Candyman: una storia horror tra leggenda e realtà

In questi giorni nelle sale cinematografiche di tutta Italia si proietta il nuovo Candyman, diretto da Nia DaCosta. Annunciato prima come remake dell’omonimo horror degli anni Novanta, si impone poi a tutti gli effetti come sequel, proseguendo la storia dell’assassino del Cabrini Green, con nuovi eventi che ricordano come flashback quelli del 1992.

Il film, che doveva uscire a giugno del 2020, a causa del Covid-19 è stato distribuito soltanto a partire dalla fine di agosto 2021. Ma a pellicola vista, si può dire che è valsa sicuramente la pena di aspettare. Pauroso al punto giusto, fedele all’originale, dinamico dall’inizio alla fine, Candyman è un concentrato di arte e terrore, meravigliosi scenari paesaggistici e folklore black.

Prepariamoci quindi a conoscere i dettagli più affascinanti del lungometraggio, con un’attenzione particolare al forte legame che la pellicola crea con quella precedente.

Quando la leggenda entra nella vita reale

La storia di Candyman ha radici molto profonde negli angoli più ai margini del Cabrini Green di Chicago, ed è proprio su questi racconti leggendari che prende corpo l’intera pellicola della regista afroamericana. Durante una cena in famiglia, Anthony McCoy, artista in cerca di nuove ispirazioni, viene a sapere di Helen Lyle, una studentessa che in preda ad una improvvisa follia omicida ha compiuto una serie di feroci delitti. Dopo aver rapito un bambino e in procinto di sacrificarlo durante un falò, Helen viene fermata da alcuni abitanti, che tuttavia non riescono ad impedire il suo suicidio nel fuoco.

McCoy, incuriosito dal racconto, inizia una serie di ricerche che lo portano al centro di Cabrini. Qui casualmente conosce William Burke, proprietario di una lavanderia, il quale gli spiega nei dettagli la storia dell’assassino, avendolo incontrato davvero quand’era piccolo.

“Say my name”

Burke però mette in guardia Anthony: Candyman non è mai andato via, anzi è sempre pronto ad apparire di nuovo, qualora lo si evochi. Basterà infatti ripetere il suo nome per cinque volte di fronte ad uno specchio, e leggenda vuole che compaia all’istante per uccidere il malcapitato.

Dunque, l’artista prende tutte queste informazioni come una ricchissima fonte di ispirazione per tornare finalmente a dipingere tele dal significato profondo. I nuovi quadri nascono come spinti da una forza che non c’è modo di arrestare. Ma una puntura d’ape, che sembrava non destare preoccupazione, inizia a causare ad Anthony gravissimi problemi, che lo porteranno di lì a poco ad una trasformazione irreversibile.

Un legame diretto

Per non rovinare il colpo di scena, non si possono svelare tutti i dettagli dell’attuale film, ma di certo si può dire che si tratta di un insieme di scene, e quindi di eventi, studiati nei minimi dettagli. Tutto al fine di riallacciarsi direttamente al lungometraggio originale, dal momento che il primo Candyman si basa sui medesimi fatti che nel nuovo film, invece, vengono raccontati sotto forma di flashback.

La pellicola del ’92, intitolata Candyman-Il terrore dietro lo specchio, comincia proprio con la studentessa Helen Lyle. È lei la vera protagonista della storia, che in modo del tutto fortuito incappa nella famosa leggenda dell’uomo con l’uncino al posto della mano. La ragazza, affascinata, ne approfondisce i particolari per il suo progetto di tesi. Ma in questo modo innesca una spaventosa catena di omicidi, troppo complicata da arrestare, e richiama la forza di Candyman che per molti anni era rimasta nell’ombra.

Nelle sue ricerche, infatti, Helen conosce Anne-Marie, una donna residente al Cabrini-Green, che ha un figlio di nome Anthony. Dopo una serie di brutali omicidi e di fatti orrendi capitati in quei mesi, Candyman stabilisce una comunicazioneCandyman uncino diretta con la studentessa, usando il piccolo Anthony come “prova” di fiducia nei suoi confronti. Ma le intenzioni dell’uomo sono tutt’altro che buone, per cui la donna si vede costretta a sacrificarsi per salvare il bambino. Lo stesso bambino che dopo molti anni dovrà ripercorrere un destino simile.

Se hai imparato qualcosa da me, non dovresti implorare di vivere: io sono una leggenda. È una condizione ideale, credimi: si racconta di me agli angoli delle strade, vivo nei sogni delle altre persone ma senza dover esistere. Riesci a capirlo?

Un filo che non si spezza

Il film di Nia DaCosta riparte proprio dal personaggio di Anthony, che ormai adulto costituisce una sorta di ponte tra passato e presente, collegando direttamente tutti gli episodi della prima pellicola ai fatti raccontati nel nuovo lungometraggio. In questo modo, la giovane regista dà alla storia di Candyman un interessante taglio consequenziale, che soddisfa molto anche i più esigenti fan del genere.

Tra l’altro, DaCosta è alle sue prime esperienze nel mondo cinematografico, ma questo non rende il film meno lodevole. In realtà, proprio grazie a Candyman, la trentaduenne è stata inserita da Variety nella classifica dei dieci registi emergenti da tener d’occhi in quest’anno. A ciò poi si aggiunge che il film è il primo girato da una donna afroamericana a debuttare nel botteghino degli Stati uniti in prima posizione.

Che cosa sanno i buoni se non quello che imparano dagli eccessi di noi cattivi?

Dunque, ormai è chiaro che Candyman è un horror da gustare dall’inizio alla fine. Tutti gli ingredienti giusti ci sono: l’affascinante panorama di Chicago ben si amalgama con il fulcro della storia, creando un binomio vincente. Ricchezza da un lato, quartieri malfamati dall’altro, l’arte delle gallerie che si contrappone ai colorati murales delle case abbandonate, e poi ancora leggenda, realtà, un po’ di sano splatter e tanto, tanto altro. Cosa aspettate a vederlo?


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