Operazione Market Garden: un fallimento bruciante

L’operazione Market Garden sarebbe dovuta essere un successo, uno degli eventi centrali della Seconda guerra mondiale e, in quanto tale, passare alla storia tanto quanto il fatidico 6 giugno 1944, il D-Day. Invece, quella che fu la più grande operazione aviotrasportata della storia, con più di 30.000 soldati britannici e statunitensi paracadutati dietro le linee naziste, fu anche una grave disfatta degli Alleati che, se non modificò l’esito di un conflitto comunque indirizzato a terminare, allungò l’agonia dei combattenti.

La vicenda

Dal 17 al 27 settembre del 1944, con l’intento di prendere il controllo di otto ponti situati sui fiumi Mosa, Waal e Reno in territorio olandese, gli Alleati lanciarono una delle più grandi operazioni belliche di tutto il conflitto mondiale.

L’intento era quello di poter aggirare la linea di fortificazioni Sigfrido, così da entrare velocemente in Germania attaccando la regione della Ruhr, centro della produzione carbonifera tedesca, e, di conseguenza, marciare su Berlino prima del Natale del 1944.

La missione, particolarmente rischiosa e secondo molti storici organizzata con troppa fretta e con la convinzione di affrontare un nemico già spacciato, non riuscì in quanto l’ultimo ponte, quello di Arnhem, non venne conquistato, rendendo così inutile tutta l’operazione costata migliaia e migliaia di morti.

Un’operazione imponente

Le forze messe in campo dagli Alleati erano impressionanti, tanto che vennero utilizzati più di 3.500 aeroplani per il trasporto dei soldati, che mediamente avevano ventiquattro anni. La colonna formata dai velivoli era larga circa sedici km e lunga ben 160: una scena unica nella storia dell’uomo. Al contrario, le forze tedesche erano in minor numero ma meglio appostate, ben equipaggiate e, a differenza di quanto ritenuto dagli Alleati, tutt’altro che intenzionate a cedere facilmente il passo.

In particolare gli angloamericani, tra le cui forze si trovava anche una brigata di paracadutisti polacchi guidati dal generale Sosabowski, trovarono due divisioni corazzate delle Waffen-SS. Queste ultime, dopo aver chiesto rinforzi dalle truppe naziste in Belgio, riuscirono a colpire duramente le truppe alleate: recuperati i piani d’attacco da un aliante precipitato, fecero saltare alcuni importanti ponti e presidiarono i restanti obiettivi strategici, con l’ausilio di cecchini e di reparti della Luftwaffe.

Alleati e Asse: gli esiti diversi dell’operazione

Gli scontri furono durissimi e, anche a causa del maltempo, che rese difficili i rifornimenti delle truppe e gli stessi lanci dei paracadutisti, i tedeschi riuscirono a respingere gli angloamericani, che pagarono a caro prezzo la sconfitta: più di 17.000 uomini caddero sul campo di battaglia, mentre le perdite per i tedeschi furono sensibilmente minori, in quanto vennero calcolate in circa 6.000 tra deceduti e feriti.

Il fallimento dell’operazione portò a importanti e, fino a quel momento, inaspettate conseguenze. Infatti, l’esercito tedesco, sfiancato da continue sconfitte e costretto alla ritirata sin da giugno, trovò in questa vittoria un buon incoraggiamento a continuare la guerra, convinto di poter strappare agli avversari, se non la completa vittoria del conflitto, almeno dignitose concessioni di pace.

D’altro canto, per gli Alleati questa sconfitta causò un proseguo della guerra: i territori conquistati in Olanda tatticamente inutilizzabili e la perdita di interi reparti scelti di truppe portarono ai successivi combattimenti invernali sanguinosi nelle Ardenne, teatro dell’ultimo grande scontro sul fronte occidentale.

Il fallimento

Oltre alla pronta risposta tedesca, che cosa portò questa operazione a diventare un evidente naufragio? Innanzitutto, fu evidente che tra i generali Alleati regnava il disaccordo sulla strategia da mettere in campo: se il generale inglese Montgomery, forte dei successi ottenuti in Africa e desideroso di comandare l’azione, voleva un’azione da Nord con un grande impiego di uomini aviotrasportati, gli americani, invece, guidati dal generale in capo alle truppe Alleate Eisenhower, preferivano un duplice attacco sia da Nord che da Sud.

Ebbe la meglio il piano degli inglesi, che faceva della rapidità e della potenza dell’attacco il suo potenziale offensivo. Essendo un attacco su larga scala e oltre le linee nemiche, un enorme punto debole della strategia era la difficoltà di rifornire le truppe. La mancanza di collegamenti diretti e la scarsa visibilità dovuta al meteo di quei pochi giorni favorirono i tedeschi che, forti delle proprie retrovie attive e pronte a rifornire le prime linee di uomini, munizioni e beni di vitale necessità, si trovano in una posizione di sostanziale vantaggio.

Non determinante?

L’operazione Market Garden non è conosciuta ai più, perché non cambiò nel lungo termine l’esito del conflitto e la vittoria degli Alleati ai danni delle forze dell’Asse, ma è un evento di estrema importanza in quanto spostò la fine delle ostilità con la potenza nazista di diversi mesi, tanto che la resa incondizionata della Germania fu firmata solamente il 7 maggio 1945, e portò gli Alleati a dover fronteggiare l’offensiva delle Ardenne lanciata dalle forze tedesche: l’ultimo disperato quanto violento tentativo di Hitler di contrastare gli inarrestabili angloamericani, che causò decine di migliaia di morti sia tra gli americani che i tedeschi. Soldati morti senza alcuna motivazione,  se motivazioni si possono trovare nelle guerre, in quanto il corso degli eventi era ormai segnato.

L’operazione Market Garden avrebbe potuto porre la parola “fine” sul conflitto già nell’autunno del 1944, evitando lo spargimento di ulteriore sangue e il patimento di soldati e civili morti a un passo dalla pace. Forse, un piano strategico meglio studiato e preparato, meno ansia di vittoria e gloria e una maggiore attenzione alla vita umana messa in campo avrebbe potuto trasformare l’ennesimo eccidio in un momento cruciale del conflitto: la fine del Nazismo e il risparmio di altre centinaia di migliaia di vite.

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