Vivere a scuola e sul lavoro con DSA in un mondo per persone neurotipiche

Negli ultimi anni si sente parlare sempre più spesso di DSA, disturbi del neurosviluppo riguardanti la capacità di leggere, scrivere e fare calcoli. Nello specifico, i DSA sono: la dislessia, la disortografia, la disgrafia e la discalculiaA causa della scarsa conoscenza che se ne ha, ancora oggi, sono spesso connessi a pregiudizi, stigma e luoghi comuni non sempre edificanti.

Per parlarne e comprendere al meglio come viva questa realtà una persona con DSA, abbiamo intervistato Eleonora Del Grosso, una (ex) studentessa con DSA. Lo scopo della seguente intervista è quello di parlare di temi ancora poco discussi ma si riferisce nello specifico all’esperienza personale dell’intervistata.

Ciao, innanzitutto grazie per aver ci concesso questa intervista. Prima di iniziare dicci qualcosa di te.

Mi chiamo Eleonora, ho ventisei anni e ho scoperto di essere dislessica a ventiquattro anni, quindi a fine della mia triennale, all’inizio della mia magistrale. In lingue.

La scoperta è stata casuale? E soprattutto, come l’hai vissuta? Ti ha cambiato in positivo l’esperienza, in negativo, o non è cambiato nulla?

In realtà io so della mia dislessia – presunta – da quando ero piccola, perché mia nonna si accorse che avevo dei tratti da dislessica perché anche lei li aveva. A lei fu diagnosticata da una maestra delle elementari che aveva insegnato anche in America, e lì forse erano un po’ più avanti. Notò in mia nonna alcuni tratti e disse alla mia bisnonna “non si preoccupi, con un po’ di esercizio andrà tutto a posto”, nell’ingenuità del tempo.

Quindi in realtà mia nonna, da dislessica, andò avanti così e si laureò in lettere antiche, che per un dislessico sono un incubo. Grazie a questa cosa che aveva vissuto riscontrò in me dei tratti, ma come le disse la sua maestra, disse a mia madre “non ti preoccupare, le faccio fare un po’ di esercizi, tipo leggere ad alta voce, ripetere le cose”. Tra parentesi: sbagliatissimo da fare con un dislessico. Sono andata così avanti con gli studi, finché all’università, studiando lingue, con l’inglese, benché io lo studiassi da una vita, avevo problemi con gli esami scritti. Al terzo anno, a volte, facevo degli errori e la mia insegnante d’inglese mi disse “perché fai degli errori da prima elementare?”. Tipo: scordarmi la e finale della parola “where”.

E io dissi In realtà non lo so. C’era questa cosa di dislessia, me ne parlavano quando ero piccola. E inoltre mi avevano detto che si sarebbe potuta curare”. Questo termine “curare” è sbagliato, sappiatelo.

E lei mi disse Non è una malattia la dislessia, non si cura. Al massimo si gestisce, perché è proprio il tuo cervello che è strutturato in una maniera diversa. Non è né giusto né sbagliato, è semplicemente diverso, quindi avresti diritto a un sacco di cose”. Mi si aprì un mondo perché io non avevo idea di niente proprio.

Un errore che spesso si fa è pensare che le persone con determinate caratteristiche, o anche delle malattie a volte, sappiano tutto di quella cosa. Ed invece non è così. Io non sapevo niente della dislessia. Io appartenevo a quella categoria di persone che effettivamente si era sempre chiesta, “chissà i dislessici come vedono…è vero che gli si cominciano a girare le lettere mentre leggono?”

All’ultimo esame mi disse Non avendo certificati non posso fare niente, però posso metterla lontano dal gruppo, in modo che se ha bisogno di scandire alcune parole può farlo” e miracolosamente passai l’esame. Iniziai poi la magistrale e andava tutto troppo veloce.

Ripresi quella pulce che avevo nell’orecchio, riuscii a contattare uno psicologo, feci tutti gli esami da fare e scoprii che non solo ero dislessica, ero anche discalculica e disgrafica. In realtà per me è stata una fortuna. Mai stata più felice in vita mia di sapere che ero dislessica perché finalmente tutto aveva un senso nella mia testa. Tutte le mie caratteristiche, i miei comportamenti, avevano un senso. So di molte persone che la vivono molto, molto male a livello scolastico. Io non lo so perché l’ho vissuta ingenuamente da neurotipica.

E soprattutto puoi iniziare a capire come funziona la tua testa. Cosa funziona in te e soprattutto capisci che non sei tu che sei sbagliato ma è come ti viene insegnato qualcosa che è sbagliato, perché non te lo insegnano nella maniera giusta per te. E soprattutto cominci a non colpevolizzarti più di un sacco di cose che non riesci a fare.

È molto interessante quanto hai detto perché c’è il senso di colpa, ci sono anche gli stereotipi. Alle volte i docenti stessi non sono preparati e non comprendono cosa implichi avere un o una studente / studentessa con DSA.

Sì, noi neurodiversi, nello specifico persone con DSA, viviamo in una condizione tale che o becchiamo docenti ignoranti che credono che tu sia fondamentalmente un cretino e che non puoi fare niente nella vita, oppure quelli che pensano che tu sia un genio. E in quanto genio è impossibile che tu non riesca a fare quello che loro ti chiedono di fare.

Se pensano che tu sia un cretino, non ti danno possibilità. Dicono “che te li do a fare gli strumenti di aiuto, se tanto non ce la fai?”. Se pensano che tu sia un genio ti dicono “a che ti servono gli strumenti compensativi o dispensativi? Tanto sei un genio e stai solo barando”.

Sempre basandoci sulla tua esperienza personale e sulle tue conoscenze personali, quali sono alcuni accorgimenti che si potrebbero prendere per aiutare una persona con DSA? Per affrontare una discalculia, cosa si può fare ? Dare una calcolatrice, delle tabelle… C’è dell’altro? Per una disgrafia?

Allora, in teoria si deve andare da uno specialista, ad esempio uno psicologo. A seconda della diagnosi, quindi dopo una serie di esami, vedono quali difficoltà hai e che grado di difficoltà hai, ad esempio io sono dislessica e discalculica grave mentre sono disgrafica lieve.

Sulla base della diagnosi ti possono essere disposti da parte dello specialista strumenti compensativi o misure dispensative. Per esempio, a livello di strumenti compensativi, più tempo per gli esami. Più tempo anche per le risposte orali, alle interrogazioni. Non aspettarsi una risposta immediata ma aspettare che l’alunno con DSA elabori. Anche mappe concettuali, schemi, uso della calcolatrice o tabelle numeriche nel caso dei discalculici.

Per le misure dispensative, ad esempio, far evitare di leggere ad alta voce una persona dislessica. Evitare di ricordare nomi, date o cose a memoria, come ad esempio far mettere in ordine cronologico sulla linea del tempo determinati eventi a livello di storia. Per esempio i nomi o le date a memoria io non li ricordavo. Poi dipende sempre da persona a persona.

E questa cosa, di base, te la dicono gli psicologi. In teoria fino alle superiori tu hai diritto a un PDP, un Piano Didattico Personalizzato, a cui i docenti si devono attenere perché siamo tutelati dalla legge 170/2010. Il problema è che molti dicono che questa legge sia effettivamente una legge bianca, perché non sempre viene rispettata. O meglio, oggi sento che viene rispettata molto di più e se ne parla molto più tranquillamente. Prima non se ne parlava.

Anche dopo questa legge, quando è nata, non se ne parlava molto. Ma il problema più grave è che non c’è una vera formazione per i docenti. Si pensa sempre “ma quindi hai bisogno dell’insegnante di sostegno?”. No. Una persona con DSA non ha bisogno di insegnanti di sostegno, basta un insegnante che sia formato e che rispetti il PDP.

Per esempio, se io facessi materie scientifiche, a tutti gli esami potrei portarmi i formulari, avrei diritto a tabelle, calcolatrice. Non so se alcune volte anche al computer, per degli esami molto complessi. Penso ai matematici o fisici che devono fare studi di funzione complessi. E del tempo in più, sicuramente, perché noi anche con le calcolatrici ci mettiamo tempo, perché scambiamo magari i segni, potremmo sbagliare anche a digitarli.

Per una disgrafia, ma ancora di più per una disortografia, in cui benché si conoscano le regole grammaticali, quando poi vanno a scrivere, il cervello è come se non se le ricordasse e non riesce ad applicarle, si ha diritto a scrivere tutto quanto al computer, o anche dettarlo al computer. Io, ad esempio, avendo studiato lingue da dislessica e disgrafica, avrei potuto avere con me all’esame una persona che scrivesse al posto mio.

Nel caso della dislessia, dei libri con un formato particolare, con colori e dimensioni e spazi ideati proprio per eventuali lettori e lettrici dislessici e dislessiche?

Sì! Avere un’interlinea maggiore aiuta a non saltare le righe, quindi a leggere il testo correttamente. Quindi maggiore spaziatura, sia tra le parole che tra le righe.

Quindi uno dei punti principali è conoscere, sapere cosa siano i DSA, cosa significhino e poi fare dei piani personalizzati.

Sì, infatti ci sono tre macro-problemi sociali e legati all’istruzione che noi DSA affrontiamo. Il primo, a livello sociale, è che col fatto che a livello medico si parla di diagnosi, disturbodi disturbo in generale, perché DSA è disturbo dell’apprendimento – si pensa sempre a malattie o qualcosa di negativo.

In realtà, ovviamente, in termini medici stretti, il disturbo è tutto ciò che esula da quel che viene definito la norma. Non sono malattie, è una caratteristica neurologica. I nostri assoni sono disposti in maniera più distante rispetto alle persone neurotipiche, così come le persone autistiche hanno gli assoni più ravvicinati. Motivo per cui, di solito, gli autistici riescono a focalizzarsi meglio su un singolo elemento, mentre noi DSA sull’insieme, sul quadro generale. Già qua io mi sono sentita dire “ma, da chi l’hai preso?”… la dislessia è genetica di base, ma non è una malattia.

La seconda cosa è che, a livello di insegnamento, gli insegnanti credono che gli strumenti compensativi o dispensativi siano un aiuto in più rispetto agli altri studenti. È come dire a una persona miope che, siccome indossa gli occhiali per vederci meglio, vede meglio delle altre persone. A questo punto potresti anche prendere una persona miope, metterla in fondo alla classe, gli togli gli occhiali e dirgli “leggi la lavagna”, poi vediamo che cosa ne esce fuori. È la stessa cosa. Molti professori pensano sia un modo per barare, anche a livello universitario.

Pensiamo sempre alla scuola dell’obbligo, ma in realtà continuano a esserci difficoltà a livello universitario perché nemmeno i docenti universitari e il sistema università sono preparati, la maggioranza delle volte.

No. Ma c’è una cosa bellissima che ho riscontrato qui all’Università di Bologna ma in realtà non c’è solo a Bologna: alla triennale la mia insegnante di inglese mi disse “dovrebbe rivolgersi agli uffici DSA e disabilità. E anche qui, poi, i nomi non aiutano, perché uno pensa “quindi sei disabile?”. Non in senso medico, in senso sociale sì, perché mi crea parecchi problemi la società.

Però questi uffici ci sono, e funzionano anche bene! Ho trovato tutte persone preparate che ti ascoltano, ti capiscono, ti forniscono supporto. Il problema è poi che noi studenti, ogni volta e per ogni esame, dobbiamo contattare il docente, scrivere una mail in cui diciamo tutte le difficoltà che abbiamo e chiedere eventuali adattamenti.

L’ufficio dei DSA controlla effettivamente che il docente ti risponda in maniera adeguata e capisca le tue necessità. Il problema si presenta quando il docente ti dice di sì, ma poi all’esame ti segna tutti errori da dislessico e ti mette un voto più basso.

Bene, io ho dovuto fare – e non faccio neanche interpretariato come facoltà – una traduzione a vista dall’italiano allo spagnolo, di un testo medico. Ho fatto questo esame e poi un altro esame orale con un’altra professoressa che mi ha detto “tu essendo dislessica non hai dovuto fare la traduzione a vista, no?”. No, no, l’ho dovuta fare, perché comunque ci sono degli insegnanti che non capiscono.

Invece, pensando un po’ più in grande, nel quadro nazionale o internazionale, ci sono tutele, leggi, cosa si può fare? C’è qualcuno a cui rivolgersi?

A livello nazionale esiste, in Italia, l’AID, l’Associazione Italiana Dislessia, che è l’associazione no-profit che collabora con la Erickson Edizioni, che promuove e produce libri per persone con DSA e non solo, e tutela tutti gli studenti dalle elementari fino alle superiori, e attualmente si sta attivando anche per le università. Sta facendo in modo di fornire sostegno alle famiglie e ai ragazzi con DSA, perché in realtà tutti pensano che siano solo gli studenti con DSA ad avere dei diritti, in realtà ce l’hanno anche i genitori nella legge 170/2010. Ovvero: un genitore con un figlio DSA ha diritto a chiedere ore dal lavoro – retribuite – per accompagnare il figlio o la figlia dal logopedista ad esempio, o dallo psicologo per dei test.

A livello nazionale è complicato, perché ci sono regioni che accettano diagnosi sia pubbliche che private, altre le accettano solo pubbliche. Ad esempio la mia, che è l’Abruzzo, accetta diagnosi solo pubbliche. In Emilia Romagna so che le scuole accettano sia diagnosi pubbliche che private, però è molto disomogeneo a livello nazionale. Per esempio, si hanno regioni come la Calabria, dove le diagnosi di DSA sono lo 0,4%, una cosa piccolissima. Ovviamente non è che non ci siano dislessici in Calabria, solo che è un tema un po’ tabù e quindi non se ne parla.

L’AID ha sede a Bologna, tra l’altro, e in teoria tutela tutti i DSA d’Italia. Se quindi ci si deve rivolgere a qualcuno ci si può rivolgere all’inizio all’AID. In generale, se non ci si vuole rivolgere all’AID, basta trovare uno psicologo nella propria città specializzato in DSA, farsi fare dei test e, una volta fatta la diagnosi, è lo specialista che deve stilare i fogli con tutti gli accorgimenti e le richieste e questo va presentato a scuola e si chiede il PDP. Se invece si è studenti universitari, bisogna recarsi agli uffici DSA e disabilità della città in cui si studia e presentare la propria diagnosi.

A livello europeo, invece, c’è la European Dyslexia Association. C’è inoltre una giovane ambasciatrice europea, che si chiama Siena Castellon, che è neurodiversa: è dislessica, autistica, discalculica. È la prima che è riuscita a portare al Parlamento Europeo la tematica della neurodiversità. Qualcosa si sta muovendo, ma anche a livello europeo c’è una grande confusione, perché ovviamente ci sono magari persone nel Regno Unito – che essendo l’inglese lingua opaca – sono più esposte a casi di dislessia. Anche in Francia hanno questo problema.

Per la Spagna non so, l’Italia è messa così, dipende dalle regioni, e poi ci sono altri Stati come ad esempio la Romania, dove non se ne parla. In realtà anche a livello europeo siamo messi male su queste tematiche. La cosa buona però è che l’AID sta collaborando anche con molte aziende sul piano nazionale e si sta provando a fare qualcosa nel mondo del lavoro, perché noi non siamo tutelati nel mondo lavorativo. La legge 170/2010 tutela gli studenti, ma nel mondo lavorativo è come se i DSA scomparissero.

Si può rischiare di perdere il lavoro, di non essere assunti o lo si vive male, immagino.

Purtroppo, per mia esperienza parlando con una consulente del lavoro per DSA, mi ha detto “scegli tu se dirlo oppure no”. Il mio consiglio è: al colloquio di lavoro non dirlo, a meno che non capisci che davanti hai un’azienda aperta o si dichiara apertamente dyslexya-friendly.

So di altri ragazzi dislessici che l’hanno detto successivamente sul posto di lavoro ed è stato detto loro dal capo “fortuna che non me l’hai detto mentre ti stavo assumendo perché altrimenti non ti avrei assunto”. C’è sempre un po’ questo tabù, questo pregiudizio sui dislessici, come meno dotati.

In realtà ci sono moltissimi personaggi famosi di successo che avevano determinati DSA, semplicemente noi non lo sappiamo o non ci abbiamo mai badato.

Sì, anche se in teoria saremmo tutti neurodiversi. Da Michelangelo a Steve Jobs ad Albert Einstein passando per Agatha Christie.  C’è una teoria che dice che i DSA colpiscono – e anche qua troviamo questo verbo, colpire, che lascia a desiderare – maggiormente uomini. In realtà, col fatto che gli uomini hanno avuto accesso e accesso all’istruzione per molto più tempo rispetto alle donne, è normale che se ne trovino di più.

Comunque parliamo di una neurodiversità – che poi come stavi dicendo tu siamo tutte e tutti diversi/e – che si può trovare nel mondo maschile, femminile, nelle persone non binarie…non è tipica di un qualche genere.

No, no. Chiunque può essere dislessico o avere dei DSA.

Comunque i grandi poli universitari dovrebbero avere un ufficio d’assistenza per gli studenti universitari. Tutte le scuole dovrebbero comunque essere dotate di PDP e attenervisi e in ogni caso c’è l’AID. Si stanno muovendo molto ultimamente affinché ci sia più tempo per la patente di guida e nautica, perché una delle nostre caratteristiche è non distinguere destra e sinistra, sopra e sotto.

Sono stata bocciata due volte alla pratica e due alla teoria e ciò mi sarebbe stato d’aiuto. Anche perché ho dovuto fare tutti i quiz a crocette per la teoria e per i dislessici è un incubo. Soprattutto se con un tempo limitato. Ora l’AID fa sì che quando un dislessico fa un quiz a crocette o abbia più tempo o le domande siano poste nella maniera più semplice possibile, quindi senza doppie negazioni e senza frasi a trabocchetto.

Spero che se qualche persona con DSA dovesse leggere questa intervista mediti sul fatto di non vedere la propria dislessia o i propri DSA come un difetto o un ostacolo, ma come un’enorme risorsa da sfruttare. Voi costituite una parte importante della neurodiversità, che è importante in natura quanto la biodiversità, quindi avere un compagno dislessico in un gruppo di lavoro o di studio può apportare benefici.

Grazie mille per tutte queste informazioni. Spero che i nostri lettori e le nostre lettrici trovino utile tutto ciò che hai spiegato e speriamo si possano fare sempre maggiori progressi per tutte e tutti.

FONTI

Intervista diretta dell’autrice

CREDITI

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