“The Last Duel” è un film femminista?

Ridley Scott torna al cinema, prima dell’attesissimo House of Gucci (in arrivo in Italia il 16 dicembre), tentando l’esperimento di mescolare ricostruzione storica e rape-revenge. Con la sceneggiatura affidata a Nicole Holofcener e a due premi Oscar, Matt Damon e Ben Affleck (entrambi con una parte nel film), The Last Duel si presenta come resoconto dell’ultimo duello legalmente riconosciuto in Francia, nel XIV secolo, in un’ottica che vuole includere la discussione del #MeToo in una narrazione tipicamente dominata da figure maschili.

L’ultimo “duello di Dio”

Basato sul libro di Eric Jager The Last Duel: A true story of trial by combat in Medieval France (2004), il film ricostruisce il “duello di Dio” avvenuto nel 1386 tra Jean De Carrouges (Matt Damon), cavaliere, e Jacques Le Gris (Adam Driver), scudiero accusato di stupro da Marguerite de Thibouville (Jodie Comer), moglie di Jean; da qui si ripercorrono gli eventi che hanno condotto a questo scontro decisivo, raccontandoli dal punto di vista di ciascuno dei tre protagonisti.

Gli sceneggiatori dimostrano grande attenzione nell’evidenziare la parzialità e la distorsione della versione dei due uomini, apparentemente interessati a Marguerite e al terribile evento che la riguarda ma motivati soltanto dai loro interessi personali. Al contrario, la narrazione della donna è riconosciuta, anche dalla didascalia che la introduce, come “La Verità”, rivelando anche agli spettatori il messaggio che il film vuole proporre.

“The Last Duel” è un film femminista?

Inizialmente legati da una profonda amicizia e dal valore militare, i due protagonisti si ritrovano a rivaleggiare per prestigio e per ottenere il favore del signore locale, Pierre D’Alençon (Ben Affleck): sarà lui, con i suoi continui favoritismi per Le Gris, a determinare la rottura definitiva tra i due. Jean sposa allora Marguerite De Thibouville, nobile di famiglia decaduta, con la speranza di generare un erede e riscattarsi socialmente. Proprio la moglie spinge il cavaliere a riappacificarsi con Le Gris a una festa, ma lo scudiero è fin da subito attratto da lei e inizia a tramare un piano per avvicinarla.

L’occasione si presenta mesi più tardi quando Marguerite, dopo la partenza di Jean per una spedizione in Scozia, rimane da sola al castello dei De Carrouges; Jacques la raggiunge e, dopo averla spinta con l’inganno a lasciarlo entrare, la stupra, nonostante la donna avesse fin da subito cercato di allontanarlo.

Tra continui ripensamenti e accuse di dire il falso, alla fine Marguerite decide di denunciare pubblicamente il fatto, anche spinta dal marito, che afferma di essere pronto a sfidare in un duello giudiziario il suo rivale. Ancora una volta, la nobildonna è costretta ad affidarsi totalmente a Jean poiché, se lui perderà lo scontro, sarà destinata al rogo come punizione per avere mentito (era questa l’ottica dei cosiddetti “duelli di Dio” medievali, in cui si credeva che fosse la giustizia divina a scegliere il giusto vincitore in quanto unica fonte in grado di conoscere la verità).

Stupro e narrazioni problematiche

Fulcro della narrazione sono quindi i temi del consenso e dello stupro ma proprio quest’evento, intorno a cui dovrebbe vertere l’intero messaggio del film, è raccontato soltanto come l’ennesima delle offese che Le Gris compie ai danni di Jean. Infatti, nonostante il progetto si impegni tanto per presentarsi come una sorta di manifesto cinematografico del #MeToo, non c’è elemento che tenti di demolire la convinzione che la donna sia solo una delle tante proprietà di un uomo di potere e che nella vita, oltre che nella narrazione, non possa avere un ruolo diverso da quello domestico.

Un altro problema è rintracciabile direttamente nelle scelte di regia: Scott sembra infatti impiegare i suoi sforzi maggiori nella realizzazione delle scene di guerra (che, considerata la parabola del film, non sono poi così determinanti), costruite con i soliti elementi già ampiamente sfruttati dal cinema e dalla serialità di stampo epico-storico (basti pensare a Game of Thrones) e senza troppa cura per le tematiche che, al contrario, emergono con forza dalla sceneggiatura corale.

In questo solco si colloca anche la fotografia: considerando la duplice sequenza della violenza sessuale, è evidente in fase di ripresa uno sguardo spiccatamente maschile, che non si sforza di dare drammaticità o profondità all’esperienza di Marguerite (probabilmente anche per il fatto che la maggior parte degli addetti ai lavori, con pochissime eccezioni, sono tutti uomini).

Ricezione del film

Nel complesso si tratta di un film imponente (più di due ore e mezza di durata) ma che, nonostante le promesse, non riesce a sfruttare appieno gli spunti offerti dalla storia, risultando a tratti piatto ed eccessivamente lento. L’unico elemento che riesce a conferire un tono alla narrazione è lo straordinario livello della recitazione, che vede affiancarsi ad attori già consacrati a livello internazionale (come gli stessi Damon e Driver, o anche Harriet Walter nei panni della madre di Jean) giovani interpreti come Jodie Comer, che con una performance superba restituisce a Marguerite un’umanità e un’importanza che la regia non è stata in grado di conferirle.

Presentato fuori concorso alla LXVIII Mostra del Cinema di Venezia, The Last Duel è stato distribuito nelle sale italiane dal 14 ottobre; la ricezione del pubblico non è stata positiva come sperato, portando anzi la produzione a perdere denaro rispetto a quanto investito per la realizzazione di questo monumentale progetto. Ma, nonostante tutto, il parziale fallimento del tentativo di Scott potrebbe aprire la strada a nuovi film molto più spiccatamente femministi e attuali. E, chissà, magari diretti da registe donne.

 

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