Quando l’arte racconta la guerra: la pittura di Otto Dix

Il ‘900 è stato il secolo delle grandi trasformazioni politiche, tecnologiche, economiche, sociologiche e anche artistiche, innescate anzitutto dall’esperienza della guerra. L’avvento della cosiddetta società di massa e il suo sviluppo, accaduto nell’arco di quello che lo storico inglese Hobsbawm ha definito con la felice espressione di “secolo breve”, costituì il perno su cui si crearono i grandi stravolgimenti delle società novecentesche. 

Gli stessi regimi – tanto quelli di matrice fascista e nazista, quanto quelli di matrice comunista – sfruttarono diabolicamente gli sviluppi delle masse, attraverso processi di indottrinamento e mobilitazioni collettive.

 

Francisco de Goya, 3 de mayo, 1814, olio su tela, Museo del Prado, Madrid.

La guerra moderna come guerra di massa

Per nulla esenti dalla massificazione della civiltà furono anche i conflitti stessi. Parlare di guerre mondiali infatti non significa soltanto definire il carattere globale dei conflitti, ma anche e soprattutto sottolineare quello che fu il vero carattere peculiare dei due eventi bellici che sconvolsero il Novecento, il fatto di essere state delle guerre di massa.

Come ha puntualmente evidenziato uno dei più grandi storici tedeschi, George L. Mosse:

L’incontro con la morte di massa è forse la più fondamentale esperienza della guerra […]. Attraverso la guerra ‘moderna’, molti uomini incontrarono per la prima volta faccia a faccia la morte di massa organizzata.

Pablo Picasso, Il massacro in Corea, 1951 Olio su tavola, Musée Picasso, Parigi

Proprio l’incontro con la “morte di massa organizzata”, resa tale anche dall’utilizzo di nuovi strumenti e tecniche belliche, fu l’aspetto che più di tutti sconvolse la coscienza collettiva e la psicologia di quei giovani europei che nell’agosto del 1914 si arruolarono per il fronte Erano entusiasti di affrontare un conflitto che mai avrebbero immaginato avere quella portata che ebbe la Prima Guerra Mondiale (sia in termini di brutalità, sia in termini di durata).

Ed è esattamente l’impatto psicologico e antropologico del nuovo conflitto bellico che lo studioso Eric J. Leed ha approfondito nel contributo Terra di Nessuno, Esperienza bellica e identità personale nella Prima Guerra Mondiale, ponendo in risalto che:

La nevrosi di guerra, al pari della nevrosi in tempo di pace, era la ‘fuga’, attraverso la malattia, da una realtà percepita come intollerabile e distruttiva.

L’arte e la guerra

Anche i linguaggi artistici, inevitabilmente, non poterono rimanere indifferenti di fronte alle trasformazioni antropologiche e culturali determinate dalla guerra, secondo una tradizione di denuncia artistica dei conflitti. Questa risale – in epoca moderna – al capolavoro di Francisco de Goya, Los fusilamientos del 3 de Mayo (1814), considerato il primo dipinto di denuncia contro gli orrori della guerra e che, peraltro, sarebbe stato assunto come modello dallo stesso Picasso per la sua rappresentazione del Massacro in Corea.

Otto Dix in un ritratto fotografico

In questo senso, dalla prima euforia bellica sostenuta anche dal gruppo dei futuristi, dopo i drammatici esiti che il conflitto portò con sé, si passò ben presto ad una razionalizzazione della disfatta umana che l’evento aveva provocato. La disfatta fu avvertita in maniera particolarmente intensa (se non tragica) nei due Paesi che maggiormente avevano subito i devastanti effetti materiali e politici: l’Italia e soprattutto la Germania. Non a caso sono i Paesi nei quali presto avrebbero preso potere il fascismo e il nazismo.

È soprattutto in questi decenni, tra i disastrosi anni ’20 e ’30 del ‘900, che si inserisce la parabola esistenziale e artistica di Otto Dix (1891-1969). L’artista tedesco raccontò in maniera cruda e sferzante gli abomini della Prima e della Seconda Guerra Mondiale.

La parabola biografica e artistica di Otto Dix

Formatosi a Dresda, dove frequentò la Scuola d’Arti Decorative e l’Accademia delle Belle Arti, nel 1914 si arruolò con entusiasmo come sottufficiale nell’esercito tedesco. Si impegnò tanto sul fronte occidentale quanto su quello orientale e ottenne diversi meriti tra le gerarchie dell’esercito.

Dalla serie “der Krieg”, 1924

Tuttavia, l’iniziale euforia bellica con cui Dix aderì alla guerra nell’agosto del 1914, si trasformò successivamente in una decisa e netta repulsione, dovuta all’esperienza scioccante del conflitto. Nel primo dopoguerra, infatti, Dix tornò a Dresda dichiarandosi apertamente pacifista e riversò il suo sdegno nella pittura, caratterizzata dalla rappresentazione di drammatici e terrificanti scenari bellici, oppure inquietanti scene della società tedesca postbellica dominata dal degrado sociale e dalle mutilazioni dei reduci di guerra.

Nel 1919 Dix aderì al movimento espressionista della Secessione di Dresda. Contemporaneamente fondò, insieme a illustri artisti come George Grosz e Helmut Herzfeld, il primo gruppo Dada tedesco, istituito sul modello di quello di Zurigo. Nel 1925 partecipò a Mannheim alla prima mostra del gruppo artistico Nuova Oggettività.

Dalla serie “der Krieg”, 1924

La rappresentazione degli orrori della guerra

Gli anni ’20 del ‘900 sono per Otto Dix un periodo estremamente fecondo dal punto di vista creativo. Sono anni in cui il pittore tedesco elabora gli esiti più significativi della sua poetica artistica, concentrandosi soprattutto sulla cruda e disturbante rappresentazione degli orrori della guerra (da lui stesso vissuta ed esperita) e dei suoi strascichi sulla società tedesca postbellica.

Dalla serie “der Krieg”, 1924

Risale a questo periodo infatti la serie di acqueforti Der Krieg (La guerra, 1924), del tutto affini, sia tecnicamente sia concettualmente, ai famosi Caprichos di Goya. In queste acqueforti, volti sfigurati e corpi mutilati dalla guerra, scenari orripilanti di massacri e cadaveri, territori trincerati e desolanti, si susseguono in un vortice artistico in cui domina il senso della brutalità del conflitto e dei suoi effetti distruttivi.

Dalla serie “der Krieg”, 1924

Del 1920 invece è l’opera Invalidi di guerra che giocano a carte, realizzata con una tecnica mista ad olio e collage (tipicamente dadaista) e con uno stile che si oserebbe definire il frutto di una commissione tra un feroce espressionismo e un confuso cubismo. Entrambi gli stilemi sono particolarmente congeniali alla raffigurazione del soggetto trattato, nonché adatti a produrre un effetto volutamente grottesco. 

Otto Dix, Invalidi di guerra giocano a carte, olio e collage su tela, Berlino, Neue Nationalgalerie

Il Trittico della guerra (1929-1932)

Guerra e morte dominano anche nel capolavoro di Otto Dix, ossia il celebre Trittico della guerra, realizzato tra il 1929 e il 1932, un anno prima dell’avvento del nazismo in Germania. Attualmente l’opera è esposta presso la Galerie Neue Meister di Dresda, città natale del pittore. 

La portata innovativa e al contempo provocatoria del trittico consiste nel rapporto tra il soggetto dipinto, ossia scene di guerra e di morte trattate con realistica truculenza, e il tipo di supporto, ossia un trittico, una serie di pannelli affiancati che, tradizionalmente, ha sempre ospitato, nella storia dell’arte europea, soggetti cristiani o comunque sacri. Basti pensare all’infinità di pale d’altare, in dittici e trittici, che sono state realizzate nella storia dell’arte occidentale.

Otto Dix, Trittico della Guerra, 1929-1932, Galerie Neue Meister, Dresda

In questo modo, la stridente brutalità delle scene di conflitto punteggiate da scheletri e cadaveri in decomposizione entra quasi in contrasto con la funzione liturgica che da sempre i trittici hanno avuto nella storia dell’arte. Da sinistra verso destra, nei tre pannelli verticali più quello orizzontale al centro in basso, si susseguono scene catastrofiche in cui la guerra è riprodotta nella bestiale drammaticità dei terreni martoriati, della case distrutte, dei corpi senza vita in decomposizione. Mentre nel grande pannello centrale un inquietante scheletro appeso ad un ramo altrettanto scheletrico indica, con una mano, i corpi ammassati e gli esiti del conflitto. 


FONTI

FinestreSull’Arte

E. J. Leed, Terra di nessuno. Esperienza bellica e identità personale nella prima guerra mondiale, il Mulino, 2014

G. L. Mosse, Le guerre mondiali. Dalla tragedia al mito dei caduti, Laterza, 1990

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