Enaiatollah Akbari: un viaggio attraverso il Mediterraneo

Nel mare ci sono i coccodrilli è un libro di Fabio Geda che racconta la storia di Enaiatollah Akbari, un ragazzo dell’etnia hazara che dall’Afghanistan è arrivato in Italia. È partito quando aveva circa dieci anni, ma non lo può dire con certezza perché non conosce la sua data di nascita, e il suo viaggio è durato più di quattro anni, di cui ne ha trascorsi uno in Pakistan e tre e mezzo in Iran.

La traversata

Il titolo Nel mare ci sono i coccodrilli ci riporta al momento in cui Enaiatollah si ritrova ad attraversare il Mediterraneo con altri quattro ragazzini più piccoli: Rahmat, Liaqat, Hussein Alì e Soltan.

Un trafficante li porta fino ad Ayvalik, il punto della costa turca da dove raggiungere Lesbo e li lascia lì con un gommone. Dopo un paio di giorni (passano i cinghiali che i cinque credono mucche selvatiche, si distruggono i loro giubbotti di salvataggio e credono di aver visto una barca della guardia costiera) una notte decidono di partire. Enaiatollah si ricorderà come quella notte la loro concezione del pericolo fosse distorta. Il più piccolo Hussein Alì è terrorizzato dai coccodrilli, che ovviamente nel Mar Mediterraneo non ci sono; tutti gli altri si preoccupano delle navi che potrebbero incontrare. Hanno paura anche a starnutire, quasi esistesse un radar della guardia costiera in grado di percepire gli starnuti. Non pensavano al fatto di essere in cinque in mezzo al mare, con solo un gommone.

Una volta aver imparato a remare, affrontano il mare. Il trafficante aveva detto che avrebbero impiegato tre ore a fare la traversata, ci impiegano tutta la notte. Il mare si alza, diventa tempestoso e Hussein Alì è certo che sia in salita: per questo motivo non raggiungono mai terra. È anche incaricato di coprire con le mani un buco, poi di svuotare il gommone, raccogliendo l’acqua con un pezzo di bottiglia.

Si giunge anche alla rissa. C’è chi vuole tornare in Turchia e chi vuole proseguire per la Grecia, o meglio per dove pensano si trovino la Turchia e la Grecia. Alla fine vanno avanti e all’alba vedono una striscia di terra all’orizzonte, la raggiungono. Non tutti e cinque: Liaqat è caduto in acqua durante la notte e non l’hanno più visto.

Pakistan e Iran

Enaiatollah però non deve solo attraversare il Mediterraneo nel suo viaggio. Una volta lasciato in Pakistan da sua madre, dopo vari mesi, decide di raggiungere l’Iran. Oltrepassa il confine più volte, perché la polizia iraniana, quando trova un clandestino, lo rimpatria a sue spese. Se il clandestino non ha soldi, viene rinchiuso in un centro di permanenza temporanea. I peggiori sono Telisia e San Safid, gli afghani ne parlano sempre con terrore. In Iran Enaiatollah lavora in un cantiere e poi in una fabbrica di pietre, finché non si rende conto di non voler correre ogni giorno il rischio di essere rimpatriato. Allora si unisce ad altri clandestini, curdi, iracheni, bengalesi, afghani e pakistani, valicare le montagne per arrivare in Turchia: ci mettono ventisei giorni a salire e due a scendere. Erano in settantasette: dodici di loro muoiono durante il cammino.

Enaiatollah racconta di aver visto da lontano, il diciottesimo giorno, delle persone sedute:

Dietro una curva a gomito, d’un tratto, me le sono trovate di fronte, le persone sedute. Erano sedute per sempre. Erano congelate. Erano morte. Erano lì da chissà quanto tempo. Tutti gli altri sono sfilati di fianco, in silenzio. Io, a uno, ho rubato le scarpe, perché le mie erano distrutte e le dita dei piedi erano diventate viola e non sentivano più nulla, nemmeno se le battevo con una pietra. Gli ho tolto le scarpe e me le sono provate. Mi andavano bene. Erano molto meglio delle mie. Ho fatto un cenno con la mano per ringraziarlo.

Turchia e Grecia

Raggiungere Istanbul sono tre giorni in un camion con il doppio fondo dove hanno cinquanta centimetri per stare seduti con le gambe rannicchiate contro il petto e la testa tra le ginocchia. Viene dato loro un pugno di riso, una bottiglia piena d’acqua per bere in una mano, vuota per pisciare nell’altra.

C’è una voce che si lamenta per l’assenza d’acqua e Enaiatollah le dà ascolto:

Sono strisciato ancora sopra i corpi fino a quando ho trovato un ragazzo bengalese che ha detto che sì, di acqua ne aveva ancora sul fondo della sua bottiglia, ma che no, non me l’avrebbe data. Ho detto ti prego. Lui ha detto no. L’ho implorato, solo un sorso. Lui ha detto di no, e mentre diceva no io sono stato attento a capire da dove proveniva il suo no. Ho sferrato un pugno dritto verso il no. Ho sentito i denti contro il pugno e mentre gridava l’ho tempestato di schiaffi, ma non per fargli male, solo per trovare la bottiglia. Appena l’ho sentita, l’ho stretta in mano e sono scomparso […] Gli ho portato l’acqua rimasta, e questo mi ha fatto sentire bene, anche se per poco, mi ha fatto sentire umano.

Da Mitilene poi, sull’isola di Lesbo, Enaiatollah riesce a salire su un traghetto per Atene grazie all’aiuto di una signora anziana estremamente gentile. Quindi da Corinto, dopo diversi tentativi di partenza falliti, raggiunge Venezia.

Essere un hazara in Afghanistan

Gli hazara sono un’etnia presente in Afghanistan, dai tratti un po’ asiatici, con gli occhi a mandorla e il naso schiacciato. Vengono considerati i discendenti dei mongoli che con Gengis Khan hanno invaso la regione nel XIII secolo. Per questo motivo sono stati sempre trattati come un’etnia inferiore, in modo particolare dalla maggioranza pashtun e in seguito anche dai talebani. In passato il commercio di schiavi in Afghanistan era molto fiorente, perché era legale vendere un hazara.

A essere hazara in Afghanistan quando Enaiatollah era bambino, si rischiava la vita. Prima che lui partisse, i talebani hanno costretto suo padre a portare in Iran un camion pieno di tappeti, perché gli hazara sono sciiti come gli iraniani, mentre i talebani sono sunniti. L’hanno minacciato di uccidere la sua famiglia qualunque cosa accadesse alla merce. Il padre di Enaiatollah è morto durante il viaggio; dunque i talebani vogliono prendere il figlio come risarcimento del debito. Questo spinge la madre prima a nascondere il bambino, poi ad aiutarlo a scappare.

In Iran Enaiatollah stava per inviare alla madre una lettera in cui le chiede di venirlo a prendere, l’uomo che la legge gli dice:

Qui stai male, va bene, ma almeno la mattina puoi uscire di casa con la speranza di ritornare vivo la sera, lì non sai neppure, quando esci, se tornerai prima tu, a casa, o la notizia della tua morte. Qui puoi andare fra la gente, vendere la tua roba, mentre gli hazara nel tuo paese non possono nemmeno camminare per la strada [..] Rischiano in continuazione di morire per un nonnulla, di essere uccisi per una parola di troppo o per qualche regola senza senso. Devi essere grato a tua madre che ti ha fatto uscire dall’Afghanistan.

L’incontro con Fabio Geda

Enaiatollah conosce lo scrittore, all’epoca esordiente, Fabio Geda alla presentazione del libro Per il resto del viaggio ho sparato agli indiani nel (2008) che parla di un ragazzo romeno che riesce ad arrivare in Italia. Quella di Per il resto del viaggio ho sparato agli indiani è una storia di fantasia; mentre quella di Eianatollah è una storia vera.

I due si incontrano più volte e Fabio Geda gli propone di scrivere insieme un libro per raccontare la sua storia: non bisogna per forza pubblicarla, vedranno dopo. Nel mare ci sono i coccodrilli esce nel 2010, ottenendo un successo che nessuno dei due si aspettava. Nel 2020 poi pubblicano Storia di un figlio che si riallaccia al finale del libro precedente: Eianatollah è riuscito a far rintracciare la sua famiglia dal padre, che abitava in Pakistan, di un amico afghano conosciuto in Iran. Dopo anni parla al telefono con sua madre.

Enaiatollah ritrova la sua famiglia

Lei, come farebbe qualunque madre con un figlio in vacanza studio, si assicura che mangi. Intanto Enaiatollah scopre che la sorella, soprannominata gulpari, che significa petalo di rosa, si è sposata e ora vive a Quetta in Pakistan; il fratello, norband (raggio di sole) ormai è cresciuto. Dall’Italia Enaiatollah li aiuta economicamente, ma non può rivederli e tornare in Afghanistan: in quanto rifugiato politico può andare ovunque tranne che nel paese dal cui è fuggito. Ha imparato l’italiano, lavora e decide di iscriversi all’università per studiare scienze politiche. Appena arrivato, aveva dato l’esame di terza media e aveva frequentato le superiori. In seguito il fratello, insoddisfatto della propria vita, parte e tenta di raggiungere l’Australia dalla Polinesia; la madre si trasferisce a Quetta da gulpari, dove muore.

Tempo dopo, Enaiatollah con grande fatica riesce a ottenere un visto per il Pakistan: la sorella sta per avere un bambino e rischia di partorire da sola, perché il marito non fa in tempo a tornare dall’Iran. Lì conosce le sue nipotine e prolunga la sua permanenza, fermandosi alcuni mesi in più perché s’innamora di Fazila, una ragazza afghana che proviene dal suo villaggio natale, Nava. Si sposano e lei riuscirà a raggiungerlo in Italia circa un anno dopo, il tempo necessario per ottenere il ricongiungimento familiare, passando dall’Iran.

FONTI

Fabio Geda, Enaiatollah Akbari, Storia di un figlio andata e ritorno, 2020, Baldini&Castoldi

Fabio Geda, Nel mare ci sono i coccodrilli Storia vera di Enaiatollah Akbari, 2010, Baldini&Castoldi

CREDITI

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