Dei delitti e delle pene

Dei delitti, delle pene e dell’umano

Parmi un assurdo che le leggi che sono l’espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l’omicidio, ne commettano uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall’assassinio, ordinino un pubblico assassinio.

– Dei delitti e delle pene 

È il 1764 ed è con queste parole che Cesare Beccaria alza lo sguardo, guarda fisso negli occhi il lettore attento e abbassa la pena di morte: ne commenta l’assurdità. Se il suo capolavoro Dei delitti e delle pene fosse stato pubblicato ai giorni nostri, si sarebbe potuto intitolare Il paradosso della pena nel 1700. Invece, con grande maestria e un occhio critico e avanguardista il nostro espone le sue perplessità in quello che è un saggio manoscritto. Lo scopo? Far aprire gli occhi su una dura realtà ai propri contemporanei.

Chi?

Cesare Beccaria fu una figura di spicco dell’illuminismo italiano. Laureato in giurisprudenza, non si limitò alle attività da giurista: fu anche filosofo, economista e letterato. È universalmente conosciuto per il suo saggio Dei delitti e delle pene, pubblicato a soli ventisei anni, una vera pietra miliare di un’importanza epocale per la storia dell’umanità. Beccaria fu, infatti, il primo a scagliarsi contro la tortura e la pena di morte. Elogiato da moltissimi suoi contemporanei, il filosofo fu ammirato anche da esponenti dell’illuminismo francese, come Voltaire, e grandi statisti, tra i quali Thomas Jefferson, Benjamin Franklin, John Adams. Peculiare è il caso di Pietro Leopoldo d’Asburgo che, dopo aver letto il trattato di Beccaria, emana il Codice leopoldino in Toscana, diventando il primo sovrano in Europa a eliminare integralmente la pena di morte e la tortura dal proprio sistema penale.

Che cosa?

L’analisi svolta dallo stesso è un’analisi politica e giuridica del sistema penale e, nello specifico, della pena di morte e della tortura. Nel suo illuminato testo emergeva la sconcertante fiducia nella capacità della ragione di illuminare il campo dell’azione penale. La consapevolezza delle difficoltà insite nel contrasto di idee e consuetudini millenarie, è un altro elemento fondamentale. L’orgoglio, l’onore di poter combattere per «la causa dell’umanità» è alla base del saggio. Il teorema che viene elaborato dallo stesso riguarda l’utilità della pena ed è il seguente:

perché ogni pena non sia una violenza di uno o di molti contro un privato cittadino, dev’essere essenzialmente pubblica, pronta, necessaria, la minima delle possibili nelle date circostanze, proporzionata a’ delitti, dettata dalle leggi.

Come?

L’opera incontrò un notevole successo ed ebbe vasta popolarità in tutta Europa. Apprezzata nella Milano illuminista, fu vista come il prodotto dell’attività innovatrice in Francia. Fu scritta in italiano e pubblicata anonima nel 1764.

Egli sosteneva che vi fosse un rapporto tra la qualità della vita, la giustizia sociale e i delitti. A ogni argomento trattato Beccaria ha introdotto una serie di ipotesi, verificate poi mediante considerazioni scientifiche: utilizzava moltissimo l’analisi scientifica, seppur applicata agli ambiti più disparati, come la politica e la filosofia.

Perché?

Profetico e rivoluzionario per i suoi tempi: così lo possiamo definire. Secondo l’ideologia del nostro giurista, infatti, la pena di morte doveva essere considerata più come una guerra dello Stato contro il singolo individuo, che come un rimedio alla criminalità. Accettare la pena capitale andava contro i diritti fondamentali della vita stessa, i diritti umani. Per capire veramente il significato di questa massima occorre mettere sul piatto di una bilancia il bene dell’esistenza dell’individuo e, non difficilmente, ci si renderà conto che niente può equipararne il peso. Il bene vita non può essere messo a disposizione della volontà dello Stato. Beccaria dirà all’interno del testo: “Se dimostrerò non essere la pena di morte né utile, né necessaria, avrò vinto la causa dell’umanità”.

Dei delitti e delle pene oggi

Sono passati più di due secoli e mezzo dalla stesura e pubblicazione di queste idee grandiose. Pochi, forse nessuno, dei testi pubblicati successivamente e di tale brevità possono vantare un’influenza così profonda e duratura sul diritto penale. È pur sempre vero che la pena capitale non è ancora stata completamente abolita: moltissimi Paesi nel mondo continuano ad applicarla, nonostante tutti i movimenti contrari e le spinte dell’opinione pubblica.

A oggi il sistema penale italiano, ma non solo, è improntato senza alcun dubbio a criteri di ragione e di umanità, nel quale la libertà individuale può essere limitata, solo quando sia strettamente necessario per la pacifica convivenza. Il reato non può essere altro che la lesione di un interesse che la società ha l’obbligo di difendere. Perché? Per la propria conservazione e per assicurare l’esercizio dei diritti individuali. Si tratta di un continuo bilanciamento di interessi contrapposti, tra i quali è possibile individuare, non senza difficoltà, quale bene è destinato a prevalere. Giorgio Marinucci, noto penalista, fu grande sostenitore di questo principio, tanto da affermare che quest’ultimo “era in grado di porre le fondamenta di un modello penale liberale, tagliando “con un colpo netto il nodo che da millenni aveva unito con mille fili peccato e delitto“.


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