DBS – Stimolazione cerebrale profonda: quali risvolti etici?

Siamo abituati a considerare le scoperte scientifiche come la concretizzazione del progresso umano. Siamo arrivati dove siamo oggi grazie all’ingegno di chi, partendo da un’ipotesi, è riuscito a trovare non solo una dimostrazione, ma anche un’applicazione pratica di nuove pratiche o tecniche.

Sono moltissime, ormai, le malattie che siamo in grado di curare: viviamo quasi fino a cento anni e conduciamo un’esistenza che sempre più si appoggia sull’apporto medico-scientifico. I problemi affrontati dalla scienza sono come dei rompicapo: solamente procedendo per tentativi, sbagliando, correggendo il tiro, è possibile andare avanti e individuare una soluzione.

La scienza applicata all’ambito medico non fa eccezione: nel pensare una nuova terapia le conoscenze messe in campo sono moltissime ed è necessario tenere in considerazione numerosi elementi; tra questi, una discriminante importantissima è costituita dall’individuo sul quale la terapia si va ad applicare. Se, infatti, la patologia è sempre la stessa, identica cosa non si può dire della persona che da questa viene colpita. Tra le varie terapie messe a punto negli ultimi anni, la DBS (stimolazione cerebrale profonda) è una di quelle che sembra promettere meglio.

Che cos’è, in cosa consiste e a chi viene applicata?

Si tratta di un trattamento chirurgico invasivo volto a ridurre i sintomi motori debilitanti, caratteristici dei disturbi del movimento in malattie come il Parkinson. Questa procedura, però, è utilizzata anche per curare altri tipi di malattie, come per esempio l’epilessia o il DOC (disturbo ossessivo-compulsivo) anche se, è bene precisarlo, per queste patologie ci troviamo ancora in una fase di sperimentazione.

Il trattamento prevede la perforazione del cranio in anestesia locale: si procede poi con l’inserimento di elettrodi di test nel cervello, utili per identificare l’area nella quale inserire quello definitivo. La tecnica viene utilizzata sui pazienti affetti da morbo di Parkinson da oltre venti anni e, stando ai dati raccolti, è dimostrato il raggiungimento di ottimi risultati. Non tutti possono sottoporsi al trattamento, però: sono necessari, infatti, alcuni requisiti, come l’essere in salute da un punto di vista fisico e la comprovata inefficacia della terapia farmacologica. 

Effetti collaterali

Come per qualsiasi tipo di trattamento (compresi quelli che apparentemente possono sembrarci più blandi), anche la DBS ha degli effetti collaterali. Uno in particolare preoccupa in modo notevole la comunità scientifica e riguarda l’alterazione della personalità del paziente. Non sono pochi i casi riportati dalla letteratura in cui si fa riferimento a episodi di alterazione del comportamento, sia durante che dopo il trattamento: gli episodi violenti, che si sono verificati anche in persone caratterizzate da un temperamento mite, sono quelli più ricorrenti.

Questo è un problema etico di non poco conto, perché la ricostruzione della personalità originaria di un individuo è un lavoro arduo e, nella maggior parte dei casi, quasi impossibile da portare a termine ottenendo un buon risultato. Nel corso del tempo medici e ricercatori si sono interrogati sui risvolti legali di questa pratica, che può entrare in conflitto con l’articolo 35 della Costituzione italiana, relativo al sottoporre a determinati trattamenti persone non in grado di intendere e di volere.

Il punto attorno al quale i ricercatori si sono interrogati, dunque, è proprio questo: la DBS può essere considerata, oltre una certa soglia, una manipolazione mentale? Fortunatamente, dalle ricerche è emerso che questa terapia è una strada percorribile e non viola nessun diritto del paziente che vi si sottopone. La peculiarità del trattamento, infatti, sta proprio nella sua reversibilità, resa possibile dalla rimozione permanente dell’elettrodo introdotto a seguito dei primi test.

Dignità del malato

La DBS potrebbe rappresentare una soluzione efficace per molte malattie che, a oggi, non hanno ancora una cura. Concentrandoci sui malati di Parkinson, però, possiamo formulare delle ipotesi più precise, almeno da un punto di vista umano. Qualora la stimolazione cerebrale profonda venisse ulteriormente indagata e migliorata, forse molte più persone potrebbero sottoporsi al trattamento.

Attualmente, infatti, solamente il 10% della popolazione affetta da Parkinson può accedere alla cura. Per poterne comprendere l’entità e l’importanza è importante partire da una domanda fondamentale: che cosa significa non poter più vivere la vita come siamo abituati a viverla? Quanto una malattia invalidante come il Parkinson può influenzare la nostra quotidianità?

La risposta è di difficile formulazione. La dignità del paziente, però, deve cominciare a essere considerata come un valore di cura. Non come una possibilità accessoria, ma come un vero e proprio corollario rispetto alla terapia scelta per dargli sollievo. In un mondo che sempre più cerca di fare appello al lato umano delle persone, prevedere che accanto a una cura meramente fisica si vada a affiancare anche un percorso volto a dare supporto anche da un punto di vista mentale, sarebbe una conquista fondamentale per tutti.

Risvolti sociali

È di vitale importanza restituire agli individui la dignità che, in un modo o nell’altro, la malattia toglie loro. Rendersi conto dei miglioramenti che dalla DBS possono derivare, è uno spunto positivo di cui coloro che sono affetti dal morbo, in primis, possono giovare. Percepirsi per quello che si è sempre stati aiuta le persone a sentirsi meno isolate, a riuscire a vivere la propria quotidianità in maniera più serena e, perché no, con maggiore ottimismo rispetto alla probabilità che non sia un’eccezione, ma un nuovo inizio.

Il vivere la malattia, per chi non la affronta, è una condizione incomprensibile. Se, per tutta la vita, ci siamo conosciuti in un certo modo, non esserlo più diventa fonte di disagio. Perché, vi chiederete, ci stiamo soffermando su riflessioni che poco o niente hanno a che vedere con la scienza nella sua applicazione pratica? Perché, a ben vedere, possiamo considerare questa disciplina come un modo di leggere il mondo che non è tanto distante da quello umanista.

Da una scienza pensata dall’uomo per l’uomo, non possiamo che aspettarci grandi cose. A cominciare dalla DBS, che sembra una delle vie maestre per concepire la malattia in modo sempre meno socialmente invalidante. Potremmo considerarla un inizio, la pietra d’angolo che ci permetterà, magari in un futuro non troppo lontano, di concepire la sanità in modo differente, come un qualcosa di molto più vicino ai bisogni del malato e della famiglia che lo supporta nel suo percorso verso la guarigione.

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