Emancipazione femminile

Emancipazione femminile, una rivoluzione alla moda

La moda ha contribuito più volte, nel corso della sua storia, al progredire degli avvenimenti storici che hanno portato alla nascita della società contemporanea. L’abito è sempre stato una presenza perfettamente integrata nello spirito del tempo e, attraverso esso, hanno preso vita alcuni dei più importanti mutamenti culturali. Tra questi, quello dell’emancipazione femminile.

L’abbigliamento, nei suoi significati simbolici, ha accompagnato la donna mentre si apriva una strada nel mondo e affermava la propria identità. A ritmo di forme, tagli e lunghezze, la figura femminile si è liberata gradualmente da costrizioni e stereotipi, fino a una quasi completa parità: l’estetica genderless che domina le passerelle di oggi.

Poiret e la donna libera nel suo corpo

Paul Poiret è stato una delle prime figure ad avviare una rivoluzione femminile attraverso la moda. Ereditiero dello stile di fine Ottocento, creò da subito una propria estetica eliminando quegli elementi che definivano la donna irreale della linea a “esse”.

Poiret è noto per aver liberato le donne dal corsetto e l’abito da qualsiasi impalcatura, restituendo al corpo femminile la naturale spontaneità del movimento. Più che emancipazione, Poiret cambia l’ideale di bellezza femminile: da una figura incastonata in modelli arretrati si passa a una donna più sofisticata, d’ispirazione orientale, ma sempre lontana dal mondo reale. Altro suo contributo alla nuova femminilità sono i pantaloni, da sempre considerati uno scandalo e un oltraggio alle consuetudini sociali. Il modello proposto da Poiret suscitò allo stesso tempo critiche e interesse: si trattava delle Jupe-culotte, pantaloni alla turca nascosti da una gonna rigida.

Coco Chanel e la donna indipendente

Questo cambiamento di rotta fu portato avanti da Coco Chanel, tra jersey, taglie oversize e linee che scivolavano comodamente sul corpo femminile senza bisogno di supporti. Non si trattava più di donne ingabbiate in abiti stretti, ma di donne che dovevano essere vestite per affrontare la vita di tutti i giorni con una nuova indipendenza. Con gli uomini al fronte, le redini della vita sociale erano passate a loro: la città richiedeva un’inaspettata operosità che nulla aveva a che fare con gli abiti degli anni precedenti.

L’abito di Chanel era tutta un’altra cosa, poteva essere infilato dalla testa come un pullover morbido, elastico e versatile senza bisogno di nessun aiuto. Piccoli gesti che già ai tempi fecero strada all’emancipazione femminile: le donne si stavano liberando della servitù e dei tanti rituali che scandivano rigorosamente i ritmi vestimentari dei tempi a lei contemporanei. 

Sebbene Chanel abbia contribuito decisamente alla liberazione dagli stereotipi femminili, il suo stile non fu studiato appositamente su questo scopo. Collaborò al cambiamento rappresentando un nuovo modello di donna, professionale e indipendente dal genere maschile: fu la prima creatrice di moda che realizzava abiti innanzitutto per se stessa e la propria libertà. Attraverso una femminilità non imposta, da nessuno se non da se stessa. 

Emancipazione alla Elsa Schiaparelli

Elsa Schiaparelli

Discorso diverso quello per Elsa Schiaparelli, figura creativa mossa fin da subito da ideali femministi. Nata da una ricca famiglia romana che le avrebbe garantito qualsiasi privilegio, Elsa rinunciò fin da subito a una vita tranquilla per seguire le sue aspirazioni personali, lontane da quelle imposte dalle sue origini. Il suo carattere impetuoso e anticonformista incrociò il mondo della moda negli anni Venti, portando innovazioni per una nuova femminilità. 

Nonostante le sue lacune formative in materia di sartoria, concepì un modo tutto suo di intendere la moda. Il corpo femminile doveva essere rispettato e l’abito doveva interpretare le esigenze delle donne che lo indossavano. Per Elsa l’abito era il primo strumento di comunicazione, il primo modo che le donne avevano per affermare se stesse.

Ho sempre invidiato il fatto di poter uscire da soli a qualunque ora. Vagare senza meta per tutta la notte o stare seduti in un café senza far nulla sono privilegi che possono sembrare di nessuna importanza, ma che in realtà danno alla vita un sapore molto più intenso e sofisticato.

L’abito proposto da Schiaparelli era pensato per rendere la donna sicura di se stessa in ogni occasione, sia di giorno sul lavoro, sia di sera a un appuntamento galante. Linee dritte, spalle squadrate, dettagli maschili e revers geometrici erano gli elementi chiave della silhouette a “grattacielo: la divisa che la donna degli anni Trenta avrebbe indossato con sicurezza in un mondo ostile alle rivendicazioni femminili.

La minigonna di Mary Quant

Più avanti negli anni cambiano di nuovo i codici della moda, e il New Look di Dior sembra imporre una tregua a quei fermenti rivoluzionari dello stile del primo dopoguerra. Negli anni Cinquanta torna infatti un ideale femminile classico, mitizzato, alla ricerca delle glorie di un passato quasi ottocentesco. 

A interrompere questo sogno sospeso ci pensano le nuove personalità degli anni Sessanta, dinamici e stanchi di ogni regola. A favore della femminilità fu innanzitutto Mary Quant, rivoluzionaria britannica che per la prima volta alzò l’orlo della gonna al di sopra del ginocchio. Da scandalo per l’alta moda, divenne simbolo di libertà e indipendenza per una nuova generazione stanca di uno stile preconfezionato, imposto dalle tradizioni famigliari.

La minigonna permetteva alle ragazze gesti che per chiunque altro erano normalità, come correre in stazione per non perdere l’autobus. A completare questa rivoluzione c’erano poi i collant, colori dai contrasti vivaci, stampe optical, accessori, materiali nuovi come il pvc e un taglio di capelli corto e sbarazzino. Si trattava di uno stile libero e in corso d’opera, che introdusse la figura della ragazza giovane, indipendente e padrona del proprio corpo, a distinzione della classica donna più matura.

Lo stile androgino di Yves Saint Laurent

Altro passo importante per l’emancipazione fu la convergenza del maschile e del femminile, tema già nell’aria verso la fine degli anni Sessanta. Tra i visionari del periodo vi fu Yves Saint Laurent, che già con la sua prima collezione da Dior segnò un momento di rottura con i vitini da vespa delle donne fiore. 

Volevo che le donne avessero lo stesso guardaroba basic dell’uomo. […] Blazer, pantaloni e tailleur. Sono così pratici. Ho pensato fosse questo che volevano le donne, e avevo ragione.

Tra le sue proposte più rivoluzionarie c’era lo smoking da donna, declinato dal classico tailleur maschile, considerato allora la massima espressione di sfida allo status quo della moda. Si trattava però anche di una nuova forma di glamour ed eleganza, pensata per un nuovo ideale di donna in carriera. Fra i numerosi contributi al femminismo di Saint Laurent ricordiamo anche il movimento “Free the Nipple”: le modelle erano mandate in passerella con camicette trasparenti in organza e senza reggiseno, perché si trattava di una semplice affermazione di uguaglianza tra sessi. 

La giacca Armani

Infine, a completare l’idea di unisex ci fu la rivoluzionaria operazione di Giorgio Armani. Protagonista assoluto della nascente moda italiana, interpretò i mutamenti sociali in atto dando vita al casual e a uno stile senza troppe definizioni. La giacca Armani fu l’ibrido perfetto, un mix nato dalla foggia maschile e dai materiali morbidi solitamente destinati ad abiti femminili. Si trattava di un indumento nuovo come la generazione che lo indossava, una giacca che si prestava all’eleganza di uomini e donne, senza troppe distinzioni.

L’emancipazione oggi

Questi cambiamenti hanno segnato la storia della moda, ma hanno soprattutto contribuito alla strada verso l’emancipazione femminile. Numerosi sono gli statement e i creativi che ancora oggi sostengono uguaglianza e idee rivoluzionarie. Tra questi Maria Grazia Chiuri, che, con il suo ingresso alla direzione artistica della maison Dior, ha segnato una svolta per il fashion System.

Si attuano quindi progetti che più spesso si realizzano in soluzioni genderless e sempre più provocatorie nei confronti delle definizioni. Femminilità e mascolinità lasciano il posto ad altri valori più autentici, come quello della libera espressione di se stessi e di ciò che si desidera essere.


FONTI

Dimondilab.com

Elisamotterle.com

Vogue.it

Enrica Morini, Storia della moda XVIII-XXI secolo, Skira, 2017

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