sotto lo stesso sole

“Sotto lo stesso sole”: intervista ad Anna Osei

Anna Osei è una giovane che si è affacciata al mondo della letteratura con il suo primo romanzo: Destinazione sostanza. Dopo una pausa decide di pubblicare per Mondadori Sotto lo stesso sole, libro che l’ha portata alla nostra attenzione. Abbiamo deciso di intervistarla per farci spiegare meglio chi sia lei, quale sia la sua idea di letteratura e per farci raccontare la genesi, lo stile e la storia del suo romanzo recentemente uscito.

Raccontami un po’ di te

La mia vita è stata abbastanza movimentata. Sono nata e cresciuta a Mantova, spostandomi poi in Inghilterra per il mio percorso di studi (diritto internazionale ndr). Poi sono tornata in Italia, trasferendomi a Milano, per conciliare il percorso di studi e la passione per la scrittura, evitando spostamenti lunghi per ogni presentazione.

La passione per la scrittura

La passione per la scrittura mi accompagna fin da piccola, ma questo libro (Sotto lo stesso sole ndr) impersona un po’ la mia volontà di cambiare genere rispetto al libro che avevo scritto prima (Destinazione sostanza ndr). Un libro che parlava molto di razzismo e metteva particolarmente a nudo le mie fragilità non mi pareva più il modo migliore per parlare di diversità e di accettazione. Per questo ho deciso di sfruttare al massimo la mia passione e di utilizzare la fantasia per dar vita a un romanzo, non a un’autobiografia, che semplicemente esprimesse ciò che era il mio dolore al mondo.

La storia che hai scritto ha però echi autobiografici?

Certamente. Per dare fisionomia ai due personaggi principali (Marlene e Steven ndr) sono partita da alcune mie caratteristiche personali. Marlene, per esempio, è impacciata e sogna molto a occhi aperti, mi assomiglia, dando però un’immagine caricaturale di quelli che sono i miei tratti positivi. Al contrario, Steven, è una caricatura dei tratti di me che io definisco più negativi: la razionalità, la testardaggine. Io sono un po’ una via di mezzo tra Marlene e Steven: la razionalità mi accompagna, affiancata sempre però da una certa fantasia e un gusto per i sogni a occhi aperti.

Iter di pubblicazione di Sotto lo stesso sole. Come sei arrivata alla pubblicazione e a un editore importante quale Mondadori?

Il percorso mi ha impegnato per diversi anni: inizialmente mi era stato chiesto di scrivere da una casa editrice un’estensione del mio libro precedente, partendo dalla storia d’amore dei miei genitori. La storia dei miei genitori però non mi sembrava funzionare, non era nulla di che, e ho quindi deciso di parlare di una storia d’amore e basta. Una serie di imprevisti mi ha però allontanato da quella casa editrice e ho quindi deciso di mandare il mio testo ad altre realtà, tra cui Mondadori. Con la pandemia tutta sembrava un po’ incerto, ma alla fine il testo è molto piaciuto e abbiamo quindi deciso di pubblicarlo.

La scelta del pubblico. Mentre scrivevi il romanzo avevi in mente un pubblico preciso o ti sei attenuta a un linea più generalista?

Inizialmente il mio target era quello dei giovani: le mie principali problematiche di autostima e razzismo, crescita interiore, le ho avute durante il periodo delle medie e delle superiori. Inoltre, essendo io una lettrice accanita in quel periodo, e faticando a trovare libri che raccontassero una storia d’amore tra ragazzi neri, volevo donare questo ai giovani. Il libro poi va oltre la storia d’amore e arriva a trattare tematiche, come l’accettazione di se stessi, soprattutto nel personaggio di Marlene, che sono di vitale importanza per un pubblico giovane, soprattutto per le ragazze nere, che si sentono spesso diverse e giudicate e hanno quindi problemi a trovare la strada della propria accettazione. Dopo la pubblicazione però mi sono accorta che questo libro è adatto a qualsiasi persona di ogni età: l’accettazione delle proprie vulnerabilità e debolezze non ha età ed è questo il messaggio centrale che volevo dare al romanzo. Un esempio concreto è quello di Steven: vive una vita isolata, ma per sua scelta, è spesso vittima della sua stessa testardaggine. Volevo mettere in luce l’educazione tipica maschile, per cui bisogna dissimulare e nascondere ogni debolezza. È stato difficile mettersi nei panni di un uomo, ma penso che questo, come tanti altri momenti del libro, faccia capire bene il tema centrale che, come ho già detto, è davvero adatto a tutti.

L’esperienza di volontariato alla Caritas del romanzo è stata da te vissuta in prima persona o inventata per il romanzo?

Durante le superiori, per il progetto ASL – alternanza scuola-lavoro – ho lavorato negli uffici della Caritas, senza avere però la possibilità di intervistare persone. Quello rimane un po’ il mio sogno, riuscire a parlare con le persone che vivono la povertà in prima persona.

Colpisce particolarmente il personaggio di Giancarlo: un italiano che usufruisce della Caritas, ma è fortemente critico nei confronti degli stranieri

Ho voluto inserire questo personaggio perché in questo periodo ci sono molte persone, che, in termini economici, stanno avendo problemi. Questo personaggio rappresenta un po’ la reazione tipica a questo disagio: risentimento nei confronti di altre persone economicamente in difficoltà. Giancarlo è l’italiano medio che, avendo difficoltà ad arrivare a fine mese, usufruisce del servizio della Caritas, ma, allo stesso tempo, si ritrova a odiare e criticare altre persone nella sua stessa situazione solo perché straniere.

La situazione economica di Marlene rispecchia la tua?

No, assolutamente. In termini economici assomiglio molto di più a Steven. La scena iniziale (lo sfratto della famiglia che ospitava Steven ndr) è una realtà che molti figli di immigrati, me compresa, hanno dovuto vivere. Non è una situazione facile. Anche la mia famiglia, il mio modo di vivere, sono più simili a quelli di Steven e di Joyce (la figlia della famiglia ospitante di Steven ndr).

Il tema della danza. Cosa significa la danza per te?

Per me la danza è un sogno mai realizzato. Sono cresciuta con altri tre fratelli, due sorelle e un fratello, e abbiamo dovuto fare molti sacrifici, ma fin da piccola mi sarebbe piaciuta. Quindi ho detto: “Se non lo posso fare io almeno facciamolo fare al mio personaggio”. Io non sono ballerina e non conosco la danza classica, me la cavo con l’afrobeat, ma la danza classica è un sogno che ho voluto realizzare attraverso un mio personaggio.

Il fatto che una persona nera possa diventare ballerina però è un segno di speranza per le nuove generazioni nonostante le difficoltà.

Certamente, con questo posso donare una speranza a tutte le ragazze che in questo ambito si sentono ancora criticate o non abbastanza.

Raccontaci di Marlene e della scoperta della danza africana

Per Marlene (ragazza adottata da una famiglia italiana facoltosa ndr) la danza africana è un segno di avvicinamento alle sue radici africane e sconosciute e un segno di libertà dalla gabbia che è la sua vita attuale. È una rottura con i suoi schemi italiani e un avvicinamento al suo lato afrodiscendente. Noi neri siamo due cose contemporaneamente: italiani e neri. Possiamo fare un aperitivo e allo stesso tempo mangiare fufu (cibo tipico africano ndr).

Pregiudizi nei confronti dei neri: come hai sviluppato il tema?

Fin dall’inizio il tema è presente. Marlene stessa, parlando per la prima volta con Steven, ha dei pregiudizi, soprattutto per la cultura ricevuta dai genitori. Verso la fine ho deciso di caricare questo tema: i genitori di Marlene, derubati, accusano Steven senza nemmeno porsi delle domande. Ho deciso di inserire questa scena perché credo che sia un pregiudizio molto presente in Italia. Io sono cresciuta circondata da italiani e mi è capitato più volte che per un misfatto il dito venisse puntato contro gli stranieri.

Il personaggio di Kelvin

Questo personaggio è molto importante. Non volevo passasse il messaggio, semplicistico, che tutti i neri sono bravissimi (Kelvin è il ladro effettivo ndr). Ho voluto disegnare l’essere umano così com’è: non è il colore a fare una persona, ci sono neri buoni e cattivi, bianchi buoni e cattivi. È anche importante sottolineare che il colore della pelle non può portarci a essere accusati di un atto compiuto da una persona del nostro stesso colore: da nera non posso rispondere o giustificare l’atto di un altro nero.

Quali sono le differenze tra nigeriani e ghanesi?

Sono le due nazionalità con cui ho avuto più confronti. Io sono ghanese e con i nigeriani abbiamo un bellissimo rapporto, però siamo due nazionalità diverse ed è giusto che anche in Africa, che comunque è un continente grande, si riconoscano le differenze nazionali.

Qual è stato il cambio di prospettiva rispetto al primo libro?

Mi sono resa conto che l’unico modo per guarire dalle ferite del razzismo non è estirparlo, condannarlo, ma trovare una via per uscirne da soli. Dobbiamo contare su noi stessi, non attribuire all’altro il potere di renderci felici.

Il ruolo del taccuino nel libro

Nel libro Marlene scrive molto sul taccuino. Anche io sono una di quelle persone che scrive spesso i propri pensieri, soprattutto sulle note del telefono. Il taccuino non ce l’ho sempre, è un simbolo, ma amo mettere nero su bianco ciò che sento e penso.

Il titolo: il simbolo del Sole

Il titolo è per me molto importante: viviamo in una società in cui continuiamo a dirci “siamo tutti uguali”. In realtà penso che questa frase discrimini: è giusto mettere in risalto le nostre diversità sotto lo stesso sole, l’unica cosa che ci accumuna è che siamo sotto lo stesso sole, è la nostra unica costante. Anche nel libro si tratta di differenze: economiche, sociali, culturali: dobbiamo renderle speciali ricordandoci che l’unica cosa che ci accomuna è che viviamo sulla stessa terra e vediamo il sole sorgere e tramontare.

Il flashmob organizzato per celebrare l’unità nella differenza

Questo libro è un po’ il mio libro dei desideri. Mi piacerebbe organizzare questo flashmob in cui tutti i giovani di etnie diverse danno il loro contributo per dare vita a qualcosa di bello. Questo momento è l’apice del libro, della serenità dei due personaggi principali. Ho voluto fossero circondati da ragazzi di altre etnie perché penso che questa sia un po’ l’Italia di oggi. Ora più che mai dobbiamo riuscire a unirci come comunità, non straniera, ma italiana di non nativi italiani. È giusto proclamare l’identità italiana anche di chi non lo è di stirpe o nascita. Non esiste più il concetto di italiano caucasico: io mi sento italiano quanto te e molte altre persone. Non volevo scriverlo in prosa, ma usare una scena, un simbolo.

Il senso comunitario della comunità africana: idea di comunità e religione

Io sono cresciuta con la religione protestante: è più libera di quella cattolica. Sono cresciuta in una chiesa che rappresenta a pieno il mio lato afrodiscendente. La chiesa è anche comunità: comprende molte cose. È un luogo in cui relazionarsi, in cui mangiare, avere amici. Credo sia importante mostrare questo, che è un po’ un mondo a sé, a chi non conosce la nostra cultura o, come Marlene, vuole riscoprirla.

Come hai affrontato il tema della povertà dell’Africa?

Nel libro ho messo una motivazione inventata per cui Steven scappa (un gruppo terroristico aveva corrotto il fratello a ucciderlo ndr), perché volevo mostrare che la migrazione non è una cosa semplice, ma complessa. Come tutto è molto più complesso di quello che appare. Come dietro la situazione di povertà dell’Africa ci sia di più, ci siano dei contatti con stati europei che ancora spadroneggiano. Bisogna cercare sempre cosa c’è dietro, non ci dobbiamo fermare alla punta dell’iceberg ma indagare a fondo e questo era solo un esempio. Il libro è anche un invito a riflettere.

La riscoperta della storia nera non dal punto di vista europeo

Ho creato con un amico una pagina Instagram che tratta di black history, si chiama Ujamaa, che significa famiglia estesa. Mostriamo la faccia della moneta che nei libri non si vede: ci sono state molte persone che hanno agito contro le ingiustizie perpetrate in Africa. Mettiamo questi personaggi nero su bianco, su Instagram, così tutti possono vederli.

Abbiamo chiuso l’intervista, che è stata emozionante e ha trattato di argomenti importanti non solo per la letteratura, ma per il mondo che ci circonda.  Faccio i complimenti ad Anna per la realizzazione del suo libro e lo consiglio vivamente a tutti i lettori sia per il tema trattato, che per lo stupendo equilibrio tra storia d’amore e temi importanti. Questi ultimi sono stati trattati con una spontaneità concettuale e dimostrativa che ha come fine l’essere chiara e chiarificatrice per tutti.


FONTI

Anna Osei, Sotto lo stesso sole, Milano, Mondadori

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