“Mulholland drive”: the return

In occasione del ventesimo anniversario dall’uscita del capolavoro di David Lynch torna nelle sale italiane la versione restaurata di Mulholland Drive. Grazie a StudioCanal e alla Cineteca di Bologna, dal 15 al 17 Novembre sarà possibile ammirare sul grande schermo uno dei film che ha segnato la storia del cinema americano e internazionale. Debuttato a Cannes nel 2001 vinse il premio alla miglior regia, ma nonostante ciò riscosse uno scarso guadagno al botteghino e non fu apprezzato dal pubblico, rimasto turbato forse dall’estremo simbolismo che permea l’intera pellicola.

L’origine del film

Definito il “Vertigo sotto Valium” o “Raymond Chandler dentro Alice nel paese delle meraviglie”, scrivere un resoconto accurato del film è sempre stato difficile anche per la stampa. Il mondo del cinema, tuttavia, era abituato ormai da molti anni all’eccentricità del regista statunitense. La sua filmografia vantava già parecchi titoli come Eraserhead (1977), Dune (1984), Velluto blu (1986), e la serie indimenticabile ambientata nella misteriosa Twin Peaks (1990 – 2017).

Da sempre contraddistinto da una straordinaria capacità di manipolare la mente umana con riferimenti al grottesco e al sovrannaturale, Lynch non si smentisce neanche con questo film in cui il concetto di tempo si deteriora con il procedere della storia, alternando e intrecciando molteplici piani temporali e giocando su un concetto a lui molto caro: il sogno. La fitta trama che si viene a delineare finisce per dare vita a un universo parallelo in cui sia i personaggi che lo spettatore si perdono, e insieme cercano di ritrovare una via d’uscita.

Mulholland Drive in origine era stato pensato come uno spin-off che raccontava di come Audrey Horne (uno dei personaggi di Twin Peaks) realizzava il suo sogno di diventare attrice. Il progetto però fu accantonato dopo che la serie venne improvvisamente cancellata. Dopo qualche anno si pensò di realizzarne un prodotto televisivo, ma la casa di produzione scartò l’episodio pilota definendolo noioso. La televisione non era pronta per un rischio del genere: sarà infatti il produttore cinematografico Pierre Edleman a dargli una possibilità, il resto è storia.

La terra dell’oscurità e della confusione

Rita (Laura Harring) perde la memoria a seguito di un incidente stradale. Betty (Naomi Watts), un’aspirante attrice trasferitasi a Los Angeles per realizzare il suo sogno, la aiuterà a rimettere insieme i pezzi del suo oscuro passato.

Il regista utilizza una struttura narrativa definita “a nastro di Möbius”, figura geometrica costituita da un nastro dalla superficie infinita. Il primo ad associare questo concetto ai film di Lynch è stato il compositore Michel Chion, in quanto i viaggi (reali o di fantasia) che compiono i protagonisti non hanno né inizio né fine.

La maggior parte dei personaggi lynchiani sono costretti, per qualche motivo, a compiere un viaggio che assume un significato simbolico in quanto rappresenta un rito di passaggio verso un futuro migliore, la risoluzione di un enigma o semplicemente la riscoperta di sé stessi. Non a caso uno dei film preferiti di Lynch è proprio La strada di Federico Fellini. Si pensi per esempio ai titoli di testa di Strade perdute, in cui la macchina da presa sfreccia sulle strisce gialle di una superstrada oppure al viaggio spaziale di Paul Atreides in Dune. Solitamente questi personaggi sono avvolti da un alone di mistero e in qualche modo sembrano brancolare nel buio.

Sarebbe interessante se vi trovasse spazio anche la pura beatitudine, per esempio; ma non potrebbe comparirvi che come parte organica dell’oscurità e della confusione (…). Ogni film è una specie di esperimento. Abbiamo bisogno di acquisire conoscenza ed esperienza attraverso coppie di opposti.

Il simbolismo

Inizialmente la storia ha un andamento lineare, tranne per qualche piccolo depistaggio che si rivelerà tornare utile allo spettatore più avanti per completare il complesso puzzle. Tipico del regista è di sparpagliare piccolissimi e quasi irrilevanti indizi nel corso di tutta la narrazione, ma che in realtà sono fondamentali per la comprensione della trama e del film in generale.

Da sempre si cerca di comprendere i significati nascosti dei prodotti lynchiani, anche se la maggior parte delle volte questo risulta inutile poiché, come riferisce il regista stesso, non esiste una spiegazione univoca e ognuno attraverso il proprio intuito può fornire una lettura personale delle immagini. Spesso è la stessa macchina da presa a creare il contenuto: il modo in cui viene girato un film contribuisce a far scaturire diverse interpretazioni in base all’accostamento delle scene, agli effetti della pellicola, alla tipologia di inquadrature e alla velocità con cui si svolgono le azioni.

Se la verità venisse rivelata, il sogno che è Mulholland Drive morirebbe. Il mcguffin finale lo conferma: la piccola scatola blu che sembra essere la chiave per la risoluzione dell’enigma, si rivela essere priva di un vero e proprio significato. Lynch porta l’attenzione del pubblico su qualcosa che sembra avere un’importanza cruciale, per poi rivelarne l’inutilità.

“This is all an illusion”

Famosissima la scena ambientata nel Club Silencio (in realtà gli interni sono del Tower Theater di Los Angeles), in cui le due protagoniste assistono ad uno spettacolo alquanto inquietante. È tutto registrato. È solo un’illusione, ciò che sentiamo non corrisponde a ciò che vediamo e viceversa. Una donna sale sul palcoscenico e canta un brano struggente: lo spettatore, così come le due donne, immerse completamente nell’esibizione, si dimentica di ciò che si era detto all’inizio. La donna cade a terra ma la voce si sente ancora, era tutto registrato.

Nulla è reale in Mulholland Drive, nulla è come sembra eppure tutto sembra così vero. Lynch crea un universo in cui realtà, sogno e fantasia si fondono senza un apparente significato. Ma è questo il bello, nessuno sa quale sia la verità, neanche i personaggi, anime tormentate costrette a muoversi in ambienti angoscianti e stremati dalla loro stessa mente. Rita e Betty sono condannate a districarsi in un mondo illusorio in cui il concetto di tempo non esiste.

L’eredità di David Lynch

A distanza di anni Mulholland Drive è ancora capace di destare l’interesse del pubblico tanto da riportarlo davanti al grande schermo. Un esperimento per nulla scontato dato che, a seguito della pandemia, molti spettatori hanno preferito rifugiarsi nelle proprie case a guardare film in streaming. Forse il segreto risiede nel fatto che, per quanto criptici, i film di Lynch hanno la capacità di trasportare chi li guarda in un mondo onirico senza tempo e spazio, in cui è piacevole perdersi.

Questo dimostra però come, nonostante la vasta proposta, sia sempre un’emozione ineguagliabile visionare i cult della storia del cinema in sala, soprattutto se si tratta di David Lynch, il regista dei sogni.

FONTI

hotcorn.com

it.wikipedia.org

Io vedo me stesso: La mia arte, il cinema, la vita, David Lynch, a cura di Chris Rodley, ed. Il saggiatore, 2016

CREDITI

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