sono tutti così. Per combattere la violenza di genere ci vuole educazione, formazione e informazione a 360 gradi. Non tutti conoscono, per esempio, una forma di violenza non meno grave di quella fisica, ma più sottile e subdola, e le cui conseguenze non sono meno drammatiche. Si tratta della violenza economica.

Matrimonio e patrimonio: un problema strutturale

Alle origini della violenza economica c’è un problema culturale di natura strutturale. Per comprenderne le radici più profonde occorre partire dalle definizioni. La prima è quella di matrimonio, che la Treccani definisce come

matrimònio s. m. [dal lat. matrimonium, der. di matertris «madre», sul modello di patrimonium]. – 1. a. Istituto giuridico (o, secondo la Chiesa cattolica, sacramento) mediante cui si dà forma legale (e rispettivam. carattere sacro) all’unione fisica e spirituale dell’uomo (marito) e della donna (moglie) che stabiliscono di vivere in comunità di vita al fine di fondare la famiglia.

La prima definizione di patrimonio è, per la Treccani:

patrimònio s. m. [dal lat. patrimonium, der. di patertris «padre»]. – 1. a. Il complesso dei beni, mobili o immobili, che una persona (fisica o giuridica) possiede.

Il suffisso che accomuna i due termini, –monium, è collegato al sostantivo munus “dovere, compito”. Etimologicamente il matrimonio, dunque, è dovere della madre. Il patrimonio, del padre. Da qui (e dalla cultura patriarcale) lo stereotipo che vede la donna come poco interessata, e dunque poco coinvolta, negli affari economici familiari, ma relegata al ruolo di angelo del focolare, incaricata di crescere i figli, lavare e cucinare, e, spesso, servire il marito. Marito che, invece, è incaricato di gestire i beni, il patrimonio. Uomo che è tenuto a ricoprire il ruolo di capofamiglia, a mantenere moglie e figli, ad amministrare le finanze.

Di cosa parliamo quando parliamo di violenza economica

Prendendo come punto di partenza stereotipi tanto radicati e dati per assodati nella nostra cultura, non si può non comprendere il rapporto di potere e di subordinazione che si genera all’interno del nucleo familiare, e che oggi come oggi riguarda non solo il ruolo del marito rispetto alla moglie, ma anche, per esempio, del fratello rispetto alle sorelle e del padre rispetto alle figlie.

La violenza economica è un abuso di potere non meno grave della violenza fisica o di quella psicologica (che ne è una delle conseguenze), ed è più diffusa di quanto si possa immaginare, presso ogni fascia socio-economica. Si manifesta sotto varie forme, e riguarda la limitazione (o la privazione) dell’indipendenza economica di uno o più componenti del nucleo familiare mediante dinamiche di controllo e monitoraggio. L’allontanamento della donna dall’ambiente lavorativo in modo che non abbia un reddito proprio, l’erogazione periodica di un budget dedicato alle spese familiari di cui è richiesta una precisa rendicontazione, l’obbligo di fare da prestanome o di firmare assegni vuoti non sono che alcune delle modalità con cui tale violenza si afferma in modo prepotente e massacrante nel contesto domestico. Di pari passo con questi scenari vanno, ovviamente, minacce, ricatti e violenza psicologica. La donna si ritrova in questo modo prigioniera di un ambiente da cui fatica a uscire, perché in quanto dipendente non ne possiede gli strumenti.

Qualche dato su un fenomeno poco discusso

L’associazione D.i.Re, Donne in Rete contro la violenza, nel suo report annuale relativo ai dati del 2020, riporta alcuni dati fondamentali per comprendere meglio il fenomeno della violenza economica. A subire una violenza economica è il 33,4% delle donne che si rivolgono ai centri antiviolenza, cioè almeno una donna su tre (almeno, proprio per il carattere subdolo di questo tipo di violenza). Non solo: il 32,9% delle donne in questione è a reddito zero, e meno del 40% può contare su un reddito sicuro.

Il più importante testo di lotta alla violenza sulle donne: la Convenzione di Istanbul

Di violenza sulle donne, purtroppo o per fortuna, si parla da anni. Purtroppo, perché nonostante tanto blablabla i dati restano allarmanti, e le percentuali di donne vittime di queste dinamiche altissime. Per fortuna, perché sarebbe gravissimo se, a fronte di questi numeri, si restasse in silenzio.

Tra i tentativi fatti negli ultimi anni per contrastare la violenza sulle donne bisogna citare la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, più nota come Convenzione di Istanbul, risalente al 2011. In Italia, il testo della Convenzione è stato approvato a giugno 2013, dopo l’approvazione unanime da parte della Camera e 274 sì (e un astenuto) in Senato.

Secondo l’analisi svolta da Amnesty a maggio di quest’anno, la Convenzione di Istanbul può salvare vite per svariati motivi: stabilendo gli standard minimi per i governi europei nella prevenzione, protezione e condanna della violenza sulle donne, si pone infatti come un ottimo punto di partenza nella gestione del problema. Inoltre, offre protezione a tutte le donne senza discriminazioni, è incentrata sulla rimozione degli stereotipi, è riconosciuta come strumento per i diritti umani senza avere punti controversi ed è un punto di riferimento per salvare vite di donne vittime di violenza.

Il punto fondamentale di questa Convenzione è, per quanto riguarda la violenza economica, l’articolo 3, che ai punti a) e b) specifica:

a) con l’espressione “violenza nei confronti delle donne” si intende designare una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata;

b) l’espressione “violenza domestica” designa tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima (…)

Si riconferma, dunque, come violenza economica sia una vera e propria violazione dei diritti umani, ed è equiparabile a tutte le altre forme di violenza.

La violenza economica nella legislazione italiana

Nella legislazione italiana, gli articoli più importanti a cui fare riferimento in caso di violenza economica sono il 342 bis e 342 ter c.c., introdotti dalla legge n.154 del 2001. Questi stabiliscono le misure cautelari civili tipiche adottate dal giudice, su istanza della vittima, con decreto motivato anche senza il verificarsi di un illecito penale e che hanno la finalità di contrastare la prosecuzione di condotte violente all’interno della famiglia tramite l’allontanamento del soggetto abusante dalla casa familiare.

Il presupposto oggettivo, perché vengano applicati gli ordini di protezione, è una condotta che generi “grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro convivente“.

Nell’art. 5 della L. 154/2001, inoltre, si trova un’estensione degli ordini di protezione non solo a favore del coniuge ma di “ogni altro componente del nucleo familiare. Con l’ordine di protezione il giudice può adottare a carico del soggetto violento l’obbligo del pagamento con periodicità di una somma di denaro a favore delle persone conviventi se a causa dell’allontanamento risultino prive di mezzi di sussistenza, l’intervento dei servizi sociali o di associazioni di sostegno alle vittime di dinamiche familiari violente. Questi provvedimenti hanno durata massima di un anno, ma possono essere prorogati o sostituiti da nuovi provvedimenti su affidamento e mantenimento.

Nonostante queste norme possano contribuire al contrasto della violenza economica, resta un vuoto legislativo riguardante la violenza economica, che ad oggi non è cristallizzata in nessuna norma incriminatrice.

Prevenire la violenza economica

Come per le altre forme di violenza, esistono delle modalità di prevenzione, ancora non di uso comune nella nostra cultura ma che si spera prendano piede. Una di queste è l’educazione finanziaria: grazie a una financial literacy anche le donne avrebbero gli strumenti per gestire il patrimonio e rompere lo stereotipo che le vede come incapaci di amministrare le finanze. Questo tipo di educazione innescherebbe anche nelle donne, tra l’altro, una mentalità imprenditoriale che le aiuterebbe a fondare la propria attività senza necessariamente la supervisione di un uomo.

C’è poi la possibilità che, anche con il matrimonio, nessuno dei coniugi metta in comune la totalità del suo reddito, in modo da prevenire una situazione di completa dipendenza.

Contrastare la violenza economica: la denuncia e il reddito di libertà

Nei casi in cui la violenza economica sia già stata messa in atto e sia necessario ricorrere a misure di contrasto, esistono strumenti come gli sportelli antiviolenza dedicati proprio alla violenza economica, che possono affiancare la donna nel processo di denuncia e allontanamento da una situazione simile. Un esempio è lo sportello antiviolenza organizzato da REAMA, la Rete per l’Empowerment e l’Auto Mutuo Aiuto creata da Pangea Onlus.

Un altro esempio di contrasto in caso di violenza economica è il reddito di libertà. Si tratta di un contributo di 400 euro al mese destinato alle donne vittime di violenza per aiutarle a uscire dalla situazione di subordinazione rispetto a un uomo, ed è compatibile con altri contributi, come ad esempio il reddito di cittadinanza. Sebbene si possa ancora fare di meglio, il reddito di libertà, introdotto nel 2020, è un segnale di cambiamento, che perlomeno riconosce e si impegna a ridurre il rapporto di potere presente all’interno del nucleo familiare.

violenza economica

La violenza economica implica l’impossibilità per le donne di autodeterminarsi, e le pone in una posizione di immobilità e paralisi, privandole della loro libertà e impedendo loro di prendere in mano la propria vita. Se conoscere il fenomeno è un primo passo, l’obiettivo deve essere quello di addentrarsi nei suoi meandri per decostruirlo pezzo per pezzo, fino alla sua eliminazione. Solo quando nessun uomo metterà più in atto alcuna forma di violenza, da quella fisica a quella economica e quella psicologica non avremo più bisogno di un 25 novembre a ricordarci quanta strada, ancora, dobbiamo percorrere.

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