Annie Vivanti, “Gioia!”: una raccolta di racconti del 1921

Gioia! è una raccolta di racconti di Annie Vivanti, scrittrice nata nel 1866. L’opera, pubblicata nel 1921, è stata ristampata in occasione del centenario da Fve Editori, con prefazione di Lidia Ravera.

L’ironia e la leggerezza di Gioia!

Annie Vivanti, Gioia! - copertina del libroDegli otto racconti che costituiscono Gioia! apre la raccolta uno scambio di biglietti e lettere tra due amanti in Idillio in sei mesi. Ciò che è raccontato è così vero pur nella sua assurdità da essere delizioso. La lettura di Gioia! provoca questa sensazione: il riconoscimento di dinamiche note, unito a una piacevole e progressiva scoperta. Intanto un sorriso affiora continuamente alle labbra della lettrice o lettore.

La disinvoltura dell’autrice, poi, sorprende per l’epoca. Ad esempio racconta la terza parte prima della seconda in Tenebroso amore, perché già in troppi autori hanno scritto nell’ordine “corretto”. Ovviamente sa benissimo che l’espediente narrativo suscita curiosità, ma finge di considerarlo secondario e accenna semplicemente al fatto che il marito della protagonista viene considerato colpevole di uxoricidio. Con la stessa noncuranza aggraziata invita a leggere qualche altro scrittore, per poter evitare di dilungarsi nell’ennesima descrizione letteraria del cielo:

“Dimmi” le ordino, colla tazza di tè in mano, mentre di fuori nel crepuscolo… (Qui leggere due pagine di un altro autore.)

Mondanità, consigli di bellezza en passant, una certa dose di leggerezza, uno sguardo ironico – e probabilmente anche autoironico – danno vita a una realtà arguta. Si ha l’impressione di essere sempre immersi nello stesso ambiente sociale, a cui l’autrice appartiene, ma da quale spesso prende le distanze. Lì Annie Vivanti narra storie di contraddizioni, conoscenti ed episodi che la riguardano personalmente.

Lezioni di felicità

Colpiscono le sue lezioni di felicità, nell’omonimo racconto, e la sua teoria secondo la quale si possa sviluppare un’abitudine alla felicità. Ipotizza una scuola dove sia possibile imparare la gioia:

Oggi più che mai sono convinta che si può. Sono anzi dell’opinione che bisognerebbe istituire dei corsi di lezioni speciali per insegnare alla gente – soprattutto alle donne! – come si fa ad essere felici. Siamo tutti d’accordo nell’ammettere che una vita, una giornata, un’ora in cui non séi è stati felici (o, ciò che è sinonimo, in cui non si è reso altri felici), sono un’ora, una giornata, una vita perdute.

E queste considerazioni non sono frutto di ignoranza o ingenuità superficiale; potrebbero nascere da una donna fuori dagli schemi, che si è scontrata con la vita, ha imparato a sopravvivere e a lottare ridendo.

Si distingue per la sua eccezionale modernità in contrasto rispetto alla sua epoca. Si potrebbe scorgere anche una velata critica o rimprovero quando ringrazia gli uomini per il fatto di considerare le loro donne “fate luminose”. Così, attribuendo loro una vitalità spensierata, queste finiranno per assumerla. Invece, lo scultore malinconico di Idillio in sei mesi si innamora della poetessa grazie al suo spirito gaio. Quando poi lei si incupisce ripiegandosi sulla propria passione amorosa, lui crede illusoriamente che abbia smesso di essere se stessa.

 L’incontro con Giosuè Carducci

In alcuni racconti si staglia la presenza di Giosuè Carducci, “l’Orco”, come lo chiama scherzosamente Annie Vivanti. È stata poi pubblicata la loro corrispondenza Addio caro Orco. Lettere e ricordi (1889-1906). Durante una passeggiata in montagna del racconto L’Apollinea fiera parlano di una cascata:

“Guarda l’oro sull’acqua” mi disse.

Obbedii. “Non è acqua” osservai (a Carducci dicevo tutte le fanciullaggini che mi venivano in mente). “Lassù in alto stanno sdraiate supine le fate, e lasciano pendere lungo le rocce i loro capelli sciolti”.

“Sarà così” disse Carducci contemplando le cascate increspate e rutilanti e facendosi schermo agli occhi colla mano. “Sarà precisamente così. Lo dirò anch’io.”

E difatti lo disse più tardi in una lettera a me. Quella lettera è ristampata nelle sue Opere col titolo Elegia del monte Spluga.

Carducci la paragona anche alle una Valchirie, divinità della mitologia germanica che cavalcano in battaglia affianco al dio Odino. Annie Vivanti sta cavalcando elegantemente, del resto è anche un “fantino perfetto”. Il poeta poi ha scritto:

Bionde Valchirie, a voi diletta sferzar de’ cavalli,

Sovra i nembi natando, l’erte criniere al cielo…

Il loro rapporto ha fatto scandalo nella società italiana di fine XIX secolo, provinciale e poco aperta rispetto al resto dell’Europa. Oltretutto Annie Vivanti veniva ritenuta una chanteuse per le sue piccole esperienze teatrali. Si sono incontrati nel 1890: quando l’autrice ha fatto leggere le proprie poesie, Lirica, a Treves, l’editore le ha detto che avrebbe potuto pubblicarle solo con una prefazione del Carducci. Lui, dopotutto, era la massima autorità poetica dell’epoca. Allora Annie Vivanti è andata a Bologna a parlare con il poeta. Si sono innamorati, nonostante la differenza di età: lui aveva cinquantacinque anni e lei ventiquattro.

Annie Vivanti, una donna fuori dagli schemi

Annie Vivanti e la figlia VivienAnnie Vivanti è stata una donna poliglotta e cosmopolita. Ha vissuto tra Italia, Stati Uniti, Inghilterra e Svizzera. È nata a Londra da Anselmo Vivanti, scappato dall’Italia per la sua vicinanza con i mazziniani; sua madre era una scrittrice. Ha ricevuto un’educazione moderna per i tempi. È stata Annie Vivanti, Annie Vivanti Chartres, Anita Chartres, Anna Emilia Vivanti, in paesi diversi.

Nel 1892 ha sposato l’irlandese John Chartres, sostenitore della causa del proprio Paese. Così entrambi hanno appoggiato Sinn Fein, partito per l’indipendenza irlandese costituito nel 1905. Il suo essere antinglese, l’ha portata a schierarsi a favore dell’Italia nella Prima guerra mondiale e in seguito. Si è avvicinata all’Italia fascista. In quanto inglese, è stata costretta al confino nel 1941, ma è stata liberata grazie all’intervento di Mussolini.

Fin dall’età di sette anni, sua figlia Vivien, nata nel 1893, ha mostrato un talento straordinario nel violino. È stato il suo stesso genio però ad avvelenarle l’anima e a condurla al suicidio nel 1941. La madre è morta appena un anno dopo, nella casa di Torino e lì è stata sepolta.

L’attività letteraria

Oltre che scrittrice e poetessa, è stata anche giornalista. Definita una “sradicata di lusso” come afferma Lidia Raviera nella prefazione di Gioia!, in lei si riconoscono alcuni echi del tardoromanticismo e della Scapigliatura. In Italia ha pubblicato il romanzo, Marion artista di caffè concerto (1891). Poi  è sembrata scomparire dal panorama letterario italiano e, sul finire del XIX secolo e l’inizio del successivo, ha scritto in lingua inglese e ha fatto uscire all’estero diversi romanzi, racconti e opere teatrali. Tra il 1898 e il 1899 in Italia è stata messa in scena la sua opera, La rosa azzurra, un insuccesso tale che non è stata nemmeno pubblicata.

Con I divoratori (1911), originariamente The Devourers (1910), è diventata una scrittrice di successo anche in Italia e ha consolidato la sua posizione, pubblicando ininterrottamente fino alla sua morte. Alcune delle sue opere più conosciute sono Naja Tripudiana, Il viaggio incantatoMea culpa Terra di Cleopatra. Matilde Serao in seguito ha chiamato sarcasticamente Vivantine le autrici di consumo, riferendosi a Annie Vivanti.


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