“Loki”: l’ennesima occasione sprecata dalla Marvel

Dopo WandaVision e The Falcon and The Winter Soldier anche Loki, terza serie del Marvel Cinematic Universe in ordine di uscita, è da poco giunta al termine; o, per meglio dire, così come confermato dall’ultima scena post credit, ha concluso la sua prima stagione. Lo show statunitense, creato da Michael Waldron e diffuso dalla piattaforma Disney+, ha appassionato e galvanizzato la maggior parte dei fan dell’MCU e conquistato buona parte del pubblico generalista, soddisfatto e divertito dalle avventure vissute in sei puntate dal celeberrimo dio dell’inganno.

Tuttavia, ad una più attenta analisi, luci ed ombre si alternano ad un ritmo preoccupante nel corso della stagione e, in molteplici momenti della narrazione, il buio tende a farsi opprimente.

Proviamo dunque ad approfondire, sforzandoci di evidenziare i principali aspetti positivi e negativi che hanno contraddistinto i primi 6 episodi di Loki.

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1) Mobius e Classic Loki

Tra i principali meriti della serie vi è indubbiamente quello di aver radunato un cast attoriale di tutto rispetto. Tuttavia, forse per i numerosi difetti di sceneggiatura di cui parleremo, le interpretazioni non sono state sempre del tutto convincenti. Pensiamo a Tom Hiddleston, tornato nei panni di Loki e confermatosi attore dalle grandi doti, eppure talvolta responsabile di una recitazione eccessivamente sopra le righe; o a Sophia di Martino, volto di Sylvie, colpevole di oscillare tra l’accattivante e il poco incisivo con davvero troppa facilità.

A spiccare è invece la prova di Owen Wilson, interprete spesso sottovalutato e snobbato con superficialità. Il suo Mobius, a dispetto di una scrittura non sempre entusiasmante, è un personaggio a dir poco riuscito, che dona lustro alla scena e di cui si avverte la mancanza nelle sequenze che non lo coinvolgono. Simpatico, ironico, sagace; tutte caratteristiche che Owen Wilson riesce a far risaltare con grande maestria e coinvolgimento, confermandosi attore esperto e navigato.

Discorso simile anche per Richard E. Grant, scelto per dare voce alla variante anziana del dio dell’inganno. Un personaggio scritto bene e interpretato ancor meglio, il cui arco narrativo, sviluppato all’interno di un unico episodio, è sufficiente perché il pubblico empatizzi con Classic Loki e si emozioni osservando l’epica sequenza di cui è protagonista.

2) Sigla e colonna sonora

Un grande plauso va tributato anche a Natalie Holt, compositrice britannica responsabile della realizzazione della colonna sonora della serie. La musica, accuratamente pensata e arrangiata, è forse l’unico aspetto dell’intera produzione che si possa considerare esente da difetti e che, anzi, risulta spesso utile ad impreziosire la materia narrata. Ne è indubbia ed eclatante prova la già citata sequenza che vede in azione Richard E. Grant; momento reso a dir poco memorabile dal perfetto connubio tra prova recitativa e accompagnamento musicale.

Menzione d’onore anche per la sigla iniziale. Semplice, intrigante e dal sapore mistery; un bianco su nero che è probabile rimando e omaggio al capolavoro di genere che fu Lost.

Flop

1) Costumi e CGI

Tra i principali difetti imputabili alla serie vi è un utilizzo di costumi, scenografie ed effetti speciali decisamente al di sotto delle aspettative. Non tutto è da buttare naturalmente: il gusto retrò della TVA è particolarmente suggestivo così come le divise dei suoi agenti; l’impianto scenografico della quinta puntata è certo il più originale e di ampio respiro visto nel corso della serie e la realizzazione del temibile mostro di fumo Alioth è stata fatta a regola d’arte.

Numerosi sono però i casi in cui il comparto tecnico, fino ad ora tanto elogiato e punto di forza delle serie Marvel, ha lasciato notevolmente a desiderare. La pigrizia artistica ha talvolta prodotto scenografie da recita scolastica (Pompei) o totalmente prive di spirito inventivo (il supermercato “futuristico” visto al termine della seconda puntata); in altri casi si è eccessivamente rilassata, affidandosi a easter eggs o richiami fumettistici decisamente poco funzionali al media televisivo, con il risultato, ad esempio, di  trasformare le varianti di Loki in cosplayer di basso rango. Così come risulta terrificante la CGI utilizzata nella realizzazione del Loki versione alligatore e dei tre Custodi del Tempo, fantocci di plastica fin troppo evidenti.

Tutti sintomi di un impianto tecnico a dir poco traballante e che, considerato il budget milionario che questi prodotti continuano a vantare, risulta francamente inaccettabile.

2) Scrittura

Ancora una volta però, come già avvenuto per The Falcon and The Winter Soldier e, anche se parzialmente, anche per WandaVision, il peggiore difetto di Loki risiede nella sua sceneggiatura, la cui evoluzione, altalenante per usare un eufemismo, sembra frutto di una gestione narrativa quasi schizofrenica.

Pensiamo alla coinvolgente intelaiatura delle due puntate iniziali, sapientemente costruite secondo una tensione narrativa crescente e culminata in un cliffhanger destinato ad essere tristemente abbandonato e sacrificato sull’altare del filler (terza puntata). Pensiamo alla inesistente e inconsistente costruzione di rapporti d’amore e d’amicizia quasi forzati, necessari per scatenare facili emozioni che non trovano però corrispondenza in un’evoluzione credibile dei protagonisti delle stesse.

Troppe sono le occasioni in cui Loki, da sempre presentatoci come personaggio furbo e scaltro, appare invece confinato in una dimensione da comedy relief ingiustificata o in atteggiamenti che denotano un’ingenuità e una stupidità che non gli competono. Così come esagerato è il tempo dedicato a “spiegoni” lunghi e tediosi che, per quanto talvolta necessari, mancano di una qualche scintilla o appropriata soluzione registica, lasciando che, nella maggior parte dei casi, i personaggi si siedano comodamente a conversare l’uno di fronte all’altro, senza una reale alternativa che presupponga un briciolo di azione.

E potremmo andare avanti ancora a lungo tra buchi di trama, personaggi mal gestiti e abbandonati nel finale (Ravonna), domande rimaste senza risposta e basi narrative illogiche (alcune varianti, tra cui la stessa Sylvie, non dovrebbero esistere, almeno seguendo le regole che la stessa serie ci fornisce).

Delusione

Ma il finale? Il finale, tralasciando l’overacting di Jonathan Majors nei panni di “Colui che rimane”, può effettivamente aprire a scenari interessanti e, almeno questa volta, pare possa avere un’effettiva utilità nel macro contesto dell’MCU. Il problema semmai, al di là dei problemi dell’intero percorso che conduce alla risoluzione della sesta puntata, è che non è un vero finale. Nessun arco narrativo viene concluso, tutto viene lasciato in sospeso e il cliffhanger conclusivo non è diverso da quello che una puntata qualsiasi della serie avrebbe potuto avere (vedi secondo episodio).

Il risultato è una serie che, onestamente, ha il sapore di un’occasione sprecata. Nonostante infatti la serie risulti comunque godibile in diversi frangenti, le potenzialità espresse nelle due puntate iniziali, la bontà del cast e una colonna sonora da brividi fanno terribilmente a pugni con una scrittura a tratti pessima o davvero poco curata, che impedisce allo show di spiccare il volo in maniera convincente.

Quanto purtroppo appare chiaro è che il livello qualitativo delle serie Marvel è, almeno al momento, distante anni luce da buona parte delle pellicole dell’MCU. Costruzioni lontane dalla solidità narrativa che un buon prodotto dovrebbe possedere; fragili castelli di carta che anche un banale quesito può far crollare.


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