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Kate, la fan numero uno di John Wick

Per parlare di Kate, film d’azione del 2021 diretto da Cedric Nicolas-Troyan, si può partire da questa più che calzante descrizione che possiamo leggere sul magazine “I 400 Calci”. Kate è il classico film che punta ad inseguire il successo di un filone particolarmente di moda al momento come quello action sfruttando un pretesto narrativo presumibilmente brillante e/o un protagonista dal nome altisonante. Non è la prima pellicola di questo genere prodotta da case come Netflix o Prime Video nel corso degli ultimi anni e a giudicare dai titoli in uscita prossimamente non sarà nemmeno l’ultima. Tutto ciò è figlio dello spropositato successo ottenuto dal 2014 ad oggi dalla saga di John Wick che ha riportato in auge un genere che annaspava da anni nella mediocrità e che ora sta vivendo una nuova epoca d’oro, nella quale tuttavia sembra essersi perso il concetto di originalità.

 

Vendetta contro il tempo

Kate è una killer incredibilmente addestrata e straordinariamente efficiente che agisce sotto ordini del suo mentore nonché padre putativo Varrick, che l’ha presa sotto la sua ala oscura in tenera età strappandola da un orfanotrofio. Kate ha una sola regola: non uccide difronte a dei bambini. Tuttavia nelle torbide acque in cui è costretta a muoversi avere certi limiti morali è un lusso che raramente ci si può permettere. Così durante un lavoro ad Osaka, Varrick le forza la mano e la spinge ad uccidere Kentaro, il fratello di un importantissimo capo della Yakuza, davanti agli occhi della sua povera figlia. Ad anni di distanza questo avvenimento riecheggia ancora forte nella memoria di Kate e la porta a mettere in discussione la propria vita, spingendola sempre più lontano dal lavoro di killer su commissione. Un ultimo lavoro la separa dalla libertà e da un nuovo inizio.

L’ultimo obbiettivo è Kijima, il fratello di Kentaro. Un ultimo grande bersaglio per essere libera di tentare una vita normale. Tuttavia qualcosa va storto. Poco prima dell’ora decisiva per colpire, Kate si concede una distrazione intima con un uomo conosciuto ad un bar di un albergo. Questa leggerezza le sarà fatale poiché l’uomo l’avvelenerà con del Polonio 204 e alla ragazza non rimarranno che ventiquattro ore di vita. Un giorno non è abbastanza per assaporare davvero quella che sarebbe potuta essere una vita da persona comune, tuttavia può bastare per vendicarsi del mandante dell’avvelenamento. Da qui parte la caccia all’uomo che porterà Kate a trasformarsi in un arma vivente e a seminare morte per le strade notturne di Tokyo alla ricerca di nomi e risposte. Sarà stato lo stesso Kijima a condannarla a morte? Forse. O forse no.

Keanu mostraci la strada

La definizione di wannabe risulta perfetta per Kate,  perché ciò che vorrebbe essere questo film è la copia carbone di John Wick. Una storia di vendetta che porta una protagonista ferita dal coefficiente letale assolutamente fuori scala, poiché da sola semina più cadaveri di arma atomica, a scontrarsi con un antagonista fastidiosamente certo della propria vittoria ma inconsapevole del grave errore commesso. Ovviamente qui non si parla di capolavori del cinema d’autore ma di prodotti il cui unico scopo è quello di intrattenere il pubblico in sala con sequenze adrenaliniche e combattimenti al cardiopalma. Tanti registi hanno tentato di emulare la formula di John Wick, fallendo miseramente  o creando dei veri e propri plagi, e Cedric Nicolas-Troyan non va così lontano dal precipizio.

La fortuna di Kate, che tuttavia gli fa guadagnare una risicata sufficienza, abbastanza per evitare una spietata bocciatura  ma non di certo per consacrarlo tra i migliori action-movie degli ultimi anni, è da rintracciare in due essenziali elementi. Il primo sono le capacità attoriali di Mary-Elizabeth Winstead, che da sola riesce a tener banco per tutta la durata della pellicola e a sopperire ad una caratterizzazione del personaggio praticamente nulla, conferendo tramite il suo stile un certo carisma alla protagonista che permette la creazione di un minimo rapporto empatico con lo spettatore. Il secondo sono le coreografie degli scontri, un dettaglio fondamentale a cui è stata dedicata la giusta attenzione e che rende le fasi d’azione godibili. Il fattore gore arricchisce i suddetti scontri di quel pizzico di violenza che ci si aspetterebbe da una killer professionista e pertanto risulta ben accetto.

Tanti proiettili e gente che si fa male

In conclusione non si può definire Kate un brutto film action. Semmai lo si può definire un po’ anonimo. Assolve al compito di intrattenere una serata sul divano in cui non si sa cosa guardare ma non lascia il segno nello spettatore con scene memorabili o personaggi epici. La stessa Tokyo, in cui è ambientata la vicenda, è rappresentata come ogni occidentale vorrebbe vederla, piena di luci al neon e insegne dal design manga, senza una particolare visione del regista che come per la trama non spinge abbastanza sul tasto personalità. L’obbiettivo però era intrattenere e a differenza di altre produzioni analoghe uscite negli ultimi mesi, quali ad esempio Jolt, Kate centra il bersaglio seppur senza brillare.

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