Steve Jobs

Steve Jobs e il mito del se vuoi puoi, dieci anni dopo la sua morte

Sono passati dieci anni da quando Steve Jobs, cofondatore e CEO di Apple, è morto dopo una lunga lotta contro il cancro al pancreas. L’eredità di Steve come grande visionario è ancora vista dalla maggioranza delle persone attraverso gli occhi dell’ammirazione e della devozione, che attraverso le sue celebri parole di intuizione come “sii rivoluzionario”, “connetti le cose in modi nuovi e diversi”, “siate affamati, siate folli”, ha sempre dato a tutti un’immagine affascinante ed evanescente di una sorta di genio.

Eppure, oltre ad aver costruito un impero nel campo dell’innovazione e della tecnologia, Steve Jobs è stato fautore di un modello di leadership e di narrazione del successo totalmente innovativa. Nel 2010 ha ottenuto il primo posto nella classifica dell’Harvard Business Review dei migliori CEO del mondo, che a differenza della maggior parte delle classifiche, si basava su un’analisi sistematica dell’andamento del titolo durante il mandato degli amministratori delegati, e non sulla popolarità percepita o su qualche altra misura soggettiva.

Il vostro tempo è limitato, quindi non sprecatelo vivendo la vita di qualcun altro. Siate affamati, siate folli, perché solo coloro che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo lo cambiano davvero.

“Cambia, impegnati e realizzati”, la frase più famosa di Steve Jobs potrebbe essere riassunta in queste tre parole, le colonne portanti dell’affermazione e della realizzazione, che sebbene appaiano come strumenti utili per un’evoluzione personale, la maggior parte delle volte non sono nient’altro che una narrazione pericolosa del successo.

La reale eredità di Steve Jobs

A differenza di molti fondatori di aziende tecnologiche, Jobs aveva preso molto sul serio la grande autorità che derivava dal suo ruolo e ciò implicava per lui inculcare una cultura del lavoro senza fronzoli e senza compromessi. Michael Dhuey, 53 anni, ha avuto due opportunità di sperimentare il “vero lavoro” operando con lui. “Ho avuto una buona esperienza con Steve, ma conosco anche persone che non l’hanno avuta”, dice Dhuey durante un’intervista telefonica per VentureBeat da Cupertino, in California.

Dhuey ricorda che la gente aveva paura di entrare in un ascensore con Jobs, “Ti chiedeva su cosa stavi lavorando e la gente ha iniziato a temere quella domanda”.

“Jobs diceva spesso ai suoi dipendenti che non avrebbero mai fatto nulla di buono. Li ha messi in imbarazzo di fronte ai loro coetanei e li ha licenziati sul posto per suo capriccio personale”. Dalle numerose dichiarazioni – molto dure – dei dipendenti Apple l’immagine complessiva è quella di un capo che non è stato in grado di delegare le responsabilità ad altri, incapace di stimare abbastanza i proprio collaboratori da metterli in prima fila su decisioni importanti, all’interno di un regime basato sul culto della personalità.

Se vuoi puoi?

“Quando avevo 34 anni, ho deciso di iniziare a vedere un life coach. Ho avuto una buona carriera nella finanza, ma sapevo di voler fare un cambiamento e ho pensato che mi sarebbe stato d’aiuto selezionare le opzioni professionali con una terza parte neutrale”. Khe Hy, redattore di Quartz e imprenditore, è sempre stato terrorizzato dall’idea della sua mortalità fin da bambino, e come molti professionisti orientati agli obiettivi, ha creduto a lungo di poter ottenere qualsiasi cosa si fosse prefissato, fino a quando non ha capito che c’è un grosso problema con questo modo di vedere il mondo, ossia non tenere conto di quelle contraddizioni e quei fattori  che sfuggono al nostro controllo.

La narrazione del successo diventa così un’acritica adesione al sistema in cui viviamo, dove l’entusiasmo per la realizzazione smette di essere un ideale e si trasforma in un imperativo esistenziale. In questo contesto l’unico modello possibile sembra essere quello dell’individualista motivato, ottimista e visionario, che in quanto vincente è in grado, e quindi in dovere, di insegnare agli altri, apparentemente bloccati nell’ozio e nella pigrizia, come usare a proprio vantaggio le infinite possibilità del mondo. Nella migliore delle ipotesi, il sogno americano può essere sia commovente che stimolante, ma allo stesso tempo anche problematico, non ultimo perché è in gran parte, in fin dei conti, falso.

La carriera diventa, infatti, sinonimo di una corsa solitaria a discapito di tutto durante cui esercitare il proprio valore e il proprio potere. Il non realizzarsi diventa la più grande delle sconfitte personali. Questa etica del successo non è quindi solo un modo di vivere individualista e a lungo andare insostenibile, ma un solido rinforzo per un sistema che ancora oggi si dimostra prevaricante sui “perdenti della società”.

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