La principessa splendente – un inno alla vita tra gioia e dolore

Nel 2013 usciva nelle sale giapponesi La storia della principessa splendente, l’ultimo lungometraggio, prima della sua morte nel 2018, del regista Isao Takahata. Cofondatore insieme ad Hayao Miyazaki dello Studio Ghibli e autore di altri importanti film animati come Una tomba per le lucciole (1988) e Pioggia di ricordi (1991), Takahata è stato uno dei grandi maestri dell’animazione giapponese. La storia della principessa splendente rappresenta il suo testamento artistico: è una splendida e tragica opera che si pone l’arduo compito di raccontare cosa significa vivere.

La Storia di un tagliabambù

Il film è un adattamento del Taketori monogatari, “Storia di un tagliabambù”. Si tratta di un antico racconto popolare giapponese (curato e tradotto nell’edizione italiana da Adriana Boscaro per Marsilio), la cui prima stesura scritta risale al 909 d.C.

Narra la triste vicenda della principessa splendente, un’abitante della luna, precipitata sulla terra per scontare una colpa (forse quella di aver desiderato vivere come gli esseri umani) e poi costretta a ritornare, con rammarico, al suo luogo d’origine. È una metafora del nostro cammino nel mondo: una storia universale di nascita, crescita e morte.

Antico e moderno

Nonostante sia basato su un antico racconto, e quindi sia ambientato in un Giappone remoto nel tempo, il film riesce a dialogare con la nostra sensibilità moderna. Questo perché Takahata ha riscritto il Taketori monogatari arricchendolo e modernizzandolo. Le variazioni sono poche e sottili ma molte sono le aggiunte: le quali sono volte principalmente ad approfondire la psicologia della principessa e quindi scavare nei suoi sentimenti, non solo con le parole ma anche, e soprattutto, tramite il movimento (c’è infatti una grande attenzione al corpo e alla gestualità). Come facevano i grandi registi giapponesi del passato quali Kurosawa, Kobayashi e Mizoguchi, anche Takahata usa il racconto storico-mitico, per toccare in maniera indiretta la sensibilità dei contemporanei e mettere in questione cosa significa essere umani.

Lo stile

Dal punto di vista stilistico La storia della principessa splendente rappresenta un’espressione unica di libertà artistica. Il film è disegnato e animato interamente a mano con un’estrema minuziosità e cura. I fondali ad acquerello sono impressionistici, e i colori espressivi e simbolici. Ogni fotogramma ha vita propria; l’animazione è fluida e mette in primo piano il sentimento.

Infatti, in due importanti sequenze, la fuga dal banchetto e la danza sotto il ciliegio in fiore, è proprio il movimento ad esprimere lo stato d’animo della protagonista: nel primo caso disperazione e, nel secondo, gioia. Ma, ora, ripercorriamo la storia analizzandola nel dettaglio.

L’incipit

Una piccola creatura grande tre pollici dall’aspetto di una principessa viene trovata, da un anziano tagliatore di bambù, in un bosco. Egli, interpretandola come un dono divino, la prende con sé, e la porta a casa. Qui, non appena presa in braccio dalla moglie del tagliatore di bambù, la creatura si trasforma in un infante e inizia a piangere. Da quel momento, i due anziani soli e senza figli, decidono di prendersi cura della bambina, che chiamano “Principessa”, e crescerla con amore e affetto.

Gemma di bambù

Questo primo segmento del film corrisponde al momento più felice della vita della principessa. Qui è prima di tutto “Gemma di bambù”: questo è il soprannome datole dagli altri bambini della montagna a causa della sua particolare capacità di crescere a vista d’occhio, proprio come un bambù. Con loro e il “fratellone” Sutemaru (il più grande dei ragazzi) trascorre giorni felici esplorando le montagne e scoprendo la natura. Takahata ci mostra con gli occhi di un bambino la meraviglia per il miracolo della vita. Lo stupore trapela dai primi movimenti di Gemma di bambù ancora piccolissima, dai suoi primi passi e poi dal mondo che la circonda.

Infatti è primavera, e tutta la natura è in festa. “Uccelli, insetti, bestie, erba, alberi, fiori”, come è detto nell’allegra filastrocca che cantano i bambini, ogni cosa è rappresentata con delicatezza ed estremo rispetto. È come se nella vita della natura, nel succedersi del ciclo delle stagioni, fosse manifesta l’eternità stessa.

Lo sradicamento dalla montagna

Ma a un certo punto tale idillio finisce e Gemma di bambù viene sradicata dalla montagna. Infatti, nel frattempo, l’anziano tagliatore di bambù aveva cominciato a trovare oro e vesti pregiate in grandi quantità nel bosco dove aveva rinvenuto la misteriosa bambina. Interpretando questi segni come la volontà degli dèi decide di abbandonare la montagna e traferirsi nella capitale, per la felicità della principessa:

Io, con questo oro penso di far erigere per Principessa un palazzo nella capitale […]. Tra questi monti non sarà che una comune ragazza di campagna. Ascendere alla capitale e divenire una nobile damigella, farsi conoscere da giovani aristocratici, non sarà in questo la felicità di Principessa? No, anzi, sono i cieli a desiderare che così sia!

Quale felicità?

L’uomo è convinto che la figlia adottiva, ormai ragazza, possa essere felice soltanto diventando una nobile damigella. Non le domanda mai che cos’è che desidera veramente e non capisce che lei aveva già trovato la sua felicità nella vita semplice della campagna, in sintonia con la natura. A questo punto del film comincia a delinearsi un senso di incomunicabilità tra la principessa e il mondo attorno a lei: dei suoi desideri e della sua felicità sono sempre gli altri a decidere.

Ben presto infatti, per lei, dopo un entusiasmo iniziale, il palazzo si rivela come qualcosa di vuoto. La vita in montagna era autentica, libera e lontana dalla formalità della capitale (ma non, perciò, ingenuamente esente da difficoltà e pericoli). Invece, le norme che le vengono imposte appaiono alla principessa come soffocanti e disumanizzanti:

Anche se si è una nobile damigella si suda e ci saranno volte in cui viene voglia di ridere sguaiatamente! O in cui non si riescono a trattenere le lacrime, o in cui viene voglia di urlare, ci saranno!

Takahata ci mostra qui un mondo fatto di false convenzioni. Il palazzo, come la fredda e indifferente luna, inibisce la spontaneità, i sentimenti genuini e dunque con essi anche l’umanità.

La malinconia

Con i festeggiamenti per la sua nominazione, appunto come “Principessa splendente”, la sua vitalità e il suo spirito di protesta si affievoliscono. L’animo della principessa agogna alla vita sulle montagne e lei si fa sempre più malinconica. La sofferenza della principessa traspare anche dalla soave melodia di koto che suona, la quale sembra essere espressione di un triste lamento interiore, e irrompe in rabbia nella violenta sequenza onirica della fuga dal banchetto. In un momento colmo di disperazione per la sua impotenza di fronte alla volgarità degli ospiti, i contorni della principessa nella sua disperata corsa si distorcono, fino a diventare delle espressionistiche linee cinetiche. Qui si fa avanti per la prima volta la presenza opprimente della luna, che appare, smisuratamente grande, all’orizzonte verso il quale la principessa fugge.

I cinque pretendenti

Una sfida cruciale per la protagonista è rappresentata dai cinque nobili pretendenti che giungono a palazzo spinti dalla fama della sua bellezza. Questi, dichiarando il loro amore incondizionato verso di lei, senza averla mai vista né averle mai parlato, la paragonano a inarrivabili e leggendari tesori. La principessa però è una donna forte e, nonostante il suo grande senso di responsabilità e debito verso i genitori, non è disposta a sottomettersi alla volontà altrui né a legarsi con nessuno di quegli uomini. Ai nobili pretendenti che la paragonano a preziosi tesori, ribatte perciò di trovare e portarle in dono tali oggetti, così da poter dimostrare la sincerità della loro stima.

Takahata mostra come per la protagonista, in questo momento, è in gioco la sua libertà e la sua dignità. Ciò si evince dalla risolutezza con cui parla e, allo stesso tempo, dalla sua paura, tradita, ad esempio, dal tremolio della sua mano durante la conversazione con uno dei pretendenti. Questi, per la sua felicità, falliscono tutti miseramente, o portandole in dono tesori inautentici oppure non riuscendo nella loro impresa.

L’ultimo pretendente

La principessa si sente nuovamente libera ma allo stesso tempo è ancora oppressa e afflitta. Particolarmente dolorosa per lei è la notizia, perché se ne sente responsabile, della morte di uno dei nobili aspiranti; ma anche l’incontro con il principe Ishitsukuri, l’ultimo dei pretendenti a presentarsi a palazzo:

Vi prego, questo adorabile fiore, la sincerità di ciò che provo per voi, non potreste concedervi di accettarli? A me, sin da quand’ero piccolo le piante da fiore sono sempre piaciute. Ancor più, resto affascinato da quei fiori senza nome che sbocciano a bordo strada o nei campi. E poi, quel che penso sempre è “ma se fosse possibile vivere come questi fiori sbocciati nei prati?”. Principessa, insieme a me, andiamoci! In un qualche luogo che non sia questo! Sgattaiolando via dalla rigida formalità della capitale andiamoci insieme! In una terra tutta fiorita, con uccelli che cantano, pesci che guizzano, lussureggiante di verde!

Un falso?

Il principe si rivela ipocrita come tutti gli altri. Si presenta dalla principessa con in dono un semplice fiore e tenta di sedurla facendo leva sui suoi sentimenti più profondi e sul suo amore per la natura, parlando di sincerità del suo affetto per lei e allo stesso tempo essendo desideroso di vedere subito la sua bellezza. Le sue parole feriscono profondamente la principessa perché le ricordano la montagna, il mondo che ormai ha perso e, forse, la possibilità di una vita insieme al “fratellone” Sutemaru. Da questi eventi realizza che le abitudini con le quali si era consolata dentro al palazzo, il koto, la tessitura e il giardino curato come se fosse una miniatura della sua vecchia casa, non sono che illusioni, una simulazione della felicità, e che la sua vita è un falso. Il mondo della sua infanzia a cui anela è ormai perduto. Ma è davvero così? Non c’è forse qualcosa di vero anche in quelle piccole consolazioni?

L’imperatore

A seguito della disfatta dei cinque aristocratici, la fama della bellissima principessa splendente giunge fino al mikado, l’imperatore, il quale vuole che diventi una delle sue cortigiane. Ma la principessa ancora forte nel suo spirito e decisa a lottare rifiuta il suo invito. Tale è la sua risolutezza che se fosse costretta a diventare una donna del mikado sarebbe disposta a uccidersi; per la principessa non può esserci nessuna felicità nel diventare proprietà di qualcuno. Ma l’uomo, ancora più affascinato dal suo rifiuto, si introduce nel palazzo pretestuosamente e, di soppiatto, si avvicina alla principessa abbracciandola. Essa come uno spettro si divincola e scompare. Quindi egli, compresa la natura soprannaturale della principessa, rinuncia al suo intento. Così l’ultimo ostacolo frapposto tra la principessa e la sua libertà sembra allontanarsi.

principessa splendente

Vivere nonostante tutto

Dopo quest’evento, la principessa comincia a ricordare il suo passato, della luna e della sua punizione. Nel momento in cui il Mikado l’ha stretta fra le braccia ha implorato gli abitanti della luna perché la salvassero, e così ora dovrà lasciare la terra. Nonostante si sia immediatamente pentita di averli chiamati ormai non c’è più niente da fare: il suo tempo terreno è scaduto.

Eppure io ero venuta al mondo per vivere! Come gli uccelli e le bestie! Non voglio andarmene via!

È soltanto sulla terra, in mezzo al dolore, che ha conosciuto la gioia e cosa significa davvero vivere. La principessa vuole continuare a vivere nonostante tutto. Nonostante la prigionia del palazzo e l’ipocrisia della capitale vuole continuare a vivere. Forse per amore dei genitori, forse per rivedere la primavera e i bellissimi ciliegi in fiore, o forse soltanto per continuare a sperare o ricordare ciò che c’è di bello nel mondo.

L’addio alla terra

Ma tutto sarà inutile, una notte infine giungono gli abitanti della luna in una processione a bordo di una bianca nuvola. La musica celestiale allegra e gioiosa che suonano contrasta con il loro pallore e la loro impassibilità. La purezza degli abitanti della luna è quella di chi non conosce o non vuole conoscere la gioia e il dolore. Infatti, a poco serve spiegare che i sentimenti e le passioni umane non sono impurità:

Non si tratta affatto di sporcizie! Sia la gioia, sia la tristezza, coloro che vivono su questa terra ne sono tutti pieni in ogni tinta! Uccelli, insetti, bestie, erba, alberi e fiori, la pietà nelle persone…

Dopo un ultimo abbraccio con i suoi genitori, la principessa viene avvolta dal manto di piume, così, dimentica di ogni cosa, è purificata dalle macchie della terra. La luna è l’oblio di tutto, della gioia e del dolore, del bene come del male. La nuvola riparte in direzione di casa. Vano è anche il perdono implorato per la prima volta alla principessa dall’anziano tagliatore di bambù. Giunti nei pressi della luna i colori svaniscono, tutto si fa monocromatico. La luna è grigia, spenta. La principessa si volta un momento verso la terra, che è di un blu acceso e vivo, e, senza sapere perché, delle lacrime le bagnano gli occhi.

Un inno alla vita

Takahata attraverso questo antico racconto mostra allo spettatore come la felicità e la gioia siano interamente calate nel divenire della natura, nelle passioni e nei sentimenti umani. L’indifferente purezza degli abitanti della luna piuttosto è un falso, è il nulla che è la fine di ogni vita. E la formalità del palazzo non è che il riflesso di questo vuoto che inibisce ciò che è distintamente umano.

Un autentico elogio della vita deve necessariamente tener conto della sofferenza e della tristezza. Come ci sono la corruzione e la volgarità, così c’è la pietà e il perdono, questo è ciò che ha sperimentato la principessa splendente nel turbinio di emozioni che è stato il suo soggiorno sulla terra.


FONTI

A cura di Adriana Boscaro, Storia di un tagliabambù, 1994, Marsilio, Venezia

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